venerdì 31 maggio 2019

Il Libro dei mutamenti e lo Zodiaco Cinese - Presentazione

Il Libro dei Mutamenti e lo Zodiaco Cinese
Un antichissimo specchio caratteriale per conoscere la nostra persona e  relazionarci con ciò che ci circonda

I Ching 0_Monete

Con questa presentazione forniamo gli strumenti, mediante spiegazione e schemi, per individuare il proprio segno (l’archetipo animale) zodiacale cinese per anno di nascita con  l’esagramma I Ching associato, l’animale zodiacale per mese, per giorno, per ora, l’elemento, il segno yin o yang. Quindi, attraverso successivi incontri,  andremo alla scoperta delle caratteristiche archetipali ed elementali collegate ad ognuno di noi ed a tutte le cose che ci circondano. Un metodo di auto-conoscenza e di risveglio delle nostre capacità  per rispondere adeguatamente alle situazioni, alle  condizioni ambientali e sociali, in cui veniamo a trovarci nella vita. 

La storia
Esiste in Cina un libro che rappresenta sinteticamente tutto ciò che sta fra Cielo e Terra, si chiama I Ching, ovvero il Libro dei Mutamenti. Questo libro è un compendio di consigli pratici e di comportamento nella vita quotidiana, un prontuario di saggezza attiva che affonda le sue radici nell’antichissima filosofia di vita e la cultura tramandata dalla tradizione orale cinese e dagli antichi testi sacri, partendo dal periodo matristico sino all’affermazione buddista, dove Confucianesimo e Taoismo si integrano. La morale confuciana, come pure quella taoista e buddista, è fondata unicamente sulla ragione e sul buon senso: Confucio (nato nel 551 a.C.) ha sempre parlato da uomo ad altri uomini e mai come messaggero di una divinità che l’avesse eletto messia o profeta, divulgando un metodo per stabilire il benessere sociale delle masse e per mantenere la struttura familiare. Per questa ragione il Confucianesimo non è mai stato sconfessato dal comunismo maoista, e viene ancora oggi onorato in Cina come una religione. Nei suoi insegnamenti l’uomo fu creato per vivere secondo ragione, cioè lottando contro le forze avverse e basse dell’istinto, e vivendo in accordo con gli altri uomini, seguendo un codice di principi e doveri conformi alla nobiltà e dignità dell’essere umano. Le cinque virtù cardinali dell’uomo per Confucio sono: la bontà, l’equanimità, la convenienza (cioè il pronto adattamento al tempo ed alle circostanze), la saggezza e la sincerità. Ed è soprattutto alla sincerità che egli dedicò le lodi più alte. Egli raccomandò energicamente i doveri verso i parenti, il rispetto e la cura per i più vecchi, la dedizione verso gli amici, la coscienziosità in ogni atto compiuto, l’autocontrollo e la moderazione. “Il bene supremo dell’uomo non sono il piacere, né gli onori, né la ricchezza… ma è la virtù, sorgente di ogni bontà”. Confucio preferiva l’attenzione rivolta ai fatti concreti dell’esistenza piuttosto che alle meditazioni trascendentali: nell’I Ching il Cielo e la Terra sono i genitori di tutte le creature e invece delle preghiere viene indicato il retto comportamento come “bene supremo per l’uomo”. A proposito dell’aldilà egli affermava: “Se non si conosce ancora la vita come si potrà conoscere la morte?”. Egli stabilì una dottrina puramente laica, come diremmo oggi, basata su principi logici, etici, estetici e intellettivi, a buona ragione può essere definito un precursore e degno rappresentante della Spiritualità Laica. Confucio e i suoi seguaci, ovvero la stragrande maggioranza del popolo cinese, disprezzano perciò quel che non è cogente, che non rappresenta un fondamento e non ha radici nella vita comunitaria. Lo “spirito” di Confucio è il risultato dell’analisi comportamentale, psicologica, archetipale dell’uomo. Egli soleva dire: “Io non voglio fare dell’uomo un mistico, quando ne ho fatto un perfetto onest’uomo ciò mi basta”. Assai prima dello stoicismo greco egli insegnò l’amore per tutto il genere umano e “precorrendo” il cristianesimo disse “Non fate agli altri ciò che non volete fatto a voi!”.

I Mutamenti
L’I Ching insegna che è necessario imparare a “orizzontarsi”: la realtà in cui viviamo è in continuo movimento, e cosa naturale e propizia è adeguarsi, adattarsi, mentre sfavorevole è agire contro il contesto in cui ci si “muove”. I principi fondamentali dell’esistenza vengono rappresentati graficamente con linee: la linea intera è Cielo, lo Yang, il polo positivo, mascolino, attivo. Poi c’è la linea spezzata, Terra, lo Yin, il polo negativo, femminile, il passivo. Per descrivere le relazioni fra questi due opposti che esprimono gli archetipi base, si combinano queste linee, intere e spezzate a gruppi di tre ottenendo così otto diversi trigrammi: avremo la prima linea sotto, che descrive la terra, la seconda centrale l’uomo, quella sopra il cielo 
Combinando ancora tra loro i trigrammi, si otterranno 64 esagrammi, composti cioè da sei linee, che andranno letti sempre dal basso all’alto, cioè dalla terra al cielo. 

Nella consultazione  dell'I Ching, il metodo più conosciuto è quello del lancio di tre monetine a due facce, yin e yang,  in modo da ottenere l’esagramma del quale si andrà a leggere il significato, che sarà l’oracolo, il messaggio sincronico a noi diretto. Ma qui se ne farà un altro utilizzo, quello di considerare i diversi esagrammi a noi connessi  (sia in positivo che in negativo) attraverso l'analisi dei vari aspetti di nascita,  descritti più avanti, associando inoltre agli archetipi incarnati nello zodiaco cinese agli  esagrammi del calendario: 12 esagrammi in sequenza, uno per ogni mese, che rappresentano il ciclo delle stagioni, dove le linee intere rappresentano la luce che cresce fino al culmine nella bella stagione, per essere poi sostituiti dalle  linee spezzate che, rappresentando l’oscurità,  che aumenteranno con l’avvicinarsi dell’inverno .


Lo zodiaco cinese è rappresentato da 12 animali, che già intuitivamente descrivono le caratteristiche dei nati in quel segno. 

Per comporre un quadro personale sarà necessario considerare alcuni aspetti sostanziali: in primis  l'anno di nascita  (tenendo presente che per i cinesi l’anno non è solare, ma lunare, quindi inizia tra il 21 gennaio e il 19 febbraio), l’anno di nascita  rappresenta il senso di identità, l’io, quello che siamo nei rapporti interpersonali e nei modi manifestativi.

