martedì 21 novembre 2017

The sheaths of the I in Advaita vedanta - Le maschere dell'io nell'Advaita vedanta


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The Vedanta, literally "after the Vedas" is a lay school of spiritual  thinking based on the concept of  non-dual Absolute, called "Brahman" in the Upanishad (the Vedantic philosophical texts  posterior to  the Vedas).

On the dating of Vedas and Vedanta the views of scholars, historians and religious,  differ somewhat. The difference in views is primarily between Western and Indian researchers. According to the Europeans, who tend to believe in the Western cradle of civilitation  Middle Eastern and Mediterranean, the Veda are placed around the first millennium BC. and the Upanishad at a time just before the birth of the historical Buddha (VI century BC). Obviously, for some Indian historians, the dates are different and  they are and are far ahead of those that  has been said by European historians. But let us  analyze the concepts expressed and leave aside the dating (irrelevant to the substance).

The peculiarity of Advaita Vedanta philosophy is that it does not relate to any personal divinity.  The Absolute non-dual is between being and not being. It is the Self (Atman), that is Attribution-free Awareness, which is the container and the content of all that is manifested, self-existent, and at the same time beyond all manifestations and thoughts.

The Self enjoys its own illusion of being separate and distinguished by itself and - according to Vedanta - this comedy is made possible through five masks or "sheaths" (in Sanskrit "kosha") that hide the Self to the self (the  absolute I  to the relative I).

They are: annamaya, pranamaya, manomaya, vijnanamaya and anadamaya.

Annamaya is the sheath made up of food, the physical body. Its constituents are the five elements in the coarse state, in various  gradients. Of the same material are made the things of the the objective world experienced.

Pranamaya is the sheath of vital energy (the "vital breath" of the Bible) that denotes vital quality, its expression is breath, in Sanskrit "prana", and its five functions or "ways": "vyana" that that goes in all directions, "udana" the one rising up, "samana" the one that equates what is eaten and drunk, "apana" the one that goes down, "prana" the one that goes forward (collectively they are defined by the term "prana"). To the "prana" sheath also belongs  the five organs of action, that is, the word, the taking, the proceeding, the excretion and the reproduction.

Manomaya is the sheath of consciousness, or individual mind, its functions are asking and doubting. Its channels are the five organs of experimentation: hearing, sight, touch, taste and smell.

Vijnanamaya is the sheath of self-consciousness, or intellect, that is, the agent and the usufructuary of the outcome of the actions. This mask, or wrapper, is considered the empirical soul that migrates from one physical body to another (in the theory of methempsychosis).

Anadamaya is the sheath of joy, not the original bliss of Brahman, it is the  pseudo bliss (experienced in deep sleep) of the so-called "causal body", the first cause of transmigration, another his name is "avidya", that is  nescience or ignorance of the Self.

According to Indian scholar T.M.P. Mahadevam we can rearrange these five masks in three "bodies":

1 - "annamaya", the gross physical body;

2 - "suksma-sarira" the subtle body, the whole of the three sheaths of prana mind and intellect ("pranamaya," manomaya "and vijnanamaya");

3 - "karana-sarira", the causal body of the "anandamaya" sheath.

It is through these three bodies that we experience the so-called "external" world in the three states of wakefulness, sleep and deep sleep.

Empirical experience is manifested through the five sheaths, projected or reflected in the concept of "space" and "time," without which the relative consciousness of a "world" could not subsist.

As philosopher M. Heidegger said, "How did human existence come up with a watch before there were pocket or solar watches? ... Am I the "hour" and my  existing   time? Or, in the end, is the time itself  that gets the clock in us? Augustine has pushed the issue up to wonder whether the soul itself is the time. And here he stopped asking ... "

Paolo D'Arpini

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Testo italiano 

Il Vedanta, letteralmente “dopo i Veda” è una scuola di pensiero laico basata sul concetto dell’Assoluto non duale, detto “Brahman”  nelle Upanishad, i testi filosofici vedantici posteriori ai Veda.

