domenica 26 aprile 2020

Evolution and naturalistic origins of our feeling ... - Evoluzione e le origini naturalistiche del nostro sentire...



Insisting too much on "theistic" values ​​does not help the human mind to overcome patriarchal thought. We must - according to me - abandon religious speculation and return to a spirituality devoid of dogmas and not specifically linked to gender (I remember that the priesthood in monotheistic religions is precluded to women).

For goodness sake, it is also okay to do a historical analysis on the formation of Christianity and how this "Semitic" religion drew on pre-existing paganism. Among other things, the re-evaluation of paganism is one of the main characteristics not only in the New Age strand but also in serious historical research, such as that of Daniel Danielou on the myth of Dionysus-Shiva.

But we should go even further by rediscovering the most ancient cults close to our roots, namely the adoration of the Great Mother or Primordial Energy (Shakti).

Often, during the holidays we organize, especially those in conjunction with the solstices and the equinoxes or for the full and new moon, we highlight the syncretic aspects between Christianity and "neo-paganism", making them coincide with our secular spirit and sympathetic to the Spirituality of Nature.

The sacredness of nature in all its forms is one of the aspects of secular spirituality and profound ecology that distinguishes us. In fact, the spirituality of nature is an aspect recognized also in the ancient Christian faith, especially in mysticism (both in the primitive and in the Franciscan ones) in which the custom of retreating to caves, woods and deserts in close communion with natural elements prevails. with the animal world.

Pagan aspects were present even in the Jewish religion, albeit condemned, such as the adoration of the sacred cow during the crossing of the Sinai, or recognized and part of the tradition as happened to the sect of the Essenes who lived in close symbiosis with nature and with its magical aspects, having also developed the ability to draw their nourishment from the desert, a great miracle this considering that they were even vegetarians….

Respect and adoration of nature, defined by the Catholic Church (a little derogatory) "pantheism" is one of the stimuli that has always been present in man, among other things, this pantheistic feeling is the basis of the evolutionary exursus of the species.

This reminds me of a story, which I often love to tell, about the origin of the human species. It is now certain that there was a "first woman", a primordial Eva. The analysis of the female genetic heritage present in the bones proves it unequivocally...

So I imagined a woman, the first woman, who having achieved self-awareness (the most obvious characteristic of intelligence) and having only "monkeys" (such were the males at that time) had to perform a work of painstaking selection to decide with whom to mate so that you can have the best chance of genetic transmission of that evolutionary aspect. And so it happened consequently in the following generations and it is in this way that slowly from the sorting in the mating have become relevant qualities such as: sensitivity towards the habitat, empathy, patience, adaptability and kindness of the male towards the offspring and the community, etc. etc. Qualities that led the species to an "intelligent" condition that we recognize (or we would recognize if in the meantime an involutionary male chauvinist had not taken over).

Unfortunately in this historical moment, following abstraction from the vital context and the manifestation of religiosity in a metaphysical sense (projected to an afterlife and a spirit separate from matter), much of that respect (and consideration) towards nature and environment and the community has diminished, to the point that virtualization is preferred instead of the sacredness experienced in everyday life. And in this good part of the responsibility is to be attributed to the roots of monotheistic beliefs (Judaism, Christianity and Islam).

But what had been driven out of the door often falls through the window, in fact psychology is rediscovering the myths, legends and divinities of nature, describing them in the form of "archetypes".


At the beginning of human civilization, in the Paleolithic and Neolithic Matristic period, sacredness was embodied in a feminine key, then  this sacredness, assumed mixed masculine and feminine forms, subsequently with patriarchal monotheisms it was the masculine which became predominant.

Now is the time to bring these energies back to their rightful place and on an equal footing. Although already in an ancient civilization, the Vedic one, this parity had been indicated, as in the case of the (male) denomination "Surya" which indicates the identity of the sun as a divine entity, which is completed by the female aspect " Savitri ”which is the radiating capacity of solar energy.

And we know that there is no difference between fire and its ability to burn ....

Paolo D’Arpini


Bioregionalismo, spiritualità laica, ecologia profonda
Rete Bioregionale Italiana


Testo Italiano: 


Insistere troppo su valori "teisti"  non aiuta la mente umana al  superamento del pensiero patriarcale. Dobbiamo -secondo me- abbandonare la speculazione religiosa e ritornare ad una spiritualità priva di dogmi e non specificatamente  legata al genere (qui ricordo che il sacerdozio nelle religioni monoteiste è precluso alle donne).  

Per carità, va anche bene fare un'analisi storica sulla formazione del cristianesimo e di come  questa religione "semita" abbia attinto al paganesimo pre-esistente. Tra l'altro  la rivalutazione del paganesimo è una delle caratteristiche portanti non solo nel filone New Age ma anche in ricerche storiche serie,  come ad esempio quella di  Daniel Danielou sul mito di Dioniso-Shiva.

Ma dovremmo andare anche più in là riscoprendo i culti più antichi e vicini alle nostre radici, ovvero l'adorazione della Grande Madre o Energia Primordiale  (Shakti). 

Spesso, durante le feste da noi organizzate, soprattutto quelle in concomitanza con i solstizi e gli equinozi o per la luna piena e nuova, mettiamo in evidenza gli aspetti sincretistici fra cristianesimo e   “neo-paganesimo”, facendoli coincidere con   il nostro spirito laico e simpatetico con la Spiritualità della Natura.

Ad esempio, è avvenuto che durante alcune cerimonie,  già da noi predisposte, si aggiungessero  riti diversi  con offerte alle divinità e fate dei boschi o dei corsi d'acqua, il tutto magari collegandolo a credenze o leggende cristiane... (tanto per fare un esempio ricordo la Vigilia di San Giovanni, con il battesimo dell'acqua e del fuoco, etc.).  Io  lascio fare perché in fondo il riconoscere  il Genius Loci e la sacralità della natura in tutte le sue forme è uno degli aspetti della spiritualità laica e dell’ecologia profonda, che ci contraddistingue.  

In effetti la spiritualità della natura  è un aspetto riconosciuto anche nella fede cristiana antica, soprattutto nel misticismo (sia in quello primitivo che in quello francescano)  in cui prevale  la consuetudine di ritirarsi in grotte, boschi e deserti in stretta comunione con gli elementi naturali e con il mondo animale.  

Aspetti pagani erano presenti persino nella religione ebraica, sia pur condannati, come ad esempio l’adorazione della vacca sacra durante la traversata del Sinai, oppure riconosciuti e facenti parte della tradizione  come avvenne presso la setta degli Esseni che vivevano in strettissima simbiosi con la natura e con  i suoi aspetti magici, avendo essi sviluppato anche la capacità di trarre il loro nutrimento dal deserto, un grande miracolo questo considerando  che erano persino vegetariani….

Il rispetto e l’adorazione  della natura, definito dalla chiesa cattolica (un po’ dispregiativamente) “panteismo” è uno degli stimoli da sempre presenti nell’uomo,   tra l’altro questo sentimento panteista è  alla base dell’exursus evolutivo della specie.  

Ciò  mi fa  ricordare  una storiella,  che amo spesso raccontare,   sull’origine della specie umana. Ormai è certo che ci fu una “prima donna”, un’Eva primordiale. L’analisi   del patrimonio genetico femminile presente nelle ossa lo dimostra inequivocabilmente…
Mi sono così immaginato una donna, la prima donna, che avendo raggiunto l’auto-consapevolezza (la caratteristica più evidente dell’intelligenza) ed avendo a disposizione solo “scimmie” (tali erano i maschi a quel tempo)  dovette compiere una opera di selezione certosina per decidere con chi accoppiarsi in modo da poter avere le migliori chance di trasmissione genetica di quell’aspetto evolutivo. E così avvenne conseguentemente  nelle generazioni successive ed è in questo modo che pian piano dalla cernita nell’accoppiamento sono   divenute rilevanti qualità come: la sensibilità verso l’habitat, l’empatia, la pazienza,  la capacità di adattamento e di gentilezza del maschio verso la prole e la comunità, etc. etc.  Pregi che hanno  portato la specie  verso una condizione “intelligente” che riconosciamo (o riconosceremmo se nel frattempo non fosse subentrata una spinta maschilista involutiva).

Purtroppo in questo momento storico, in seguito all’astrazione dal contesto vitale e alla manifestazione della religiosità in senso  metafisico (proiettata ad un aldilà ed ad uno spirito separato dalla materia),  molto di quel rispetto (e considerazione) verso la natura e l’ambiente e la comunità è andato scemando,  sino al punto che si predilige la virtualizzazione invece della sacralità vissuta nel quotidiano. Ed in questo buona parte della responsabilità è da addebitarsi al radicamento dei credo monoteisti (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam).

Ma quello che era stato scacciato dalla porta spesso rientra dalla finestra, infatti la psicologia sta riscoprendo i miti, le leggende e le divinità della natura descrivendole in forma di “archetipi”.