Poi c’è l’ascendente, stabilito dall’ora in cui si è nati: si riferisce all’intelletto e alla volontà dell’individuo, svela chi siamo veramente senza le influenze forniteci dall’ambiente e dalla formazione. Per il calcolo dell’ascendente  le ventiquattro ore sono divise in fasce di due ore, ad ognuna delle quali è associato uno dei dodici animali: dalle 23:00 all’1:00 il topo, dall’1:00 alle 3:00 il bue, dalle 3:00 alle 5:00 la tigre, dalle 5:00 alle 7:00 il coniglio, dalle 7:00 alle 9:00 il drago, dalle 9:00 alle 11:00 il serpente, dalle 11:00 alle 13:00 il cavallo, dalle 13:00 alle 15:00 la capra, dalle 15:00 alle 17:00 la scimmia, dalle 17:00 alle 19:00 il gallo, dalle 19:00 alle 21:00 il cane, dalle 21:00 alle 23:00 il maiale.


Infine  c’è il  giorno ed il mese di nascita che è l’animale che potremmo definire geneticoquello cioè che descrive il nostro aspetto psicosomatico, la memoria, le propensioni innate,  come appariamo  agli altri a primo impatto.  Queste caratteristiche combaciano in parte con quelle del  mese di nascita dell'astrologia occidentale, con inizio e fine come indicato  nei segni astrologici  conosciuti in occidente. Cioè: dal 21 gennaio al 19 febbraio Tigre (Acquario); dal 20 febbraio al 20 marzo Lepre o Coniglio (Pesci); dal 21 marzo al 19 aprile Drago (Ariete); dal 20 aprile al 20 maggio Serpente (Toro); dal 21 maggio al 21 giugno Cavallo (Gemelli; dal 21 giugno al 21 luglio Capra o Pecora (Cancro); dal 22 luglio al 21 agosto Scimmia (Leone); dal 22 agosto al 21 settembre Gallo (Vergine); dal 23 settembre al 22 ottobre Cane (Bilancia); dal 23 ottobre al 21 novembre Cinghiale o Maiale (Scorpione); dal 22 novembre al 21 dicembre Topo (Sagittario); dal 22 dicembre al 20 gennaio Bue o Bufalo (Capricorno).  Ovviamente vanno anche considerate le posizioni di nascita all'interno del mese (come i nostri decani) ed anche il giorno preciso di nascita, il tutto calcolando una sequenza che parte con un punto in espansione e termine con una magnificazione. Va considerata anche la vicinanza o la lontananza dai quattro movimenti principali ovvero gli equinozi ed i solstizi.

C'è quindi da considerare il luogo di nascita che è quello che stabilisce la nostra forma mentis sociale, il tipo di educazione e l'adeguamento a norme collettive, etc. insomma per noi italiani possiamo definirla "l'italianità che è in noi". Ogni paese ha un suo speciale oroscopo che influenza in diversi gradienti ognuno dei nati in quel paese.

Dopo l'analisi di questi aspetti si deve verificare il principio a noi riferito,  yin o yang, gli anni dispari sono considerati yin, (il segno -, la femminilità, la passività, il freddo, la ricettività) mentre gli anni pari sono yang (il segno +, la mascolinità, l’attività, il calore, l’aggressività). Di conseguenza il bue, il coniglio, il serpente, la capra, il gallo e il maiale sono yin, mentre il topo, la tigre, il drago, il cavallo, la scimmia e il cane sono yang. Questi segni vanno poi suddivisi in triangoli di affinità e di opposizione, sia per i segni yin che per quelli yang. In ogni persona  queste due definizioni sono presenti, ma a seconda che si sia nati in un anno yin o in un anno yang, in un'ora yin od in un'ora yang, in un mese yin od in un mese yang, in un elemento  maggiormente qualificato yin o yang, uno dei due principi sarà preponderante nella personalità. Questa distinzione può essere avvicinata a quella che viene fatta nell’astrologia occidentale tra segni maschili e segni femminili.

L’ultimo elemento, ma forse il più significativo dal punto di vista delle propensioni innate,  che influenza il quadro astrologico è l’associazione del segno zodiacale a uno degli elementi costitutivi dell’universo, che nello zodiaco cinese sono cinque: terra, metallo, acqua, legno e fuoco. 

Dalla Terra si ricava il Metallo, dal Metallo viene l’Acqua, dall'Acqua  sorge il Legno, il Legno brucia e genera il Fuoco, il Fuoco produce la cenere cioè la Terra, questo l’ordine in sequenza armonica. Ogni elemento caratterizza un biennio, in cui  l’anno pari è yang e l’anno dispari è yin. Per conoscere l’elemento associato al proprio segno, basta considerare l’ultimo numero del proprio anno di nascita. Se termina in 0 o 1 l’elemento è metallo, in 2 o 3 è acqua, in 4 o 5 è legno, in 6 o 7 è fuoco e in 8 o 9 è terra. Dal punto di vista zodiacale, i cinque elementi influiscono sull’andamento dell’anno, interagendo con l’elemento individuale.


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I Ching e lo zodiaco Cinese
Integrando 12 esagrammi I Ching con i corrispondenti 12 simboli dello zodiaco cinese e con i 12 mesi dell’anno, si ottiene un quadro di nascita particolarmente accurato: l’analisi dei simboli e dei significati consentirà di comprendere la nostra vera natura, conoscere le nostre propensioni e in generale ciò che sentiamo di essere  e quale è il  nostro dharma. 

Stabiliti quindi gli aspetti  basilari qui descritti sinora descritti si può passare all’esame del proprio profilo, e affrontare anche l'analisi dell’anno in corso: considerando tutte le caratteristiche psichiche e le energie elementali da noi incarnate  per poterci  muovere  in armonia  con le condizioni insite nell'anno. 

Il significato di questa ricerca su quel che noi  rappresentiamo in quanto nome e forma.