Sulla datazione dei Veda e del Vedanta le opinioni degli studiosi, storici e religiosi, divergono alquanto. La differenza di vedute è soprattutto fra ricercatori occidentali e quelli indiani. Secondo gli europei, proni al credo filo occidentale di una culla di civiltà medio-orientale e mediterranea, i Veda sono posti attorno al primo millennio a.C. e le Upanishad al periodo appena antecedente la nascita del Buddha storico (VI secolo a.C.). Ovviamente per alcuni storici indiani le date sono diverse e sono di  molto antecedenti  da quanto affermato dagli storici europei.  Ma analizziamo i concetti espressi e lasciamo da parte le datazioni (irrilevanti ai fini della sostanza).

La peculiarità della filosofia Advaita Vedanta è che non si rifà ad alcuna divinità personale.  L'Assoluto non duale è  tra l'essere ed il non essere. Esso è il  Sé (Atman), ovvero la  Consapevolezza priva di attributi,  che è contenitore e contenuto di tutto ciò che si manifesta,  autoesistente, e contemporaneamente   aldilà di ogni manifestazione e pensiero.

Il Sé gode della sua stessa illusione di esistere come oggetto separato e distinto da se stesso e -secondo il Vedanta- questa commedia si rende possibile attraverso cinque maschere o “guaine” (in sanscrito “kosha”) che nascondono il Sé al sé (l’Io assoluto all’io relativo).

Esse sono: “annamaya”, “pranamaya”, “manomaya”, “vijnanamaya” e “anadamaya”.

Annamaya è la guaina composta dal cibo, il corpo fisico. I suoi costituenti sono i cinque elementi nello stato grossolano, in vari gradienti di mistura. Dello stesso materiale sono fatte le cose del mondo oggettivo sperimentato.

Pranamaya è la guaina dell’energia vitale (nella Bibbia “soffio vitale”) è quella che denota la qualità vitale, la sua espressione è il respiro, in sanscrito “prana”, e le sue cinque funzioni o “modi”: “vyana” quello che va in tutte le direzioni, “udana” quello che sale verso l’alto, “samana” quello che equipara ciò che è mangiato e bevuto, “apana” quello che scende verso il basso, “prana” quello che va in avanti (collettivamente vengono definiti con il termine “prana”).  Alla guaina del “prana” appartengono anche i cinque organi di azione, ovvero: la parola, la presa, il procedere, l’escrezione e la riproduzione.

Manomaya è la guaina della coscienza, o mente individuale, le sue funzioni sono chiedere e dubitare. I suoi canali sono i cinque organi della sperimentazione: udito, vista, tatto, gusto ed olfatto.

Vijnanamaya è la guaina dell’auto-coscienza, o intelletto, cioè l’agente ed il fruitore del risultato delle azioni. Questa maschera, od involucro, è considerata l’anima empirica che migra da un corpo fisico ad un altro (nella teoria della metempsicosi).

Anadamaya è la guaina della gioia, non la beatitudine originaria che è del Brahman, essa è la pseudo beatitudine (sperimentata nel sonno profondo) del cosiddetto “corpo causale”, la causa prima della trasmigrazione, un altro suo nome è “avidya” ovvero nescienza od ignoranza del Sé.

Secondo lo studioso indiano T.M.P. Mahadevam è possibile riordinare queste cinque maschere in tre “corpi”:

1 - “annamaya”, il corpo fisico grossolano;

2 - “suksma-sarira” il corpo sottile, l’insieme delle tre guaine di prana mente ed intelletto  (”pranamaya, “manomaya” e vijnanamaya”);

3 - “karana-sarira”, il corpo causale della guaina “anandamaya”.

E’ per mezzo di questi tre corpi che noi sperimentiamo il mondo cosiddetto “esterno” nei tre stati di veglia, sonno e sonno profondo.

L’esperienza empirica si manifesta attraverso le cinque guaine, proiettate o riflesse nel concetto di “spazio” e “tempo”, senza di esse la coscienza relativa di un “mondo” non potrebbe sussistere.

Come diceva il filosofo  M. Heidegger : "Com’è che l’esistenza umana si è procurata un orologio prima che esistessero orologi da tasca o solari?…Sono io stesso l’ ”ora” e il mio esserci il tempo? Oppure, in fondo, è il tempo stesso che si procura in noi l’orologio? Agostino ha spinto il problema fino a domandarsi se l’animo stesso sia il tempo. E, qui, ha smesso di domandare...”

Paolo D'Arpini

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