All’inizio della  civilizzazione umana, nel periodo paleolitico e neolitico matristico, la sacralità era incarnata massimamente in chiave femminea, poi con il riconoscimento della funzione maschile nella procreazione tale sacralità assunse forme miste  maschili e femminili, successivamente con i monoteismi patriarcali fu il maschile che divenne preponderante.

Ora è tempo di riportare queste energie al loro giusto posto e su un totale piano paritario. Anche se già in una antica civiltà, quella Vedica,  questa parità era stata indicata, come nel caso della denominazione (maschile) “Surya” che sta ad indicare l’identità del sole in quanto ente divino, che  viene completato dall’aspetto femminile “Savitri”  che è la capacità irradiativa dell’energia solare.

E noi sappiamo che fra il fuoco e la  sua capacità di ardere  non vi è alcuna differenza....  


Paolo D’Arpini  

sabato 25 aprile 2020

Everything is present in everyone's inherent nature - Ogni cosa è presente nell'inerente natura di ognuno


spirito laico: Awe. The spirituality of a layman - Meraviglia di ...

I would like to specify that at the base of the following discourse I place my personal experience, implanted in the memory, of the moment when the consciousness was illuminating the formation of a body in my mother's womb, being this individual consciousness called "soul", in which I perceived clearly the karmic course that that psychophysical form (that myself) was destined to perform. I saw his propensities, his genic roots, innate tendencies, destined events, difficulties, glory, sacrifice, in short all that had to be accomplished through that specific human individual. Well in perceiving all this clearly I felt a certain reluctance to face the tests, better to say to testify them, or to make them possible through the conscious presence that I am. Yet, the emergence of incipient fate in the mirror of the mind, which recorded it and then stored it as a film that would then be projected over the course of life, entailed a semblance of free will in accepting or rejecting fate. Of course this feeling of acceptance or rejection was totally subjective and could in no way change the course of the preordained events, but could have left a trace in the form of dissatisfaction and rejection, with the consequences that can be imagined in the unfolding of the life that was about to manifest... (and perhaps also in hypothetical future existences)...

A question arises, where does it arise? Let's give an answer where did it come from? Now, for example, I am here that I ask myself about the reality of the manifestation of our life. Is it accomplished by a set of joint forces and elements that combine according to their laws, or dictates of the case, or is it the result of a voluntary action that tries in every way to forge its shape and content? This investigation is at the basis of any conceptualization and physical or metaphysical action ... 

In an attempt to understand the nature of our thinking and acting, the men who preceded us have already questioned themselves and it will be so for those to come ... And the answer: this text, for example, that I am writing and that you read (assuming someone reads it ..) where does it come from? How did the ideas contained in it emerge in the mind, how are they shared and understood by the hypothetical reader? The reader understands the theme therefore it means that the dilemma has been posed equally ... In any case, the result of a free choice is written, an elaborate with a precise intent, deriving from a voluntary process, from a decision to implement the action of thinking and writing? 

Or rather is it the consequence of a series of self-generated impulses that come together to formulate this article? Following a hypothetical rational process, at first glance, I would be led to answer that yes, this writing is the result of my decision, it is the result of my personal compositional ingenuity that takes this descriptive form, using the figures of a philosophical reasoning ... No, I'm not sure ... I'm not sure because I "understand" or I sense that my reasoning can be defined only after spontaneously and without any intention on my part appeared in my mind. 

Did he "appear" and from where? The mechanism of the appearance of thoughts is an unknown and unknowable aspect, they arise from an unknown where… Only after they appear before our conscience can we say "I thought about this...". In short, we make our thoughts our own after they came to meet us out of nowhere, we possess them like any other object that we call our (even though it is actually of the earth) ... and then the sense of possession is only a continuous indication of use, a limited use in any case over time and in the quality of its enjoyment... 

Everything we define as "ours" or in which we identify ourselves as "my body" -for example- or "my mind" is in truth ours only for a custom of use and presence. When we dream we are accustomed to identify with one of the characters of the dream and we perceive this character as a "me" who relates to other characters operating in a world, the whole dream actually presents itself in front of our conscience and on it we have no operational control, even if, as in the waking state, we believe we are acting with a purpose, obtaining results or failing to obtain them. I say "as in the waking state" to insert a rapid comparative analogy with the reality of our work while awake... 

We call our action in the world the result of a free will and we do it, in front of ourselves and others (exactly as in the dream), responsible, we accept the effort of the attempt to achieve a goal, we feel frustrated if we fail in achievement, we consider that our actions are related to a cause and effect process, in trying to prefigure us an end, then eventually repent and seek its opposite. 

Religions have used this process of becoming and instability of the mind and the desire for a result (imagined as stable and definitive but vain) to order life of each in terms of "direct responsibility" with subsequent final prize in the guise of hell or heaven. In religious, social, or ideological dualism, in separation from the Whole, the only thing that can be done is to try to achieve good results using his own will, which we define as free choice, thus deluding ourselves that we will reach some outcome which we naively define as the "answer" to our material and spiritual research. 

Reward and punishment are in our hands... and with this weight on the rump we "trade" and "speculate" with and on God -if we believe him- or with Nature and the laws of the jungle -if we are materialistic atheists- or do as superstitious people who say "it's not true... but I believe it!" ending a little here and a little beyond the imaginary barricade, or perhaps, as often happens to most of us, trying tout court to forget the problem by immersing ourselves in the satisfaction of daily needs and needs. But the riddle returns ... It is something unknown and unknowable that comes back to haunt us... 

In the end we blame the Gods and the force of fate! In fact, we observe from direct experience that some things that we intend to achieve escape us, while others that we abhor happen. "We can define this force that makes everything happen God or" swabava ", which means the inherent nature of everyone - said Anasuya, when I was in Jillellamudi - adding that “this force manifests itself not only in natural and cyclical events but also in the unexpected and even in man's attempt to control the unexpected, and even in the sense of having decided to make a determined action or course of actions ". How to say that this" force "takes the form of inner compulsion and that we, making our formulation, define" free choice "... In short, free choice is nothing other than the mental development consequential to the stimulus received interior, the banal way through which that "force" or "swabava" makes us perform the action "voluntarily". it does not take away that in our ego, at least that mental reflection of the consciousness that we call "ego", we are perfectly convinced that the action taken is the result of our decision, that the observed thought is our own, that this writing is arbitrarily edited by me , that you are reading of your own option. 

"But the fruits of our actions are not permanent - said Ramana Maharshi - and chasing the results makes us prisoners of the ocean of" karma "(becoming through action), preventing understanding the true nature of Being ”This means that the actions we perform with a purpose, and with identity appropriation of fulfillment, lead us to experience pleasures and pains. They are actually limited in time but leave seeds in the mind, the cause of a subsequent effort in avoiding or pursuing certain actions. These seeds (called in Sanskrit "vasana") push us into an apparently infinite series of engagements and acts, binding our attention to the external world and preventing the discovery of our true internal nature. Therefore in the understanding given to action there can be no release from the ego, which is limited to the mind body. One could object that if there is no understanding, neither evolution is possible, nor the improvement of one's condition... 

Yet accepting the spontaneous growth to which life spontaneously tends (as it is in fact understanding it) we will be "free" to carry out all those actions that naturally go in the direction of growth, to fulfill the inner inspiration, without assuming the burden ... Calling it “surrender” to one's inherent nature or performance of one's karmic duty (dharma) at this point doesn't matter, it just happens!

Paolo D’Arpini

spirito laico: "Travel friends. The lay spiritual quest begins and ...


Testo Italiano 

Vorrei  specificare che  alla base del discorso che segue pongo la mia esperienza personale, impiantata nella memoria, del momento in cui la coscienza stava illuminando la formazione di un corpo nel grembo di mia madre, essendo questa coscienza individuale denominata “anima”, in cui percepii chiaramente il decorso karmico che quella forma psicofisica (quel me stesso) era destinata a compiere. Vidi le sue propensioni, le sue radici geniche, le tendenze innate, le vicende destinate, le difficoltà, la gloria, il sacrificio, insomma tutto quel che doveva essere compiuto attraverso quello specifico individuo umano. Ebbene nel percepire tutto ciò chiaramente sentivo una certa riluttanza ad affrontare le prove, meglio dire a testimoniarle, o renderle possibili attraverso la presenza cosciente che io sono. Eppure, il delinearsi del destino incipiente nello specchio della mente, che lo registrava e quindi lo immagazzinava come una pellicola che poi sarebbe stata proiettata nel corso della vita, comportava una parvenza di libero arbitrio nell’accettare il fato o nel rifiutarlo. Certo questa sensazione di accettazione o rifiuto era totalmente soggettiva e non poteva in alcun modo modificare il corso degli eventi preordinati, ma avrebbe potuto lasciare una traccia sotto forma di insoddisfazione e rifiuto, con le conseguenze che  si possono immaginare nel dispiegamento della vita che stava per manifestarsi... (e magari anche in  ipotetiche future esistenze)...  