“La casa è il corpo più grande” diceva il poeta e saggio Kalil Gibran ed è vero… perché sentire di stare a casa sorge dal senso di presenza in cui si riconosce la propria casa. Quindi la casa non è un luogo ma uno stato di coscienza.
Ma non è detto che questa condizione di totale “affrancatura” debba essere raggiunta con la morte, può avvenire anche nel corpo il momento in cui i legacci col mondo vengono recisi, il momento in cui il senso di identificazione con l’ego viene sciolto, per ritrovare la propria natura originaria nel Sé.
Questa scoperta di Sé, in verità, non è ottenibile in alcuna forma ma è solo un “riconoscimento”… Per aiutare questa “ricerca”  presento questo metodo di auto indagine, che parte dalla conoscenza delle propensioni innate manifestate nella propria mente. La mente personale è in realtà una sorta di immagine speculare, un riflesso non realmente esistente, ma dobbiamo partire da questa se vogliamo scoprire il reale “soggetto”.
Introduzione generale al discorso:
Semplici attori, finché separati, poi, superata la dualità, non ha più nessuna importanza… Il fiore non ha più nome né forma è solo un fiore unico ed irripetibile nel giardino della Coscienza.
Tema trattato durante il corso: La conoscenza di sé attraverso gli archetipi e lo studio dell'I Ching,  dello zodiaco e degli elementi cinesi  e  comparazioni e somiglianze con il sistema  elementale indiano. Indagine sulle componenti psichiche energetiche e come armonizzarle nelle varie condizioni della vita.
Premessa
La nostra vita è legata ad una serie di circostanze di cui non abbiamo il controllo ma, come diceva Nisargardatta, noi siamo parte integrante della manifestazione totale e del totale funzionamento ed in nessuna maniera possiamo esserne separati… Di conseguenza, essendo coscienza nella coscienza, siamo in grado di riconoscere il flusso energetico nel quale siamo immersi e far sì che il nostro pensiero e la nostra azione siano in sintonia con la qualità dello spazio-tempo vissuto. In questo perenne rimescolamento energetico, noi siamo come navigatori senza meta, o guerrieri –se preferite- liberi di affrontare il contingente senza paure.
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“Se temi la sofferenza –diceva un samurai- come fai a combattere?”
Vediamo ora che dal tutto il tutto si dipana dinnanzi ai nostri occhi…. 12 animali si presentano al Buddha morente ed ognuno ottiene di incarnare le caratteristiche psichiche che contraddistinguono i tre aspetti di anno, mese e ora, in base alle propensioni naturali, di ogni essere vivente. Essi sono maschili e femminili e manifestano le loro caratteristiche tramite le 5 componenti fondamentali: Terra (devozione), Metallo (giustizia), Acqua (saggezza), Legno (etica), Fuoco (costumi).
Il funzionamento è più o meno quello del caleidoscopio. Alcuni elementi colorati e tre specchietti interni. Girando il tubo si ottengono diverse composizioni. Malgrado l’esiguità delle componenti i risultati possono essere infiniti. Questo stesso concetto (traslato ai 5 elementi ed ai tre aspetti psichici incarnati) mostra la variegazione di tonalità di colore e movimento attraverso la quale la coscienza individuale si manifesta (la forma ed il nome). La coscienza di sé, che noi chiamiamo persona, è un coordinatore interno, adattato all’individuazione, il quale si appropria delle funzioni messe in atto. Lo chiamiamo: io.
Questo ‘io’ (o assuntore interno) è l’apparenza identificativa individuale nella quale solitamente ci riconosciamo. Propriamente parlando questo “ego” è esso stesso la “conseguenza” delle energie messe in moto dai vari elementi e dai tre archetipi incarnati, quindi è inerte (come un programma), ed è un oggetto nella coscienza.
I tre archetipi psico-emozionali, inscindibili nel loro miscuglio, rappresentano:
Il senso dell’io, ego = anno di nascita;
l’intelletto o intuizione = ora di nascita;
la memoria o predisposizione = mese di nascita.
Capire il senso dell’abbinamento archetipale con le condizioni dell’ora e del mese di nascita, è facile da accettare giacché siamo abituati a pensare che ogni momento della giornata ed ogni stagione ha i suoi modi, e tutte le creature sono soggette a questi modi. Ma il primo aspetto dello zodiaco cinese, quello dell’anno, è più duro a digerirsi per la nostra mentalità razionalistica. Come è possibile che un dato anno possa essere qualitativamente diverso dall’altro solo sulla base di un calendario arbitrariamente deciso dall’uomo?
Impostosi nella cultura cinese e dell’estremo oriente e provenendo da una tradizione plurimillenaria (sicuramente di origine matristica) il calendario ciclico, di 13 lune e di 12 archetipi animali (che rotano abbinati agli elementi in turni di 60 anni), è stato anno per anno vagliato e corroborato dall’esperienza di milioni e milioni di persone, in cui i comportamenti corrispondevano ai modelli indicati in un raffronto oggettivo e riscontrabile nei fatti. Alcuni analisti vedono un significato in un’altra coincidenza, il percorso dodecennale che la terra compie attorno al sole per fare un giro completo (una specie di viaggio in treno con 12 stazioni annuali). Si può anche fare a meno di credere a questa “qualità del tempo” ma stando ai risultati essa è confermata, ahimè! Quegli archetipi animali esistono e sono riconoscibili nelle caratteristiche variegate degli individui di tutto l’emisfero settentrionale (la nostra metà del mondo), senza peraltro sapere cosa succede nell’emisfero meridionale (che teoricamente dovrebbe avere valenze rovesciate).
Con tutti questi dubbi in testa, siamo un po’ come gli alchimisti che sperimentano onestamente e coraggiosamente con i loro tre elementi basici, inserendo all’occorrenza nuove figure e varianti. Questo è il lavoro ingrato e meraviglioso del “navigatore nel sé”. L’Ulisse in noi, disincantato e schietto, che “vede” e riesce ad orizzontarsi, avverte l’odore delle cose incombenti per come si stanno manifestando. Non per opporvisi ma per esprimersi al meglio e proseguire nel viaggio. Chiunque potrebbe farlo se sta attento ai segnali costanti e continui che la vita ci manda.
L’intelligenza intuitiva –lumen- non è propriamente basata sulla percezione sensoriale o sul raziocinio ma sulla abilità di orientarsi prima che la percezione sensoriale od il pensiero abbiano modo di esprimersi. Quindi è una capacità naturale –immediata- dell’intelligenza, che viene prima ancora dell’istinto. Un sentire ed allo stesso tempo una sintesi analogico-analitica. E’ l’intuizione innata che ci dice tutto quello che è, come è, senza analisi risolutive, bisogno di prove o riscontri.
Si procede a naso –dicevo- ed infatti l’olfatto appartiene all’elemento Terra, quello più solido. La matrice di ogni manifestazione concreta. E’ la Terra stessa che fa nascere tutti gli esseri e li nutre in se stessa. Mentre il Cielo energizza e vivifica con la coscienza tutte le forme. Ma attendiamo un po’ prima di affrontare il discorso dello Yin e dello Yang e degli elementi e torniamo ai tre archetipi. Essi “sembrano” tre in verità son tre aspetti della stessa personalità. Ognuno di noi manifesta una forma esemplare a tre facce (designanti le nostre caratteristiche). Sul come sopravviene l’influenza di una o l’altra di queste facce, sul perché capiti ad una piuttosto che un’altra, diremo che è destino!
Le tendenze innate che si riflettono nello specchio, perennemente cangianti, son le correnti in cui l’io si muove. Se vogliamo osservare una cosa piccola bisogna ingrandirla attraverso il microscopio, ma se vogliamo ampliare il campo di azione dobbiamo distaccarci il più possibile dalle cose attorno a noi, in modo da percepire il senso d’insieme. Questa corsa in tondo verso l’auto-conoscenza è un vagare trasognato, un’attenzione senza risposta, solitudine e silenzio, osservazione e contemplazione, fluire limpido nei mutamenti, sorridere nel rincorrere il vuoto. Ma allora di cosa continueremo a parlare?
La fase “intermedia” dell’illuminazione, quella del santo, rientra ancora nella sfera del mentale, delle cose che possono essere discusse e trasmesse. Flash di realizzazione, esperienze al limite del transpersonale, che contemporaneamente ci consentono di riconoscerci in sintonia elettiva, colori dello stesso arcobaleno, e di ciò possiamo ancora parlare, attraverso evocazioni consapevoli. La trasmissione, o meglio il riconoscimento, avviene per immagini (come succede ai bambini che riconoscono l’aggregazione concettuale, il senso, di parole sconosciute); questa “trasmissione” può essere fatta utilizzando vari modi comunicativi e sensoriali: per empatia emozionale, a voce, con lo sguardo, con il tatto, ed anche con lo scritto, se esso rispecchia fedelmente le qualità necessarie e si crea un’attenzione indisturbata al tema trattato.
Un detto Taoista per “cristallizzare” l’immagine: “Il santo comprende l’intrigo del mondo ed abbraccia l’universo senza sapere perché. Questo è il manifestarsi della sua natura”.
Ed ora una storiella:
Alcuni suoi seguaci domandarono al bandito Hòu: ”Anche per i ladri esiste una Via (Tao)?” – “Eh, certo che sì.. – rispose Hòu- Santità è intuire dove giace un tesoro nascosto, Eroismo è entrare per primo nella casa, Giustizia è uscirne per ultimo, Saggezza è distinguere il colpo che si può tentare, Umanità significa essere equanimi nel dividere il bottino. Al mondo non è mai esistito un gran ladro che non abbia manifestato queste qualità”. (Chuang Tze)
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Appendice 1. La visione nonduale 
Attraverso le capacità riflettenti dell’organo interno (antakharana) siamo in grado di manifestare energie psicofisiche in rispondenza a quelle percepite fuori di noi. Questa rispondenza è automatica ed inevitabile, è una legge naturale. Pensare di sfuggirne il corso è assurdo come pensare di cambiare il film mentre la pellicola viene proiettata. Ma l’atteggiamento interno è importante! Infatti l’accettazione del proprio destino scioglie l’attaccamento all’utile ed all’inutile che ci spinge nel ciclo delle rinascite.

Nell’ignoranza ci identifichiamo con i personaggi e ci consideriamo autori e responsabili del gioco vissuto, con guadagno e perdita, la verità è che il nostro io, la coscienza individuale, la persona da noi incarnata, è solo un’immagine. Il risultato di un automatismo distratto e di una identificazione illusoria. Questo dobbiamo comprendere bene se non vogliamo che la mente ci imbrogli. Non cadiamo nel delirio dell’io separato, anche se la coscienza che lo anima è vera sin d’ora e siamo già dotati del capitale iniziale per quella “conoscenza di sé” è assurdo e ridicolo pensare di “ottenerla” –strettamente parlando non è possibile. Essa è già integralmente manifesta qui ed ora e quindi non perseguibile come ottenimento altro. Presente sempre….. ma ne teniamo conto, ne siamo consapevoli?
Se ci sentiamo attratti da questa “conoscenza” occorre dire che non c’è corso o spiegazione o esperimento che possa trasmetterla, può essere solo riconosciuta (risvegliata) per simpatia nel momento della maturazione. Siccome non è un “conseguimento” continuiamo ad “andare avanti a fiuto”.
Appendice 2 – Sul messaggio  dell’I Ching (Libro dei Mutamenti)
Confucio andò a trovare Lao Tze e gli chiese: “Cos’è lo Yin e cos’è lo Yang?” Rispose Lao Tze: “Lo Yin è lo yin è lo Yang è lo yang”.
“Allora cos’è il Tao?” domandò ancora Confucio. E Lao Tze: “Il Tao entrambi li comprende ed entrambi li supera, altro non si può dire”.
E rimasero in silenzio.


In questo breve dialogo immaginato si condensa la saggezza cinese. E’ da queste premesse che dobbiamo partire se si vuol tentare di penetrare nel mondo archetipale del Libro dei Mutamenti. Penetrare non vuol dire “capire” ma “orizzontarsi”. In effetti non c’è una direzione da seguire ma solo un intuito legato alla coscienza del continuo mutamento. Senza mutamento non c’è vita.
Aggiustamento alle condizioni presenti è naturale e propizio, reagire contro il contesto in cui ci si muove è sfavorevole. Semplice no? Persino banale, anzi è inevitabile. E’ come coprirsi quando fa freddo e spogliarsi quand’è caldo. Ma è sempre così nella vita individualizzata di ognuno? Di fatto, dicono i saggi Cinesi, sì.
Ma come viverlo consapevolmente? La risposta è: Aderendo al Tao. Seguendo cioè la Virtù e la via del nobile, nel costante fluire dei mutamenti.
Nella coscienza tutto è in movimento nulla è fermo. Sono 64 questi modi espressivi della coscienza, definiti esagrammi, e nascono da 8 trigrammi primordiali che indicano le 8 direzioni e le otto tendenze innate del divenire, essi sono: Kien, il Creativo; Kun, il Ricettivo; Chen, l’Eccitante; Sun, il Penetrante; Kan, il Profondo; Li, il Luminoso; Ken, il Riflessivo; Tui, il Sereno. Ecco da questi trigrammi per moltiplicazione spontanea sorgono (8X8) i 64 esagrammi. Esemplificazioni, immagini, di stati di un mutamento ciclico ed allo stesso tempo evolutivo, in senso elicoidale. Ogni forma vivente nasce con alcuni di questi esagrammi, in evidenza congenita.
Come fare a sapere quali sono gli esagrammi correlati alla nostra particolare nascita, o incarnazione, è tuttavia molto semplice. Partendo dall’alternarsi dello Yin e dello Yang ognuno nasce con aspetti diversi sulla base dell’anno, ora, mese. Questi aspetti disegnano un trigramma, se poi si considerano gli stessi aspetti in chiave elicoidale ordinata essi possono cambiar posizione e darci quindi un altro trigramma. Questi due trigrammi sovrapposti, in basso il primo ed in alto il secondo, ci dicono quali sono gli esagrammi archetipali di nascita.
Poi occorre vedere gli esagrammi energetici, correlati ai 5 elementi. Anche qui è facile basta continuare a considerare gli aspetti Yin e Yang correlati ad ogni elemento che appare nel quadro della nascita. Primo aspetto è quello dell’anno, seguito dal fisso dell’archetipo incarnato, poi l’ora, il mese, il luogo e la condizione dell’ente (se maschile o femminile) otteniamo così un esagramma rovesciabile (diventano cioè due) che indicano le propensioni “elementali” della nascita. Sapersi orizzontare in questo mondo psichico a cosa serve? Semplicemente a riconoscere ciò che  si è.
Attraverso questo corso non è nelle mie  intenzioni promuovere alcunché o fissare delle immagini comparative. Dal tutto nasce un tutto che segue tutto. Il saggio che incarna questa visione non desidera cambiare nulla in funzione di un ipotetico ottenimento “altro”. In pratica significa: libertà espressiva e gioia di vita.