Ci si pone una domanda, da dove sorge? Diamo una risposta da dove è venuta?
Ora, ad esempio, son qui che mi interrogo sulla realtà del manifestarsi della nostra vita. Essa è compiuta da un insieme di forze ed elementi congiunti che si combinano secondo loro leggi, o dettami del caso, oppure è il risultato di un agire volontario che cerca in tutti i modi di forgiarne forma e contenuti? Questo investigare è alla base di ogni concettualizzazione ed azione fisica o metafisica… Nel tentativo di capire la natura del nostro pensare ed agire si sono già interrogati gli uomini che ci hanno preceduto e sarà così per quelli a venire…. E la risposta?
Questo testo, ad esempio, che io sto scrivendo e che tu leggi (presupponendo che qualcuno lo legga..) da dove nasce? Le idee in esso contenute come hanno potuto affiorate nella mente, come sono condivise e comprese dall’ipotetico lettore? Il lettore comprende la tematica quindi significa che egualmente si è posto il dilemma… In ogni caso è codesto scritto il risultato di una libera scelta, un elaborato con un intento preciso, derivante da un processo volontario, da una decisione di mettere in atto l’azione del pensare e dello scrivere? O piuttosto è conseguenza di una serie di impulsi auto-generati che si uniscono sino a formulare quest’articolo?
Seguendo un ipotetico processo razionale, di primo acchito, sarei portato a rispondere che sì, questo scritto è frutto della mia decisione, è il risultato di un mio personale ingegno compositorio che prende questa forma descrittiva, impiegando le figure di un ragionamento filosofico…
No, non ne sono sicuro… Non ne sono sicuro perché “capisco” od intuisco che il mio ragionamento è definibile solo dopo che spontaneamente e senza alcuna intenzione da parte mia è apparso nella mia mente. E’ “apparso” e da dove? Il meccanismo della comparsa dei pensieri è un aspetto sconosciuto ed in conoscibile, essi sorgono da un non si sa dove…. Solo in seguito al loro presentarsi dinnanzi alla nostra coscienza possiamo affermare “ho pensato a questo…”. Insomma facciamo nostri i pensieri dopo che ci son venuti incontro dal nulla, li possediamo come qualsiasi altro oggetto che chiamiamo nostro (pur essendo in realtà della terra)… ed allora il senso del possesso è solo indicazione continuata d’uso, un uso comunque limitato nel tempo e nella qualità del suo godimento…
Ogni cosa che definiamo “nostra” o nella quale ci identifichiamo, come “il mio corpo” -ad esempio- o “la mia mente” è in verità nostra solo per una consuetudine di impiego e di presenza. Quando sogniamo siamo avvezzi ad identificarci con uno dei personaggi del sogno e percepiamo questo personaggio come un “me” che si rapporta con altri personaggi operanti in un mondo, tutto il sogno in realtà si presenta davanti alla nostra coscienza e su di esso non abbiamo alcun controllo operativo, anche se, come nello stato di veglia, riteniamo di agire con uno scopo, ottenendo risultati oppure fallendo nell’ottenerli.
Dico “come nella stato di veglia” per inserire una rapida analogia comparativa con la realtà del nostro operare da svegli…. Chiamiamo il nostro agire nel mondo il risultato di un libero arbitrio e ce ne facciamo, di fronte a noi stessi ed agli altri (esattamente come nel sogno), responsabili, accettiamo lo sforzo del tentativo di raggiungere uno scopo, ci sentiamo frustrati se falliamo nel conseguimento, consideriamo che le nostre azioni sono legate ad un processo di causa ed effetto, ci arabattiamo nel cercare di prefigurarci un fine, per poi eventualmente pentirci e cercare il suo contrario.
Le religioni hanno utilizzato questo processo del divenire e dell’instabilità della mente e del desiderio di un risultato (immaginato come stabile e definitivo ma vano) per ordinare la vita di ognuno in termini di “responsabilità diretta” con successivo premio finale in veste d’inferno o di paradiso.
Nel dualismo religioso, sociale, o ideologico, nella separazione dal Tutto, l’unica cosa che si può fare è cercare di ottenere buoni risultati utilizzando la propria volontà, da noi definita libera scelta, illudendoci così di pervenire a qualche esito che ingenuamente definiamo la “risposta” alla nostra ricerca materiale e spirituale. Premio e castigo sono nelle nostre mani… e con questo peso sul groppone “commerciamo” e “speculiamo” con e su Dio –se crediamo il lui- oppure con la Natura e le leggi della giungla –se siamo atei materialisti- oppure facciamo come i superstiziosi che dicono “non è vero … ma ci credo!” finendo un po’ di qua ed un po’ di là della barricata immaginaria, o magari, come spesso avviene alla maggioranza di noi, cercando tout court di dimenticare il problema immergendoci nella soddisfazione delle esigenze e necessità quotidiane.
Ma l’enigma ritorna…. È un qualcosa di sconosciuto ed in conoscibile che torna a perseguitarci… Alla fine diamo la colpa agli Dei ed alla forza del destino! Infatti noi osserviamo per esperienza diretta che alcune cose che abbiamo intenzione di raggiungere ci sfuggono, mentre altre che aborriamo accadono.
“Possiamo definire questa forza che fa accadere ogni cosa Dio oppure “swabava”, che significa l’inerente natura di ognuno – diceva Anasuya Devi quando mi trovavo a Jillellamudi – aggiungendo che “questa forza si manifesta non solo negli eventi naturali e ciclici ma anche nell’inaspettato e persino nel tentativo dell’uomo di controllare l’inaspettato, e persino nel senso di aver noi deciso di compiere un determinata azione o corso di azioni”.
Come dire che questa “forza” assume la forma di compulsione interiore e che noi, facendo nostra la formulazione, definiamo “libera scelta”… Insomma la libera scelta non è altro che lo svolgimento mentale consequenziale allo stimolo interiore ricevuto, il modo banale attraverso il quale quella “forza” o “swabava” ci fa compiere l’azione “volontariamente”.
Ciò non toglie che nel nostro io, almeno quel riflesso mentale della coscienza che definiamo “io”, siamo perfettamente convinti che l’azione compiuta è frutto di una nostra decisione, che il pensiero osservato è nostro proprio, che questo scritto è da me arbitrariamente redatto, che tu stai leggendo di tua propria opzione.
“Ma i frutti del nostro agire non sono permanenti – diceva Ramana Maharshi – ed il rincorrerne i risultati ci rende prigionieri dell’oceano del “karma” (il divenire attraverso l’azione), impedendo la comprensione della vera natura dell’Essere”
Ciò significa che le azioni da noi compiute con uno scopo, e con appropriazione identitaria del compimento, ci portano ad esperimentare piaceri e dolori. Essi sono in verità limitati nel tempo ma lasciano dei semi nella mente, causa di una successiva fatica nell’evitare o perseguire certe azioni. Questi semi (detti in sanscrito “vasana”) ci spingono in una serie apparentemente infinita di coinvolgimenti ed atti, legando la nostra attenzione al mondo esteriore ed impedendo la scoperta della nostra vera natura interiore. Perciò nell’intendimento dato all’azione non può esserci affrancamento dall’io (ego), che è limitato al corpo mente.
Si potrebbe obiettare che se non c’è intendimento nemmeno l’evoluzione è possibile, né il miglioramento della propria condizione… Eppure accettando la crescita spontanea alla quale la vita spontaneamente tende (come è nei fatti comprenderlo) saremo “liberi” di portare a termine tutte quelle azioni che naturalmente vanno nella direzione della crescita, ad adempimento dell’ispirazione interiore, senza assumercene l’onere….
Chiamarlo “arrendersi” alla propria inerente natura o svolgimento del proprio dovere karmico (dharma) a questo punto non importa, succede e basta!

Paolo D’Arpini

giovedì 23 aprile 2020

Life in the world and lay spirituality - Vita nel mondo e spiritualità laica


Paolo D'Arpini: Libertà e forza della Spiritualità Laica

"Each path leads to unreality. Paths are creations with the intention of transmitting knowledge. Therefore paths and movements (religions) cannot lead to Reality because their function is to involve you in the dimension of learning, while reality is before this." (Nisargadatta Maharaj)

Regardless of whether you meet a teacher or not, each path is valid only for the mind. In my experience, the relationship with a teacher does not aim to transmit any doctrine or spiritual teaching but to perceive the "touch" or "perfume" of its realization. His words and gestures are only a subterfuge to convey his "grace" (there is no other word more relevant and appropriate) ...