Paolo D’Arpini 

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spiritolaico@gmail.com


lunedì 27 maggio 2019

The jīva (the individual soul) according to the Upanishads - L’anima individuale (jīva) come descritta nelle Upaniṣad


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According to the advaita vedānta (non-dual Vedānta), a metaphysical doctrine that transcends duality, there exists only a single Reality without a second, expressed through Brahman (nirguṇa, meaning 'devoid of attributes'), eternal and immutable, a sort of matrix from which, like an image reflected in the mirror, flows the saguna Brahman (with attributes), which permeates and sustains the entire visible and invisible universal manifestation, qualified precisely by the opposites expressed in it.

Equally therefore and by extension the ātman, divorced from any dualism, is devoid of attributes, uncontaminated, "eternal and all-pervading as the ether" but distinct from it, it is the Self, the Spirit (like Plato), which it vitalizes the manifested entity, completely outside time-space-cause and as such coinciding with Brahman (nirguṇa).

However, it is necessary to warn the reader against falling into the trap of imagining the self, the individual soul, as a physical entity, albeit subtle, that can therefore have its seat and form, many in fact deceitfully consider it abiding in the body, this I am all-pervasive like the One Cause from which it arises; as an example we consider the radio waves, they bear a shape, a frequency, etc., that is they can be described according to their physicality, but we know that something else is the ineffable information that they carry, at the same time distinct, albeit for cognitive needs, space (the primordial unifenomenic element) from the ātman / Brahman.

The form of the jīva consists of a toroid pivoted on the spiritual heart, a space (ākāśa), placed symmetrically to the left of the heart muscle and therefore not to be confused with it. The heart, the true pulsating center of the prāṇa vital energy (ie the ether, in the form of vital energy), is described as a cavity (dahara); in it, thanks to the creation of true absolute emptiness, a double vortex of prāṇa is produced, composed of a centripetal verse that attracts it and a centrifugal one that redistributes it.

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The median prāṇa is the main one from which the other secondary prāṇas (the apāna, the vyāna, the udāna, the samāna, and the ana) originate, it feeds all the organs making them active, if one of them departs, that one dries up, if one of these abandons an organ, the respective function ceases, if instead the prāṇa leaves the body, the whole vital function ceases in it7. In truth the body surely dies when it is separated from the jīva, but the jīva does not die.

The prāṇa brings to life all the bodies of the micro and macro cosmos, it is the element for which the gross and subtle forms (of any kind) can find nourishment and increase, in truth it keeps alive all the inhabitants of the universe, any natural food is eaten, this releases the prāṇa that circulates in it; prāṇamayakosa is the sheath of the vital energy that keeps man's dense body alive and active.

When the jīva abandons the body, prāṇa follows it, so all prāṇas follow it along the 100 nāḍīs that branch out from the heart, besides those only one nth, udāna, can proceed towards the outside passing through the vertex of the head.

If the jiva ascends along that, immortality is achieved. The yogi can consciously implement this event of exit and entry from the body by passing from the top of the head, having acquired the mastery of working on the element ākāśa (space or ether), from which air, fire, water and earth are born, then the mind, the word, the sight and the hearing; indeed all the faculties9 of the incarnated being come from the jīvātman (the conscious I of being One), or rather from the ātman / Brahman, and therefore not from the dense body, it is up to the jīva to prepare to exercise them. It is the atman who brings the ray of awareness to the identified body, making it aware of its existence.

The body surely dies when it is separated from the jīva, but the jīva does not die, because it is a reflection or a conscious ray of the unborn atman.

Indeed, one comes into existence in accordance with one's awareness, how one acts and how one behaves, so he becomes, so that some jivas return to incarnate in a womb to cover themselves with a body, others assume an inert condition according to karma and learned knowledge.

The jīva, which is the size of a thumb, has the same nature as the sun, is endowed with the determination and the sense of the ego as well as the qualities of the intellect and the quality of the body and is as big as the end of a spur, indeed , is perceived as being different from the ātman.

But he who knows the Brahman, in the supreme space enclosed in the hollow of the heart, he fulfills all desires by being identified with Brahman. When this spark (jīva) discovers its true nature, it creates identity with its divine counterpart (ātman-Brahman).

Giuseppe Moscatello




Testo italiano: 

Secondo l’advaita vedānta (Vedānta non duale), dottrina metafisica che trascende la dualità, esiste solo un’unica Realtà senza secondo, espressa attraverso il Brahman (nirguṇa, ossia ‘privo di attributi’), eterno e immutabile, una sorta di matrice dalla quale, come un’immagine riflessa nello specchio, scaturisce il Brahman saguna, (con attributi), che permea e sostiene l’intera manifestazione universale visibile e invisibile, qualificata appunto dagli opposti in essa espressi.

Al pari dunque e per estensione l’ātman, avulso da qualsiasi dualismo, è privo di attributi, incontaminato, “eterno e onnipervadente come l’etere” ma da esso distinto, è il Sé, lo Spirito (al pari in Platone), che vitalizza l’ente manifestato, completamente al di fuori del tempo-spazio-causa e in quanto tale coincidente col Brahman (nirguṇa).

Occorre però mettere in guardia il lettore dal non cadere nel tranello di immaginare il sé, l’anima individuale, come un ente fisico seppur sottile che possa perciò avere una sua sede e una forma, molti infatti ingannevolmente la considerano dimorante nel corpo, quest’Io è onnipervadente al pari della Causa Una dalla quale sorge; come esempio consideriamo le onde radio, esse recano una forma, una frequenza, ecc., sono cioè descrivibili secondo la loro fisicità, sappiamo però che ben altro è l’ineffabile informazione che esse trasportano, al pari van distinti, seppur per necessità cognitive, lo spazio (l’elemento primordiale unifenomenico) dall’ātman/Brahman.

La forma del jīva consiste di un toroide imperniato sul cuore spirituale, uno spazio (ākāśa), posto nel petto simmetricamente a sinistra del muscolo cardiaco e quindi da non confondere con esso. Il cuore, vero centro pulsante dell’energia vitale prāṇa (ossia l’etere, nella forma dell’energia vitale), è descritto come una cavità (dahara); in essa grazie all’ingenerarsi del vero vuoto assoluto si produce una doppia vorticazione del prāṇa, composta da un verso centripeto che lo attrae e uno centrifugo che lo ridistribuisce.

Il prāṇa mediano è quello principale da cui provengono gli altri prāṇa secondari (l’apāna, il vyāna, l’udāna, il samāna, e l’ana), esso alimenta tutti gli organi rendendoli attivi, se da uno di questi si diparte, quello stesso si inaridisce, se uno di questi abbandona un organo, cessa la rispettiva funzione, se invece il prāṇa abbandona il corpo, cessa in esso per intero la funzione vitale7. In verità il corpo sicuramente muore quando è separato dal jīva, ma il jīva non muore.

Il prāṇa reca vita a tutti i corpi del micro e macro cosmo, è l’elemento per cui le forme grossolane e sottili (di qualunque genere), possono trovare alimento e accrescere, in verità mantiene in vita tutti gli abitanti dell’universo, qualsiasi cibo naturale venga mangiato, questo rilascia il prāṇa che in esso stesso circola; la prāṇamayakosa è la guaina dell’energia vitale che mantiene in vita e in attività il corpo denso nell’uomo.

Quando il jīva abbandona il corpo, il prāṇa lo segue, quindi tutti i prāṇa lo seguono percorrendo le 100 nāḍī che si diramano dal cuore, oltre quelle solo un ennesima, udāna, può procedere verso l’esterno passando per il vertice del capo.

Se il jīva ascende lungo quella si ottiene l’immortalità. Lo yogi può attuare coscientemente quest’evento di uscita ed entrata dal corpo transitando dal sommo del capo, avendo acquisito quegli la padronanza di operare sull’elemento ākāśa (spazio o etere), dal quale nascono, aria, fuoco, acqua e terra, quindi la mente, la parola, la vista e l’udito; invero tutte le facoltà9 dell’essere incarnato provengono dal jīvātman (l’Io cosciente di essere Uno), o meglio dall’ātman/Brahman, e non quindi dal fisico denso, sta al jīva predisporsi ad esercitarle. E’ l’ātman che reca all’ente individuato il raggio di consapevolezza, rendendolo consapevole della sua esistenza.

Il  corpo sicuramente muore quando è separato dal jīva, ma il jīva non muore, in quanto esso è un riflesso o un raggio coscienziale dell’ātman non nato.

Invero, si viene all’esistenza in accordo con la propria consapevolezza, come agisce e come si comporta, così egli diviene, sicché alcuni jīva ritornano ad incarnarsi in un grembo per ricoprirsi di un corpo, altri assumono una condizione inerte secondo il karma e la conoscenza appresa.

Il jīva che ha la dimensione di un pollice, ha natura identica al sole, è dotato della determinazione e del senso dell’Io come anche delle qualità dell’intelletto e della qualità del corpo ed è grande come l’estremità di uno sperone, invero, viene percepito come se fosse differente dall’ ātman.

Ma colui che conosce il Brahman, nel supremo spazio racchiuso nell’incavo del cuore, costui esaudisce tutti i desideri essendo identificato con Brahman. Quando questa scintilla (jīva) scopre la sua vera natura, crea l’identità con la sua controparte divina (ātman-Brahman).

Giuseppe Moscatello

sabato 18 maggio 2019

The limit of "believing" - Il limite del “credere”


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Some time ago I wrote an article on lay spirituality in which I pointed out the condition of atheists and believers, placing them in a single category of thought, that of "believing". Now I would like to specify better why I place these two apparent "opposites" on the same level. I do this by highlighting how both believers and non-believers need a justification for their conviction.

First of all a question. What is the substantial difference between remaining absorbed in the stillness of undifferentiated consciousness, responding to the stimuli of life with spontaneity and lightness, and the spasmodic reaction based on the assumption of ideological concepts that make us a behavioral cage?

A man studies books on books, listens and gives great speeches, seeks followers and becomes a follower himself, in short, he begins to "believe" in a system, in an advantage, he sets up all his actions in respect of a scheme on which he erects a structure idealistic, with it he believes he can "instruct" others and can express "the truth".

But how is it possible that the truth is static, a preprinted and immobile thing, a rigid ideal? It can be "true" only if it is true in the continuous flow of life, settling and adapting to current circumstances, it does not sclerotize events, imposes no restrictions, it breathes with all that exists.

To rely on a creed (positive or negative) to tell the truth is to want to give words a value that they don't have ... and basically how does the word come about?

The language through which we dare to say "this is the truth" is very far from pure consciousness. In fact, at the beginning there is an abstract awareness, an intelligent and unqualified consciousness, from which the sense of the self arises, the ego, which in turn gives rise to thoughts, concepts, and finally these become words and writing.

So the language is much later than innate knowledge.
How is it possible to express the truth through the word, what is this if not blind arrogance?

When we declare "this is the truth" it is as if we were saying "I know about Rome because it is my team" and we are also convinced, of course, we are convinced even when we say "Christianity is the best, Islam is the best,  atheism is the best, fascism is the best, or rather, it is the best the communism ..." and contrary to contrary everything in which we believe  is always the best.

If we now use a bit of discernment, we cannot help but notice that each of these truths belongs to the self, it is only what we believe in, but can a truth that is only individual be defined as truth? A truth that can be described?

In  an ancient Taoist saying  is declared "the tao that can be said is not the Tao".

And Ramana Maharshi, a sage from India, said: "... the truth is in the profound silence of our heart...".

Unfortunately some people show off their truth to the four winds, claiming to have found it in fantastic projections of the psyche, in the curiosities of various religions, in the hells and paradises, in reincarnation and atheistic materialism, because they love the mystery and not the truth .... And in truth what use are these fake "truths", ignoring the life of the day, of the here and now, if not to speculate on the imaginary of believing?

To experience the truth of life it is enough to stay in the spontaneity of the breath ... without deciding in advance when to inhale and when to exhale ...

In believing we hold ourselves in perpetual apnea ...