Ramana Maharshi said: "Whether you continue to live with your family or you give up and go to live in a forest, your mind will persecute you. The ego is the source of thoughts. It creates the body and the world and makes you think to be a grihasta (mundane). If you renounce the world you will only replace the thought of sannyasi (renunciate) to that of grihasta and the forest environment to the family environment. The mental obstacles, however, will remain there, indeed, in a new environment will even increase. There is no point in changing the environment. The obstacle is in the mind, which must be "understood" both at home and in the forest. If you can do it in a forest, why not in society? Then why change the environment? You can engage in research even now, no matter where you are."

All in all I believe that for us lay people life "in the world" is more congenial, also because our research never goes beyond the self .. and the self is present everywhere and at all times ...

The individual self (ego) arises from the reflection of consciousness in the mirror of the mind. An identification superimposition with the observed object. The object is the body-mind that reacts in relation (to contact) with other external objects.

The moment that, in self-knowledge, the fictitious identity with the agent disappears what remains is the pure awareness of the Self. It is therefore not necessary, for the purpose of realization, that the images - the world and the observer - disappear, it is sufficient that the false identity with the reflected object / subject (ego) disappear. This means that the world can safely continue to manifest itself by not being perceived as a separate reality, more or less as a dream could be compared to the dreamer. At this point the Self and its manifestation are seen as the exact same thing while the sense of the separative self (of the me and the other) is obliterated. After all, dualism is only self-ignorance.

The sage observes the actions unfolding without there being any propensity or intention or judgment in him. Spontaneously everything happens comfortably and consequently to the designated "destiny". Destiny is the response to the natural interaction (and predisposition) of the various elements involved ... 


Since everything happens automatically there is no "preference" in the act of the sage. Indeed his own action is (apparently) intentional only in the eyes of the "others", since for the wise everything happens in itself. Every event lived simply happens in his presence and he is the silent and detached witness of it. Its action (or state) can be compared to sleepwalking, or waking sleep.

Furthermore, the concept of "destiny" and action also makes sense only in the mind of the observer still identified with the outside world, that is, of an ego that identifies itself with the agent and his actions. But the moment - as already mentioned - that this identification is destroyed every other connected concept disappears.

Wisdom consists in staying immune from illusion after understanding the truth. The fear of acting and its consequences (karma) remains only in those who see the slightest difference between themselves and the other. As long as the idea exists that the body / mind is the self, one cannot be an expression of truth.

But it is certainly possible for anyone, and in all conditions, to know their true nature since it is absolutely true and real, it is the unicum for everyone. In fact, the state of pure Being is common to all and is the direct experience of each. Living one's true nature is meant by self-realization, since the self is present here and now.

The thought of feeling separated is the only obstacle to the realization of the omnipervasive and omnipresent Being. And even from an empirical point of view, identifying with the agent (ego) is an impediment to the proper functioning of the psychosomatic apparatus, in the context of global functioning. So the intellectual acceptance of truth is already a form of liberation from the intentional (rational) propensity to act. What is destined to happen will happen.

It is in everyone's experience that getting upset in the question is a handicap to find the answer.

Paolo D’Arpini


Circolo Vegetariano VV.TT. Calcata » Paolo D'Arpini


Testo italiano: 

"Ogni sentiero porta all’irrealtà. I sentieri sono creazioni coll’intento di trasmettere una conoscenza. Perciò i sentieri e i movimenti (religioni) non possono condurre alla Realtà poiché la loro funzione è di coinvolgerti nella dimensione dell’apprendimento, mentre la realtà viene prima di questo." (Nisargadatta Maharaj)

Indipendentemente dall’incontrarvi un maestro o no ogni sentiero è valido solo per la mente. Secondo la mia esperienza il rapporto con un maestro non ha lo scopo della trasmissione di qualsivoglia dottrina o insegnamento spirituale bensì di percepire il “tocco” o “profumo” della sua realizzazione. Le sue parole ed i suoi gesti  sono solo un sotterfugio per trasmettere la sua “grazia” (non c’è altra parola più pertinente ed appropriata)…

Diceva Ramana Maharshi: "Sia che continuiate a vivere in famiglia o che vi rinunciate e andiate a vivere in una foresta, la vostra mente vi perseguiterà. L’ego è la fonte dei pensieri. Esso crea il corpo e il mondo e vi fa pensare di essere un grihasta (mondano). Se rinuncerete al mondo non farete altro che sostituire il pensiero di sannyasi (rinunciante) a quello di grihasta e l’ambiente di foresta all’ambiente della famiglia. Gli ostacoli mentali però resteranno lì, anzi, in un nuovo ambiente persino aumenteranno. Non serve a nulla cambiare ambiente. L’ostacolo è nella mente, che deve essere “compresa” sia a casa che nella foresta. Se potete farlo in una foresta, perché non nella società? Allora perché cambiare ambiente? Potete impegnarvi nella ricerca anche adesso, in qualunque ambiente vi troviate.”

Tutto sommato ritengo che per noi laici la vita “nel mondo” sia più congeniale, anche perché la nostra ricerca non esula mai dal sé.. ed il sé è presente ovunque ed in ogni tempo…
L’io individuale (ego) sorge dal riflesso della coscienza nello specchio della mente. Una sovrimposizione identificativa con l’oggetto osservato. L’oggetto è il corpo-mente che reagisce in relazione (al contatto) con gli altri oggetti esterni.
Il momento che, nell’autoconoscenza, l’identità fittizia con l’agente scompare quel che resta è la pura consapevolezza del Sé. Non è perciò necessario, al fine della realizzazione, che le immagini -il mondo e l’osservatore- scompaiano, è sufficiente che la falsa identità con l’oggetto/soggetto riflesso (ego) scompaia. Ciò significa che il mondo può tranquillamente continuare a manifestarsi non essendo percepito come realtà separata, più o meno come potrebbe esserlo un sogno rispetto al sognatore. A questo punto il Sé e la sua manifestazione sono visti come la stessa identica cosa mentre il senso dell’io separativo (del me e dell’altro) viene obliterato. In fondo il dualismo è soltanto ignoranza di sé.
Il saggio osserva le azioni svolgersi senza che vi sia alcuna propensione o intenzione o giudizio in lui. Spontaneamente ogni cosa avviene confacentemente e conseguentemente al “destino” designato. Il destino è la risposta alla naturale interazione (e predisposizione) dei vari elementi coinvolti… Siccome tutto succede automaticamente non vi è alcuna “preferenza” nell’agire del saggio. Anzi il suo stesso agire è (apparentemente) intenzionale solo agli occhi degli “altri”, giacché per il saggio ogni cosa accade di per sé. Ogni evento vissuto accade semplicemente in sua presenza e lui ne è il testimone silenzioso e distaccato. Il suo agire (o stato) può essere paragonato al sonnambulismo, od al sonno da sveglio.
Ed inoltre anche il concetto di “destino” e di azione ha un senso unicamente nella mente dell’osservatore ancora identificato con l’esterno, ovvero di un ego che si identifica con l’agente e con le sue azioni. Ma il momento -come già detto- che tale identificazione è distrutta ogni altro concetto collegato scompare.
La saggezza consiste nel rimanere immune dalla illusione dopo aver compresa la verità. La paura dell’agire e delle sue conseguenze (karma) permane solo in chi vede la pur minima differenza fra sé e l’altro. Finché esiste l’idea che il corpo/mente è l’io non si può essere espressione di verità.
Ma certamente è possibile per chiunque, ed in ogni condizione, conoscere la propria vera natura poiché essa è assolutamente vera e reale, è l’unicum per ognuno. Infatti lo stato di puro Essere è comune a tutti ed è la diretta esperienza di ciascuno. Vivere la propria vera natura questo si intende per auto-realizzazione, poiché il sé è presente qui ed ora.
Il pensiero di sentirsi separati è il solo ostacolo alla realizzazione dell’Essere onnipervadente ed onnipresente. E pure dal punto di vista empirico identificarsi con l’agente (ego) è un impedimento al buon funzionamento dell’apparato psicosomatico, nel contesto del funzionamento globale . Per cui già l’accettazione intellettuale della verità è una forma liberatoria dalla propensione intenzionale (razionale) ad agire. Ciò che è destinato ad accadere accadrà.
E’ nell’esperienza di ognuno che arrovellarsi nella domanda è un handicap a trovare la risposta.
Paolo D’Arpini

martedì 21 aprile 2020

2020, a fateful year ... Will man be worthy to inherit Earth? - 2020, anno fatidico... Sarà degno l'uomo di ereditare la Terra ?




Bioregionalism, evolution and conservation of resources

Several years ago I helped my friend Peter Boom to make the reddition of  "2020 - The new Messiah" in Italian, a book of fantasy-ecology in which he imagines the end of the world following a series of ecological catastrophes caused by man. At that time, in the early 90s of the last century, I was already part of the nascent bioregional strand and "deep ecology", and I found interesting the theses of Peter, who imagined an awkward attempt by the powerful to save themselves from planetary destruction by means of of "a new ark" (which welcomed themselves and their women) and ended miserably in a self-destructive atomic roar. In short, the question was and is whether humans will be able to inherit the earth.

The worlds of man are manifold but all in thought .. only one is real: this Earth. If we cannot honor our lives honorably on Earth, how can we hope for salvation by emigrating to other planets? How can we hope to be welcomed into the world of extraterrestrial universal life if we have not even been able to maintain life on our small planet? With this I believe that the experiment of our survival must be able to come true here where we are ... It is useless to hope for colonies on the Moon, on Mars or on Venus ... it is useless to look for water on those desolate worlds if here - where there is a lot - we are unable to keep it clean.

Yet already there were several enlightened scientists and spiritualists who since the dawn of the consumer society have warned man of the risk of stepping out of the rails of the science / life balance. Today the human train is derailing with the sparkle of crazy splinters: GMO, methodical chemical poisoning of the earth and water, dirty atomic energy, social and moral decay, wild urbanization, destruction of resources accumulated in millennia by nature, etc.

Throughout its short history, man has enormously transformed the face of the Earth, because he can deliberately modify almost everything that constitutes his natural environment and control what grows and lives in it.

However, the plot of life is so delicate and so linked are the climate, the soil, the plants and the animals, that if a component of this complex is violently modified, if some threads are suddenly cut, the whole complex undergoes a modification. This is the intrinsic meaning of Bioregionalism and Deep Ecology.

For hundreds of years - and especially in the last century - man has been the cause of disfigurements, exterminations and profound alterations ... and this despite his contemporary ability to create embellishment and harmony. The intellectual power that allows man to design and build is the same that allows him to destroy. With the immense increase in the human population, the ability to cause material damage as well as the refinement of thought and reflection have grown exponentially.

Unfortunately this Earth of ours is not a country of Bengodi or a horn of eternal abundance ... the resources of the planet, patiently accumulated and saved in its womb, are now in the process of being exhausted. Biodiversity and purity of the vital genome are increasingly at risk ... many animal species resist only in zoos or botanical gardens. Throughout the modern world, every new economic and scientific enterprise is followed by plague and disease, continuous development is equivalent to the accelerated consumption of goods, in the inability of environmental recovery and restoration by nature.

We must immediately and with the utmost seriousness and determination stop the fall, preserving the residual resources and what remains of wild life, not only for the maintenance of natural beauty but above all because the overall harmony, that is the real survival of the living community (and of man himself) depends on those components.

Indeed, the future of humanity does not remain in its colonization of other planets in the solar system but in its ability to conserve life on planet Earth.

For this reason biology, profound ecology, the spirituality of nature are essential aspects of the new consciousness paradigm. One of the greatest vital mysteries, which we have a duty to face and solve, is that relating to our true nature. But religions and science will never be able to give us an answer if we do not start looking for it directly in us and around us. Otherwise we will not be able to get out of the repetitive mechanism of wars, of insensitive exploitation, of racial and interspecist conflicts ....

Humanity is not only symbolized by these anthropomorphic bipeds and it is not only an organic agglomeration called "body", that lives and pulses energetically inside and outside of us.

Earth is our home, we inherited it from a slow and laborious global process of life, but are we sure we can leave it to future generations in the same integrity and opulence in which we received it? Human dignity is also played out in this .... we therefore accept the challenge posed to our intelligence. Evolution has a unique direction, the growth of Consciousness, let's stay in it!

Paolo D'Arpini - Referent of the Italian Bioregional Network


Bioregionalismo Treia •: 2020.. il nuovo messia arriva giusto in ...

http://saul-arpino.blogspot.com/2009/04/come-potuto-accadere.html


Testo Italiano 
Bioregionalismo, evoluzione e conservazione delle risorse.
Parecchi anni fa aiutai l'amico Peter Boom a rendere in italiano “2020 - Il nuovo Messia” un libricino di fanta-ecologia in cui si immagina la fine del mondo in seguito ad una serie di catastrofi ecologiche causate dall'uomo. A quel tempo, primi anni '90 del secolo scorso, già facevo parte del nascente filone bioregionale e della “deep ecology” (come allora si diceva), e trovai interessanti le tesi di Peter, che immaginava un goffo tentativo da parte dei potenti di salvarsi dalla distruzione planetaria per mezzo di “una nuova arca” (che accogliesse loro stessi e le loro donne) e finì miseramente in un boato atomico autodistruttivo. Insomma l'interrogativo era ed è se gli umani saranno in grado di ereditare la terra...
I mondi dell'uomo sono molteplici ma tutti nel pensiero.. uno solo è reale: questa Terra. Se non siamo in grado di conservare la nostra vita onorevolmente sulla Terra come potremo sperare la salvezza emigrando su altri pianeti? Come potremo sperare di essere accolti nel consesso della vita universale extraterrestre se non siamo stati in grado nemmeno di mantenere la vita sul nostro piccolo pianeta? Con ciò ritengo che l'esperimento della nostra sopravvivenza deve potersi avverare qui dove siamo... Inutile sperare in colonie sulla Luna, su Marte o su Venere.. inutile cercare l'acqua su quei mondi desolati se qui -dove ce ne è tanta- non siamo in grado di mantenerla pulita.
Eppure già ci furono diversi scienziati e spiritualisti illuminati che sin dagli albori della società dei consumi avvertivano l'uomo del rischio di uscir fuori dai binari dell'equilibrio scienza/vita. Oggi il treno umano sta deragliando con scintillio di schegge impazzite: OGM, avvelenamento chimico metodico della terra e dell'acqua, energia atomica sporca, deperimento sociale e morale, urbanizzazione selvaggia, distruzione delle risorse accumulate in millenni dalla natura, etc.
L'uomo nel corso della sua breve storia ha enormemente trasformato la faccia della Terra, perché egli può deliberatamente modificare quasi tutto quel che costituisce il suo ambiente naturale e controllare quel che cresce e vive in esso.
La trama della vita è però tanto delicata e tanto legati sono tra loro il clima, il terreno, le piante e gli animali, che se una componente di questo complesso viene violentemente modificato, se alcuni fili vengono tagliati all'improvviso, l'intero complesso subisce una modificazione. Questo è il significato intrinseco del Bioregionalismo e dell'Ecologia Profonda.
Per centinaia di anni -e soprattutto nell'ultimo secolo- l'uomo è stato la causa di deturpazioni, stermini ed alterazioni profonde... e questo malgrado la sua contemporanea capacità di creare abbellimento ed armonia. Il potere intellettivo che consente all'uomo di progettare e costruire è lo stesso che gli consente di distruggere. Con l'aumento smisurato della popolazione umana la capacità di procurare danni materiali come pure l'affinamento del pensiero e della riflessione sono cresciuti esponenzialmente.
Purtroppo questa nostra Terra non è un Paese di Bengodi od un corno dell'eterna abbondanza... le risorse del pianeta, pazientemente accumulate e risparmiate nel suo ventre, sono ora in fase di esaurimento. La biodiversità e la purezza del genoma vitale sono sempre più a rischio... molte specie animali resistono solo negli zoo o nei giardini botanici. In tutto il mondo moderno ogni nuova impresa economica e scientifica viene seguita da peste e malanni, lo sviluppo continuo equivale al consumo accelerato dei beni, nella incapacità di recupero ambientale e ripristino da parte della natura.
Occorre da subito e con la massima serietà e determinazione fermare la caduta, preservando le risorse residue e quel che rimane della vita selvatica, non solo per il mantenimento della bellezza naturalistica ma soprattutto perché l'armonia complessiva, cioè la reale sopravvivenza della comunità dei viventi (e dell'uomo stesso) dipende da quelle componenti.
Il futuro dell'umanità, infatti, non resta nella sua colonizzazioni di altri pianeti del sistema solare bensì nella sua abilità di conservare la vita sul pianeta Terra.
Per questa ragione la biologia, l'ecologia profonda, la spiritualità della natura sono aspetti essenziali del nuovo paradigma coscienziale. Uno dei più grandi misteri vitali, che abbiamo il dovere di affrontare e risolvere, è quello relativo alla nostra vera natura. Ma le religioni e la scienza non saranno mai in grado di darci una risposta se non cominciamo a cercarla direttamente in noi ed attorno a noi. Altrimenti non saremo in grado di uscire dal meccanismo ripetitivo delle guerre, dello sfruttamento insensibile, dei conflitti razziali e interspecisti....
Umanità non è solo simbolizzata da questi bipedi antropomorfi e non è solo un agglomerato organico definito “corpo”. Possiamo dire che Umanità è la capacità di riconoscersi con tutto ciò che vive e pulsa energeticamente dentro e fuori di noi.
La Terra è la nostra casa, l'abbiamo avuta in eredità da un lento e laborioso processo globale della vita, ma siamo sicuri di poterla lasciare a nostra volta alle generazioni future nella stessa integrità e opulenza nella quale noi l'abbiamo ricevuta? La dignità umana si gioca anche in questo.... accettiamo dunque la sfida posta alla nostra intelligenza. L'evoluzione ha una direzione univoca, la crescita della Coscienza, restiamo in essa!
Paolo D'Arpini – Referente della Rete Bioregionale Italiana

giovedì 9 aprile 2020

Evolution persist even in involution - L'evoluzione permane anche nell'involuzione


Lo chiamavano Jeeg Robot - guarda streaming online

I am reminded of a discussion I had with some advocates of traditional religions about the alleged separation of spirit and matter. My objection is that in lay (or natural) spirituality such separation does not exist, indeed spirit and matter are inseparable from each other being expressions of the same vital energy. Matter is formative substance (in the aggregation phase) and spirit is consciousness, intelligence that permeate  it. As there is no difference between the rose and its perfume, both represent the same reality.