Paolo D'Arpini

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Testo Italiano

Tempo addietro scrissi un articolo sulla spiritualità laica in cui segnalavo la condizione degli atei e dei credenti ponendoli in una sola categoria di pensiero, quella del  “credere”. Ora vorrei specificare meglio il perché colloco questi due apparenti “opposti” sullo stesso livello. Lo faccio  evidenziando come entrambi, credenti e non credenti, abbiano bisogno di una ragione giustificativa per la loro convinzione.
Innanzitutto una domanda. Qual’è la differenza sostanziale fra il restare assorbiti nella quiete della coscienza indifferenziata, rispondendo agli stimoli della vita con spontaneità e leggerezza, e la reazione spasmodica  basata sull’assunzione di concetti ideologici che ci fanno da gabbia comportamentale?
Un uomo studia libri su libri, ascolta e tiene grandi discorsi, cerca seguaci e diventa egli stesso seguace, inizia insomma a “credere” in un sistema, in un vantaggio, egli imposta ogni sua azione nel rispetto di uno schema sul quale erige una struttura idealistica, con essa ritiene di poter “istruire” gli altri e di poter esprimere “la verità”.
Ma come è possibile che la verità sia statica, una cosa prestampata ed immobile, un rigido ideale? Essa può esser  “vera” solo se è vera nel fluire continuo della vita, assestandosi ed adeguandosi alle circostanze correnti, essa non sclerotizza gli eventi, non impone restrizioni, essa respira con tutto ciò che esiste.
Basarsi su un credo (in positivo od in negativo) per raccontare la verità è voler dare alle parole un valore che non hanno… ed in buona sostanza come nasce la parola?
Il linguaggio attraverso il quale osiamo affermare “questa è la verità” è molto lontano dalla pura coscienza. Infatti all’inizio esiste una consapevolezza astratta, una coscienza intelligente e non qualificata, da questa sorge il senso dell’io, l’ego, il quale a sua volta dà origine ai pensieri, ai concetti, ed infine questi diventano parole e scrittura.

Quindi il linguaggio è di molto successivo alla conoscenza innata.
Come è possibile che attraverso la parola si possa esprimere la verità, cos’è questo se non cieca arroganza?
Quando noi dichiariamo “questa è la verità” è come se dicessimo “io so’ della Roma perché è la mejio squadra” e siamo pure convinti, certo, siamo convinti anche quando diciamo “il cristianesimo è mejio, l’islam è mejio,  l’ateismo è mejio, il fascismo è mejio, anzi no, è mejio il comunismo...” e contrario per contrario tutto ciò in cui crediamo “è sempre mejio!”.
Se usiamo adesso un po’ di discernimento, non possiamo far a meno di osservare che ognuna di queste verità appartiene all’io, è solo ciò in cui crediamo, ma può esser definita verità una verità che è solo individuale? Una verità che può essere descritta?
C’è un antico detto taoista che dice: “il tao che può esser detto non è il Tao”.
E Ramana Maharshi, un saggio dell’India, disse: “..la verità è nel profondo silenzio del nostro cuore…”.
Purtroppo alcune persone sbandierano la loro verità ai quattro venti, pretendono di averla trovata in fantastiche proiezioni della psiche, nelle curiosità di varie religioni, negli inferni e paradisi, nella reincarnazione e nel  materialismo ateo, perché essi amano il mistero e non la verità… Ed in verità a che servono queste “verità” fasulle, ignorando la vita del giorno per giorno, del qui ed ora, se non per speculare sull’immaginario del credere?
Per sperimentare la verità di vita basta stare nella spontaneità del respiro… senza decidere in anticipo quando inspirare e quando espirare….
Nel credere invece ci tratteniamo in perenne apnea…
Paolo D'Arpini

sabato 11 maggio 2019

Beatific vision of Nisargadatta Maharaj - Visione beatifica di Nisargadatta Maharaj


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The first moment I had always expected was the moment when I was convinced that I was not an individual at all.
The idea of ​​my individuality had made me burn so far. The burning pain was beyond my capacity to endure; but now there is no longer any trace of it, I am no longer an individual.

Now there are no limits to my being. Anxiety and sadness, always present, have vanished and are now bliss, pure knowledge, pure consciousness.

I am now free forever.
I am all bliss, without contempt, without fear.

My conscious beatific form now knows no boundaries.

I belong to everyone and everyone is mine.

The "everyone" is nothing but my identifications
and these together constitute my beatific being.

For me there is nothing like good or bad, loss or profit, high or low mine or not mine.
No one opposes me and I don't object to anyone
because there is no one but myself.

Bliss lies on the bed of bliss.
Rest itself has turned into bliss.

There is nothing that should or should not do,
but my business continues everywhere, every minute.
Love and anger are divided equally
among all, as are work and recreation.

My characteristics of immensity and majesty,
my pure energy, all of me, having realized the golden core, rest in bliss as the atom of atoms.

My pure conscience shines with a majestic splendor.

Why and how consciousness becomes self-conscious is now obvious. The experience of the world is no longer of the world as such, but the blossoming of the same conscious principle, God or whatever it is.

It is pure primordial knowledge, a conscious form, the primordial consciousness "I" that is capable of assuming whatever form you desire.

It is designated as God.
The world as an expression of the divine is not for profit or loss; it is the pure and simple flow of the beatific conscience.

There is no distinction between God and devotee, between Brahman and Maya.

The one who meditated on bliss and peace
he is himself the ocean of peace and bliss.

Glory to the eternal truth, to the Sat Guru, to the Supreme Self.

Nisargadatta Maharaj


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Testo italiano

Il primo momento che avevo sempre aspettato fu il momento in cui fui convinto di non essere per nulla un individuo. 
L’idea della mia individualità mi aveva fatto bruciare fino ad ora. Il dolore bruciante era al di là della mia capacità di sopportazione; ma ora non ce n’è più alcuna traccia, non sono più un individuo.
Ora non ci sono limiti al mio essere. L’ansietà e la tristezza, sempre presenti, sono svanite e ora sono beatitudine, conoscenza pura, coscienza pura.
Ora sono per sempre libero. 
Sono tutta beatitudine, senza disprezzo, senza paura.
La mia forma beatifica conscia ora non conosce confini.
Appartengo a tutti e tutti sono miei.
I “tutti” non sono che le mie individuazioni
e queste insieme vanno a costituire il mio essere beatifico.
Per me non c’è nulla come buono o cattivo, perdita o profitto, alto o basso mio o non mio. 
Nessuno mi si oppone e io non mi oppongo a nessuno
perché non c’è nessun altro che me stesso.
La beatitudine si sdraia sul letto della beatitudine.
Il riposo stesso si è trasformato in beatitudine.
Non c’è nulla che debba o non debba fare,
ma la mia attività continua dappertutto, ogni minuto. 
Amore e rabbia sono divisi in modo eguale
tra tutti, come lo sono lavoro e ricreazione.
Le mie caratteristiche di immensità e di maestà,
la mia pura energia, tutto di me, avendo realizzato il nucleo d’oro, riposano nella beatitudine come l’atomo degli atomi.
La mia coscienza pura risplende di uno splendore maestoso.
Perché e come la coscienza sia diventa auto-cosciente è ora ovvio. L’esperienza del mondo non è più del mondo in quanto tale, ma il fiorire dello stesso principio conscio, Dio o qualunque cosa sia.
E’ conoscenza pura primordiale, forma cosciente, la coscienza primordiale “Io” che è capace di assumere qualunque forma desideri.
Viene designata come Dio. 
Il mondo come espressione del divino non è per profitti o perdite; è il puro e semplice fluire della coscienza beatifica.
Non c’è alcuna distinzione tra Dio e devoto, tra Brahman e Maya.
Quello che ha meditato sulla beatitudine e la pace 
è egli stesso l’oceano di pace e beatitudine.
Gloria alla verità eterna, al Sat Guru, al Sé Supremo.
Nisargadatta Maharaj