And now my consideration of the questions raised by the general lowering of the level of "consciousness" in today's society. With the frightening increase in the world population and with the presence on the scene of millions and millions of "young" souls, or incarnations of animals that are approaching for the first time in the "human" sphere, it is inevitable that the level of general awareness has passed at a "lower" condition, indeed evolution itself seems to stop. But these swellings and deflations are necessary for a global evolution. 

For this reason, the cyclical evolutionary philosophy also speaks of the four ages of man, a ladder to allow young souls to evolve. And in this era, the so-called Iron Age or Kaliyuga, the process is massive. Let us not forget that until the upper Neolithic, before the technological development, the sense of ownership, the inequality between genres, etc., the awareness of an inseparable whole was present in everyone's heart.

Today this understanding is no longer so extensive and for this reason humanity has felt the need for monolatric religions (and also for political ideologies) that somehow impart a behavioral law and put man in awe.

But fortunately not all "souls" on the planet manifest low vibrations ... there are also noble souls, in fact in Buddhism it is said that there is a Buddha even in hell. And so it must be. The natural growth that belongs to every living being will therefore find a way to develop in everyone in due course. 

Therefore, there is no need to worry excessively about the path of others to better develop personal growth opportunities. This is the sense of Dharma (right behavior) .. and following it we provide an example for our travel companions who will also be incentivized to follow it ....

In an analytical and discriminatory "discourse" it is however good to recognize and indicate the evil where it occurs, whether in politics or religion or even in economics or science, but this without "getting carried away" and falling victim to the "judgment "separative. Even in ourselves, after all, there is a mixture of good and evil, for this we must constantly examine and discern the weak points in us so that we can heal them, and in doing so our duty will be fulfilled.

Paolo D'Arpini

Paolo D'Arpini: novembre 2010


Testo italiano

Mi sovviene di una discussione avuta con  alcuni fautori delle religioni tradizionali sulla presunta separazione fra spirito e materia. 
La mia obiezione è che nella spiritualità laica (o naturale) tale separazione non esiste, anzi spirito e materia sono inscindibili l'uno dall'altro essendo espressioni della stessa  energia vitale. La materia è sostanza formativa (in fase di aggregazione) e lo spirito è  la coscienza intelligenza che la permea. Come non c'è differenza fra la rosa ed il suo profumo, entrambi rappresentano la stessa realtà.
Ed ora una mia considerazione sugli interrogativi sollevati  dall'abbassamento generale del livello di "coscienza" nella società attuale. Con lo spaventoso aumento della popolazione mondiale e con la presenza sulla scena di milioni e milioni di anime  "giovani", ovvero incarnazioni di animali che si avvicinano per la prima volta nella sfera "umana", è inevitabile che il livello della consapevolezza generale sia passato ad una condizione "inferiore", anzi l'evoluzione stessa sembra arrestarsi. Ma questi gonfiamenti e sgonfiamenti sono necessari per una evoluzione globale. Per questa ragione anche nella filosofia evolutiva ciclica  si parla delle  quattro ere dell'uomo, una scala per dar modo alle giovani anime di evolversi. Ed in questa era, la cosiddetta Età del Ferro o Kaliyuga, il processo è massivo. Non dimentichiamo che fino al neolitico superiore, prima dello sviluppo tecnologico, del senso della proprietà, della sperequazione fra generi ecc, la coscienza di un tutto inscindibile era presente nel cuore di ognuno.
Oggi questa comprensione non è più così estensiva e per questa ragione l'umanità ha sentito il bisogno di religioni monolatriche (e anche di ideologie politiche) che in qualche modo impartiscano una legge comportamentale  e pongono l'uomo in soggezione. 
Ma fortunatamente non tutte le "anime" sul pianeta manifestano vibrazioni basse... ci sono anche anime nobili, infatti nel Buddismo si afferma che esiste un Buddha anche nell'inferno. E così deve essere. La naturale crescita che spetta ad ogni essere vivente troverà quindi il modo di svilupparsi in ognuno a tempo debito. Non è perciò il caso di preoccuparsi eccessivamente del percorso altrui meglio sviluppare le possibilità di crescita personali. Questo è il senso del Dharma (retto comportamento).. e seguendolo forniamo un esempio per i nostri compagni di viaggio che saranno anch'essi incentivati a seguirlo....
In un "discorso" analitico e discriminativo  è bene comunque riconoscere e indicare il male ove si manifesta, che sia in politica od in religione od anche in economia o nella scienza, ma questo senza "farsi prendere la mano" e cadere vittime del "giudizio" separativo. Anche in noi stessi, in fondo, c'è un misto di bene e male, per questo dobbiamo esaminare costantemente e scorgere i punti deboli in noi in modo da poterli sanare, e così facendo il nostro dovere sarà compiuto. 

Paolo D'Arpini 



lunedì 6 aprile 2020

Adi Shankaracharya, champion of Nondualism - Adi Shankaracharya, campione del Nondualismo



"In the pure Self there is no knowledge or ignorance..." (Saul Arpino)

To better understand the implications of lay spiritual thought, beyond all theism, it is necessary to take a step back in time, bringing attention back to the formative dawn of the Advaita Vedanta, the nondual knowledge of Reality, expressed in the terminal portions of the Vedas (Vedanta ) and in the Upanishads.


For example, in the commentary on the Taittirya Upanishad made by the great sage Shankaracharya (of which we will speak in more detail below), it is said: “Knowledge and ignorance belong to the realm of name and form; they are not the attributes of the Self ... And they - name and form - are "imagined" (superimposed) as they are day and night in reference to the sun ".

The similarity with the sun is very appropriate here. From the point of view of the sun there is neither day nor night, nevertheless without reference to the sun there can be neither day nor night. It is only from the point of view of observation from Earth that day and night have a meaning and are superimposed on the sun. Likewise in the pure Self (the absolute non-dual Consciousness) there is no knowledge or ignorance. These are relevant only for finite intelligence (the dual mind), but they too can take on meaning only if superimposed on the Self.

The Self, which is Absolute Reality, has the nature of Absolute Knowledge, not in the sense of mental knowledge but in that of unconditional Awareness in which neither a subject nor an object nor the act of knowing appears. But that same Awareness, if observed from the point of view of the mind that underlies empirical knowledge-ignorance, produces the mirage of name and form in which the mind identifies itself ...

Adi Shankaracharya (788 - 820 AD) is that great  wise and saint who re-established the Advaita (Non-Dual) doctrine in India which for a time had been neglected due to the spread of Buddhism, Jainism and other cults. Adi means "original" Shankara is one of the epithets of Shiva and Acharya stands for "master". His original commentaries on the Upanishads, the Bhagavad Gita and the Brahmasutras brought to light the profound spiritual implications of the Advaita which was stagnating even following an orthodox and superficial religious practice (in vogue at the time), supported by the Brahmina priestly caste.

In his short existence, he reintegrated the true meaning of Vedanta, making it more comprehensible to the masses and refuting the formal Buddhist doctrines (mahayana, etc.) which slowly emerged from the religious custom of the whole of India. He also founded those "maths" (spiritual institutes) located in the five directions, of which the spiritual leaders bear his name. In the north in Badrinath, in the south in Kanchi, in the east in Puri, in the west in Dwarka and in the center in Sringeri. In each of these monasteries there is a master who derives his authority from one of the main disciples of Adi Shankaracharya.

Shankara, we said, is one of the names of Shiva. From the traditional point of view, Shiva is considered the aspect of the Trinity in charge of destruction. But this destruction also includes the ego, or ignorance, or that separate identity that prevents man from recognizing himself as One with the Absolute. Therefore Shankara means "favorable, propitious". He is the Absolute himself, the unspeakable love that arises from the "I" principle devoid of any identification, pure self-awareness (in Sanskrit Atman). Shiva is also called: "Satyam-Shivam-Sundaram" that is True, Auspicious and Enchanting.

Shankaracharya is considered one of the greatest exponents of Nondualism, (in Sanskrit: Advaita) which is the most subtle and "scientific" expression of human spiritual thought. For practical purposes, a philosophy cannot be defined, as it places itself "before" and "beyond" thought, therefore it can never become a topic of study or debate. Non-dualism was intelligently represented by one of its most recent advocates, Sri Poonja of Lucknow (called Papaji), with these words: "Imagine the One not followed by the two and then abandon the very concept of One". No mental speculation is possible on what is meant with this clear and absolute indication of reality.