venerdì 10 maggio 2019

"Self-realization is always present" - "La realizzazione del Sé è sempre presente"

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The Self is the spirit (or intelligence consciousness) that permeates everything, in the advaita Brahman or Atman or Paramatmam is defined. Precise: when we speak of the Self we are already in a state of duality. As Lao Tzu says: the Tao that can be said is not the true tao. From the conceptual point of view, therefore with a description within the dual mind, the Self represents the absolute awareness not aware of itself, or the Absolute one without a second. 

The individual self (soul) is the reflection in the mind of that awareness. And here we ask what is the mind? It is that power of reflection that allows the Self to manifest itself in the infinite forms (Maya or Shakti. - Time energy space). Since the reflection of the manifested images has the Self as its substratum, we can say - as Shankaracharya said - that the world is unreal if seen as separate from the Self, but becomes real if seen as the Self. 

The realized is not therefore a person but is the Self, Like any character of the dream at the moment of awakening stops existing as "individual of the dream" and wakes up as the dreaming subject. But event this  similitude is imperfect ... as mentioned above... 

Realization therefore is nothing but awakening to one's true nature, having always been that Self.

Paolo D'Arpini

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Testo italiano

Il Sé è lo spirito (o coscienza intelligenza) che tutto compenetra, nell'advaita si definisce Brahman od Atman o Paramatmam. Preciso: allorché si parla del Sé già siamo in uno stato di dualità. Come dice Lao Tzu: il Tao che può esser detto non è il vero tao. Dal punto di vista concettuale, quindi con una descrizione all'interno della mente duale, il Sé rappresenta l'assoluta consapevolezza non consapevole di sé, ovvero l'Assoluto uno senza secondo. Il sé individuale (anima) è il riflesso nella mente di quella consapevolezza. E qui si chiede cosa è la mente? E' quel potere di riflessione che consente al Sé di manifestarsi nelle infinite forme (Maya o Shakti. - Tempo spazio energia). 

Siccome il riflesso delle immagini manifestate ha come substrato il Sé, si può dire -come diceva Shankaracharya- che il mondo è irreale se visto come separato dal Sé, ma diviene reale se visto come il Sé. Il realizzato non è quindi una persona ma è il Sé, Come un qualsiasi personaggio del sogno al momento del risveglio smette di esistere in quanto "individuo del sogno" e si risveglia come il soggetto sognatore.  Anche questa  similitudine è tuttavia  imperfetta... come detto sopra... 

Realizzazione quindi non è altro che risvegliarsi alla propria vera natura, essendo sempre stati quel Sé.


Paolo D'Arpini

martedì 7 maggio 2019

Truth or lie? - Verità o menzogna?


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"The so-called 'facts' are filtered by our emotions and interpretations and tell 'our' story as we perceived it." (Saul Arpino)

The angle of judgment on the facts examined in history and in our lives depends only on the emotional propensity to see things as we feel them to be. As happens for example for the different truths narrated in the film Rashomon ...

We know, however, that history is never the one told and not even that perceived with guts.

The story, even in the best of hypotheses, is a mosaic of small details and disjointed events that only later appear to be consequential and connected to each other, like the frames chosen by the director to tell the plot of his film.

In our lives we perceive the urge to respond "adequately" in the most diverse situations that occur to us but we cannot say that the common thread is our desire to obtain the results that we have set for ourselves. What happens happens and then we express our opinion: "I did this action and I like it", or "I did that action and I don't like it ...", and with this we believe that what happened is the result of our action (good or bad)

In reality no one does anything, there is only an intersection and mixture of different forces acting through us. What remains are the simple facts, not the reasons or intentions. However we tend to examine those facts with our personal vision and our sense of judgment.

Life is all a wonderful surprise and wanting to establish its meaning is simple arrogance! This is my opinion ...

Paolo D’Arpini

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Testo italiano

"I cosiddetti 'fatti' sono filtrati dalle nostre emozioni e interpretazioni e raccontano la 'nostra' storia così come noi l'abbiamo percepita." (Saul Arpino)

L'angolazione del giudizio sui fatti esaminati nella storia e nella nostra vita dipende solo dalla propensione emozionale a vedere le cose per come le sentiamo vere. Come accade ad esempio per le diverse verità narrate nel film Rashomon… 

Sappiamo però che la storia non è mai quella raccontata e nemmeno quella percepita con le budella. 

La storia, anche nella migliore delle ipotesi, è un mosaico di piccoli particolari ed eventi disgiunti che solo all’analisi successiva appaiono consequenziali e collegati gli uni agli altri, Come i fotogrammi scelti dal regista per raccontare la trama del suo film. 

Nella nostra vita percepiamo lo stimolo di rispondere "adeguatamente" nelle evenienze più diverse che ci capitano ma non possiamo dire che il filo conduttore sia la nostra volontà di ottenere i risultati che ci siamo prefissati. Succede quel che succede e poi noi esprimiamo il nostro parere: "ho compiuto questa azione e mi piace", oppure: "ho compiuto quell'azione e non mi piace…", e con ciò riteniamo che quanto avvenuto sia il risultato del nostro agire (buono o cattivo che sia). 

In realtà nessuno fa nulla c’è solo un’intersecazione e commistione di forze diverse che agiscono attraverso di noi. Quel che resta sono i semplici fatti, non le ragioni o le intenzioni. Comunque tendiamo ad esaminare quei fatti con la nostra visione personale ed il nostro senso del giudizio. 

La vita è tutta una meravigliosa sorpresa e voler stabilire il suo significato è semplice arroganza! Questa la mia opinione…


Paolo D’Arpini