The non-dual conception appears on the scene of human thought already five thousand years ago, in the last portions of the Vedas (Vedanta) called Upanishad, in which it is stated: “From the One the One rises, if from the One you remove the One only the One remains ”. In the 6th century BC Indian civilization is prey to empirical and mathematical depressions, in that period the Vedantic subtleties were shelved and replaced by ritual formalisms, theisms and sophisms of various kinds, for this reason the coming of the Buddha marked a flourishing of the authentic spirit in the attempt to overcome spiritual materialism.

It happened so  that the Buddhist doctrine of the "sunyata" (emptiness or emptiness), in which substance and value to the forms and manifestations of the world are denied, would bring attention back to the perceiver. The description of empirical existence as the origin and source of suffering returned stamina and impetus to the realization of pure spirit, but already in the 5th century AD. the internal disputes in the various Buddhist systems were deteriorating the cleanliness of the Buddha's original teaching.

And it is precisely in that historical context that the great sage Adi Shankaracharya appeared on the scene, who from a very young age began to bring Hindu society back towards understanding the One without a Two. He did so by pointing to the daily spiritual practice of giving up dualistic thought forms: "Neti ... Neti" (not this ... not this). The great movement that was born of it is still alive and well and has therefore produced countless essays that refer to this line.

It cannot be said that Nondualism can be perfected, but as regards the descriptive way we can say that this statement is appropriate in the case of Ramana Maharshi, the sage of Arunachala, the solitary sacred mountain of Tamil Nadu, where he lived in permanent retreat in the first half of the last century. Ramana is universally recognized as the popularizer of the Nondualist Advaita beyond the borders of India. He, in verse X of his 'Forty Verses on Existence' thus states: "There is no knowledge separate from ignorance, there is no ignorance separate from knowledge. Whose knowledge and ignorance are they? True Knowledge is that which knows the consciousness that it knows, which is the basic principle ”.

According to Ramana's experience, there is no separation, and therefore everything is brought back to the Self. This sublime expression of Consciousness that knows itself has been subsequently explained, in a refined and culturally acceptable way for our speculative mind, by the Indian sage Nisargadatta Maharaj, who in his extreme descriptive simplicity limited himself to saying: "I am That". In the direct realization of the Self there are no descriptions that can adequately convey this ineffable experience, and this is why the refusal or refusal of any assumption and spiritual proposition was the characteristic of a last sample of the line, namely U.G. Krishnamurti - the saint who denied any holiness that was other than the pure state of awareness - exclaiming: "my words are like the braying of a donkey ... there is only the life that wonderfully does the job". Thereby signaling the final point of "no return" to empirical dualism.

Many stories I could still tell about the Advaita experience but I want to go back to Shankaracharya's teaching, and I move on to the translation of the song which, in my opinion, most represents the teaching of the great Master, it is called Nirvanasatkam, that is:

Six verses on salvation

I am neither the conscious nor the unconscious mind,
not the intellect or the ego,
neither the ears or the tongue, nor the senses of smell, sight or touch,
and not even the ether, the air, the fire, the water or the earth.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva.

I am not prana or the five vital arias,
neither the seven components of the body, nor the five sheaths or bodies.
Not the word, nor the hands or feet, the anus or the sexual organ.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva!

Nor are they aversion or attachment, avarice or delusion.
Not arrogance or the feeling of jealousy, none of this.
Neither righteousness, wealth or pleasure are mine.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva!

I am not virtue or vice, nor enjoyment or pain.
They are not prayer or the sacred place, they are not the scriptures or the sacrifices.
I am not food, nor who eats it, nor the act of eating it.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva.

Not death, no doubt, no sense of class,
neither the father, the mother or this birth belong to me.
I am not a brother or friend, not even a teacher or a disciple, really.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva.

I am thoughtless, formless, I am all-pervading,
they are everywhere, yet they are beyond in every sense.
I am neither detachment nor salvation, nothing that can measure itself.
I am Consciousness and Bliss. I am Shiva! I am Shiva!

Om Namah Shivaya. May Shiva (the Self) illuminate the mind of the reader!

Another hymn composed by Shankaracharya is the Shiva Manasa Puja, this hymn that I have been singing every night since 1973 before falling asleep. it has such power that it purifies the mind of the actor completely.

It is a hymn with a very delicate musicality, it is a list of ritual actions, it is a vision of Bhakti, the devotional non-thought that makes us Bacchi, according to Danielou's lightning intuition, Bhakta is the Bacchos, the one who is possessed  by divine enthusiasm, serene and with self-aware sweetness.

According to Adi Shankaracharya: "Self-realization is always present"

Self, Self in English, is the spirit that interpenetrates everything, in the advaita it is called Brahman or Atman or Paramatmam.

A clarification: when we speak of the Self we are already in a state of duality. As Lao Tzu says: the Tao that can be said is not the true Tao. From a conceptual point of view, therefore with a description within the dual mind, the Self represents the absolute unconscious awareness of oneself, that is the Absolute one without second.

The individual self (ego) is the reflection in the mind of that awareness. And here you ask what is the mind? It is that power of reflection that allows the Self to manifest itself in infinite forms (Maya or Shakti. Time space energy). Since the reflection of the manifested images has the Self as its substrate, it can be said - as Shankaracharya said - that the world is unreal if seen as separate from the Self, but it becomes real if seen as the Self. The realized is not therefore a person but it is the Self, Like any dream character at the moment of awakening it ceases to exist as an "individual of the dream" and awakens as the dreamer subject. The similarity is imperfect ... as mentioned above ....

Realization is therefore nothing more than awakening to one's true nature, having always been that Self.

Paolo D’Arpini


Riciclaggio della memoria: Tao e spiritualità laica - Getta via la ...


Testo Italiano


"Nel puro Sé non sussiste alcuna conoscenza né ignoranza..." (Saul Arpino)
Per comprendere meglio le implicazioni del pensiero spirituale laico, aldilà di ogni teismo,  occorre fare un passo indietro nel tempo, riportando l’attenzione all’alba formativa dell’Advaita Vedanta, la conoscenza nonduale della Realtà, espressa nelle porzioni terminali dei Veda (Vedanta) e nelle Upanishad. 
Ad esempio nel commento sulla Taittirya Upanishad fatto dal grande saggio Shankaracharya (di cui più avanti parleremo in esteso) così viene detto: “Conoscenza e ignoranza appartengono al reame di nome e forma; essi non sono gli attributi del Sé… Ed essi - nome e forma - vengono “immaginati” (sovraimposti) così come lo sono il giorno e la notte in riferimento al sole”.

La similitudine con il sole è qui molto appropriata. Dal punto di vista del sole non c’è né giorno né notte, ciononostante senza il riferimento al sole non vi può essere né giorno né notte. È solo dal punto di vista dell’osservazione dalla Terra che giorno e notte hanno un significato e vengono sovrapposti al sole. Allo stesso modo nel puro Sé (l’assoluta Coscienza  non-duale) non sussiste alcuna conoscenza né ignoranza. Queste sono rilevanti solo per l’intelligenza finita (la mente duale), ma anch'esse possono assumere un significato solo se sovrapposte al Sé.
Il Sé, che è la Realtà Assoluta, ha la natura della Conoscenza Assoluta, non nel senso di una conoscenza mentale ma in quello di Consapevolezza incondizionata in cui non appare né un soggetto né un oggetto né l'atto del conoscere. Ma  quella stessa Consapevolezza, se osservata dal punto di vista della mente che è alla base della conoscenza-ignoranza empirica, produce il miraggio di nome e forma in cui la mente s'identifica…
Adi Shankaracharya (788 – 820 d.C.) è quel grande sapiente, saggio e santo che ristabilì in India la dottrina Advaita (Non Duale) che per un periodo era stata negletta a causa della propagazione del buddismo, del jainismo e di altri culti. Adi significa “originario” Shankara è uno degli epiteti di Shiva ed Acharya sta per “maestro”. I suoi commentari originali sulle Upanishad, sulla Bhagavad Gita e sui Brahmasutra riportarono in luce le profonde implicazioni spirituali dell’Advaita che stava stagnando anche in seguito ad una pratica religiosa ortodossa e superficiale (in auge a quel tempo), sostenuta dalla casta sacerdotale brahmina. 

Egli, nella sua pur breve esistenza, reintegrò il vero significato del Vedanta rendendolo inoltre comprensibile alle masse e confutando le formali dottrine buddiste (mahayana, etc.) che pian piano uscirono dalla consuetudine religiosa dell’intera India. Egli fondò inoltre quei “maths” (istituti spirituali) posti alle cinque direzioni, di cui i capi spirituali portano il suo nome. Al nord a Badrinath, nel sud a Kanchi, nell’est a Puri, nell’ovest a Dwarka ed al centro a Sringeri. In ognuno di questi monasteri c’è un maestro che deriva la sua autorità da uno dei principali discepoli di Adi Shankaracharya.

Shankara, dicevamo, è uno degli appellativi di Shiva. Shiva dal punto di vista tradizionale viene considerato l’aspetto della Trinità preposto alla distruzione. Ma tale distruzione comprende anche l’ego, o l’ignoranza, ovvero quell’identità separata che impedisce all’uomo di riconoscersi Uno con l’Assoluto. Perciò Shankara sta a significare “favorevole, propizio” . Egli è l’Assoluto stesso, l’amore indicibile che sorge dal principio “Io” privo da ogni identificazione, la pura consapevolezza di Sé (in sanscrito Atman). Shiva viene anche definito: “Satyam-Shivam-Sundaram” cioè Vero, Auspicioso e Incantevole.

Shankaracharya viene considerato uno dei massimi esponenti del Nondualismo, (in Sanscrito: Advaita) che è l’espressione più sottile e “scientifica” del pensiero spirituale umano. Agli effetti pratici non può essere definita una filosofia, in quanto si pone “prima” ed “aldilà” del pensiero, quindi non potrà mai divenire un argomento di studio o di dibattito. Il Non-dualismo è stato intelligentemente rappresentato da uno dei suoi più recenti fautori, Sri Poonja di Lucknow (detto Papaji), con queste parole: “Immagina l’Uno non seguito dal due e poi abbandona il concetto stesso di Uno”. Non è possibile alcuna speculazione mentale su quanto viene significato con questa netta e assoluta indicazione della realtà.

La concezione Non-duale si affaccia sulla scena del pensiero umano già cinquemila anni fa, nelle ultime porzioni dei Veda (Vedanta) dette Upanishad, in cui si afferma: “Dall’Uno sorge l’Uno, se dall’Uno togli l’Uno solo l’Uno rimane”. Nel VI° secolo a.C. la civilizzazione Indiana è preda di depressioni empiriche e matematiche, in quel periodo vennero accantonate le sottigliezze vedantiche e sostituite da formalismi rituali, teismi e sofismi di vario genere, per questo motivo la venuta del Buddha segnò un rifiorire dell’autentico spirito nel tentativo di superare il materialismo spirituale.

Avvenne così che la dottrina Buddista della “sunyata” (vacuità o vuoto), in cui si nega la sostanza ed il valore alle forme e alle manifestazioni del mondo, riportasse l’attenzione al percipiente. La descrizione dell’esistenza empirica come origine e fonte della sofferenza restituì stamina ed impeto alla realizzazione del puro spirito, ma già nel V° secolo d.C. le diatribe interne ai vari sistemi Buddisti andavano deteriorando la pulizia dell’insegnamento originario del Buddha.

Ed è proprio in quel contesto storico che apparve sulla scena il grande saggio Adi Shankaracharya, che fin da giovanissimo iniziò a riportare la società induista verso la comprensione dell’Uno senza un Due. Lo fece indicando la pratica spirituale quotidiana della rinunzia alle forme pensiero dualistiche: “Neti…Neti” (non questo… non questo). Il grande movimento che ne nacque è ancora vivo e vegeto ed ha quindi prodotto innumerevoli saggi che si riferiscono a questa linea.

Non si può affermare che il Nondualismo possa venir perfezionato, ma per quanto concerne il modo descrittivo possiamo dire che questa affermazione è appropriata nel caso di Ramana Maharshi, il saggio di Arunachala, la solitaria montagna sacra del Tamil Nadu, ove egli visse in ritiro permanente nella prima metà del secolo scorso. Ramana è universalmente riconosciuto come il divulgatore dell’Advaita Nondualista oltre i confini dell’India. Egli, nella strofa X del suo ‘Quaranta Versi sull’Esistenza’ così afferma: “Non vi è conoscenza separata dall’ignoranza, non vi è ignoranza separata dalla conoscenza. Di chi sono questa conoscenza e quest’ignoranza? Vera Conoscenza è quella che conosce la coscienza che conosce, che è il principio base”.

Secondo l’esperienza di Ramana, non vi è alcuna separazione, e tutto perciò viene ricondotto al Sé. Questa sublime espressione della Coscienza che conosce se stessa è stata susseguentemente spiegata, in modo raffinato e culturalmente accettabile per la nostra mente speculativa, dal saggio Indiano Nisargadatta Maharaj, il quale nella sua estrema semplicità descrittiva si limitò ad affermare: “Io sono Quello”. Nella diretta realizzazione del Sé non esistono descrizioni che possano adeguatamente trasmettere questa ineffabile esperienza, ed è per questo che il diniego o rifiuto di ogni assunzione e proposizione spirituale fu la caratteristica di un ultimo campione della linea, e cioè U.G. Krishnamurti – il santo che negava ogni santità che fosse altra dallo stato puro della consapevolezza – esclamando: “le mie parole sono come il raglio di un asino… esiste solo la vita che meravigliosamente compie il lavoro”. Con ciò segnalando il punto finale di “non ritorno” al dualismo empirico.

Molte le storie che potrei ancora raccontare sull’esperienza Advaita ma voglio tornare all’insegnamento di Shankaracharya, e passo alla traduzione del canto che, secondo me, più rappresenta l’insegnamento del grande Maestro, esso si chiama Nirvanasatkam, ovvero:

Sei strofe sulla salvezza

Io non sono né la mente cosciente né quella inconscia,
non l’intelletto né l’ego,
né le orecchie o la lingua, né i sensi dell’olfatto, vista o tatto,
e nemmeno l’etere, l’aria, il fuoco, l’acqua o la terra.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva.

Io non sono il prana o le cinque arie vitali,
né i sette componenti del corpo, né le cinque guaine o corpi.
Non la parola, né le mani od i piedi, non l’ano né l’organo sessuale.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Neppure sono avversione od attaccamento, avarizia o illusione.
Non arroganza né il sentimento di gelosia, nulla di tutto ciò.
Né rettitudine, ricchezza o piacere sono miei.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Io non sono la virtù né il vizio, né godimento o dolore.
Non sono la preghiera né il luogo sacro, non sono le scritture né i sacrifici.
Io non sono il cibo, né chi lo mangia, né l’atto di mangiarlo.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva.

Non la morte, né il dubbio, né il senso di classe,
nemmeno il padre, la madre o questa nascita mi appartengono.
Io non sono fratello o amico, neppure maestro o discepolo, veramente.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva.

Io sono senza pensiero, senza forma, io sono onnipervadente,
sono ovunque, eppure sono oltre in tutti i sensi.
Io non sono né il distacco né la salvezza, nulla che possa misurarsi.
Io sono Coscienza e Beatitudine. Io sono Shiva! Io sono Shiva!

Om Namah Shivaya. Possa Shiva (il Sé) illuminare la mente di chi legge!

Altro inno composto da Shankaracharya  è lo Shiva Manasa Puja, questo  inno, che dal 1973 canto ogni sera prima di addormentarmi.  ha una tale potenza da purificare completamente la mente del recitante.

E' un inno dalla musicalità molto delicata, è un elenco di azioni rituali, è una visione della Bhakti, il non-pensiero devozionale che ci rende Bacchi, secondo la fulminea intuizione di Danielou, il Bhakta è il Bacchos, colui che è posseduto dal divino entusiasmo,  sereno e con dolcezza consapevole del proprio Sé.

Secondo Adi Shankaracharya: "La realizzazione del Sé è sempre presente"

Sé, Self in inglese, è lo spirito che tutto compenetra, nell'advaita si definisce Brahman od Atman o Paramatmam

Una precisazione: allorché si parla del Sé già siamo in uno stato di dualità. Come dice Lao Tzu: il Tao che può esser detto non è il vero tao. Dal punto di vista concettuale, quindi con una descrizione all'interno della mente duale, il Sé rappresenta l'assoluta consapevolezza non consapevole di sé, ovvero l'Assoluto uno senza secondo. 

Il sé individuale (ego) è il riflesso nella mente di quella consapevolezza. E qui si chiede cosa è la mente? E' quel potere di riflessione che consente al Sé di manifestarsi nelle infinite forme (Maya o Shakti. - Tempo spazio energia). Siccome il riflesso delle immagini manifestate ha come substrato il Sé, si può dire -come diceva Shankaracharya- che il mondo è irreale se visto come separato dal Sé, ma diviene reale se visto come il Sé. Il realizzato non è quindi una persona ma è il Sé, Come un qualsiasi personaggio del sogno al momento del risveglio smette di esistere in quanto "individuo del sogno" e si risveglia come il soggetto sognatore. La similitudine è imperfetta... come detto sopra.... 

La Realizzazione quindi non è altro che risvegliarsi alla propria vera natura, essendo sempre stati quel Sé. 

Paolo D'Arpini