venerdì 23 dicembre 2022

Pensieri laici volanti di Jiddu Krishnamurti - Jiddu Krishnamurti's Flying Lay Thoughts

 


"Non serve la conoscenza o l’esperienza per capire noi stessi. Conoscenza ed esperienza non fanno altro che espandere la memoria. La comprensione di noi stessi avviene di momento in momento; accumulare conoscenza su noi stessi ci impedirà di capire quello che siamo, perché questo accumulo diventa il centro che alimenta e dà consistenza al pensiero."

"La verità sopraggiunge come un lampo. La verità è comprensione e sopraggiunge come un lampo; non ha continuità, non appartiene al tempo. Vedetelo con i vostri occhi. La comprensione è fresca, istantanea, non è la continuazione di qualcosa che è stato. Quello che è stato non vi aiuta a capire. Finché cercate la continuità, la permanenza nelle vostre relazioni, nell’amore, in una pace che vorreste durasse per sempre, non vi allontanate dal campo del tempo, perché queste cose non appartengono all’eterno."

"Virtù non è qualcosa che vada coltivata, se è figlia de pensiero, della volontà, se è risultato di repressione, allora non è più virtù. Ma se voi capite il disordine che è nella vostra vita, la confusione, la totale mancanza di senso della vostra esistenza, quando vedete questo con grande chiarezza, non soltanto intellettualmente o a parole, non condannando, non fuggendo, ma osservando questo disordine della vita, allora dalla consapevolezza e dall'osservazione nasce l'ordine, naturalmente, ed è virtù. E' una virtù del tutto diversa da quella della società, rispettabile e sancita dalle religioni con la loro ipocrisia; ed è completamente diversa dalla disciplina auto-imposta."

"Non pensare in un dato modo semplicemente perché la gente pensa così, o perché si tratta di una credenza secolare, o perché così è scritto in qualche libro ritenuto sacro; pensa da te stesso e giudica se la cosa è ragionevole."

"Quando cercate un'autorità che vi conduca alla spiritualità, siete automaticamente costretti a costruirvi intorno un'organizzazione. E creando quell'organizzazione, che pensate vi possa aiutare spiritualmente, vi rinchiudete in una gabbia. Voi pensate che solo certe persone abbiano la chiave del regno della felicità. Nessuno ce l'ha, nessuno ha l'autorità di tenere quella chiave. Quella chiave siete voi stessi e soltanto nell'evoluzione, nella purificazione e nell'incorruttibilità di quel sé, c'è il regno dell’eternità. E per quelli che sono deboli, non ci può essere nessuna organizzazione che li aiuti a trovare la verità, perché la verità è in ciascuno di noi; non è lontana, non è vicina, è eternamente qui. Coloro che realmente desiderano comprendere, che vogliono trovare ciò che è eterno, senza principio né fine, cammineranno insieme con maggior intensità e saranno un pericolo per tutto ciò che non è essenziale, che non è reale, per ciò che è in ombra. E queste persone si concentreranno, diventeranno la fiamma, perché esse comprendono."

Jiddu  Krishnamurti



English text

"You don't need knowledge or experience to understand yourself. Knowledge and experience do nothing but expand your memory. Understanding yourself happens from moment to moment; accumulating knowledge about yourself will prevent you from understanding who you are, why this accumulation becomes the center that feeds and gives consistency to thought."

"Truth comes like a flash. Truth is understanding and it comes like a flash; it has no continuity, it does not belong to time. See it with your own eyes. Understanding is fresh, instantaneous, it is not the continuation of something that has been. What has been does not help you understand. As long as you seek continuity, permanence in your relationships, in love, in a peace that you would like to last forever, do not move away from the field of time, because these things do not belong to the eternal ."

"Virtue is not something that should be cultivated, if it is the daughter of thought, of the will, if it is the result of repression, then it is no longer a virtue. But if you understand the disorder that is in your life, the confusion, the total lack of meaning of your existence, when you see this very clearly, not just intellectually or verbally, not condemning, not fleeing, but observing this disorder of life, then from awareness and observation comes order, of course, and it is virtue. a virtue altogether different from that of society, respectable and sanctioned by religions with their hypocrisy; and it is altogether different from self-imposed discipline."

"Do not think one way simply because people think so, or because it is an age-old belief, or because it is written so in some book held sacred; think for yourself and judge whether it is reasonable."

"When you look for an authority to lead you to spirituality, you are automatically forced to build an organization around yourself. And by creating that organization, which you think will help you spiritually, you lock yourself in a cage. You think that only certain people hold the key of the realm of happiness. No one has it, no one has the authority to hold that key. That key is yourself and only in the evolution, purification and incorruptibility of that self, is there the realm of eternity And for those who are weak, there can be no organization to help them find the truth, because the truth is within each of us; it is not far away, it is not near, it is eternally here. Those who really wish to understand, that they want to find that which is eternal, without beginning or end, they will walk together with greater intensity and will be a danger to all that is not essential, that is not real, to that which is in shadow.And these people will focus year, they will become the flame, for they understand."

Jiddu Krishnamurti




martedì 20 dicembre 2022

Da ogni fine sorge un nuovo inizio: il Ritorno - From every ending arises a new beginning: the Return



Ricominciare da dove si è finito. I cambiamenti stagionali erano di vitale importanza per l'agricoltura e la sussistenza in ogni cultura dell'emisfero nord. Il ritorno dell'allungarsi delle ore di luce, che giunge con il solstizio invernale, è anche un segnale di carattere spirituale, in tutte le religioni è visto come il momento più propizio dell'anno.

Così fu per tutte le popolazioni di origine indoeuropea, per i nativi nord americani e non poteva essere diverso in Cina. Anzi è proprio in Cina che esiste la tradizione più antica e confermata storicamente sulla sacralità del solstizio invernale.

Nel Libro dei Mutamenti (I Ching), il testo più antico  non solo della Cina ma dell'umanità intera, il solstizio invernale è collegato all'esagramma "Fu", che significa "Il Ritorno".

Il segno è caratterizzato da una linea chiara che ritorna dal basso e sale verso l’alto. Esso significa radice e tronco del carattere. Il bene che compare in basso è all’inizio, quasi insignificante, ma è abbastanza forte per affermarsi durevolmente, nella sua peculiarità (come gli è congeniale), di fronte a ogni tentazione dell’ambiente.

La parola “ritorno” suggerisce anche l’idea di una continua inversione di rotta dopo gli errori, nonché l’idea della conoscenza di sé e dell’autocritica occorrente per correggersi.

In riferimento alla formazione del carattere si intende che il principio chiaro si dirige di nuovo verso la luce interiore voltando le spalle alla confusione dell’esteriorità. Nel fondo dell’anima, allora, si scorge il divino (l’Uno).

Questa coscienza è ancora allo stato germinale, appena un inizio, ma come tale chiaramente distinto da tutti gli oggetti esterni.

Riconoscere questo Uno significa riconoscere la propria natura nella forza ascendente della vita.

Nel commento all'esagramma  Confucio dice: “Nel segno Il Ritorno si vede il senso del Cielo e della Terra”. Qui si esprime l’idea che la forza luminosa è il principio creativo del Cielo e della Terra.

E’ un ciclo eterno, dal quale, l’esistenza scaturisce sempre di nuovo, proprio nel momento in cui può sembrare completamente sconfitta. Da questo si traggono le conclusioni che indicano il giusto comportamento in questo tempo.

Paolo D'Arpini









English text

Start over where you left off. Seasonal changes were vital to agriculture and livelihoods in every Northern Hemisphere culture. The return of the lengthening of the hours of light, which comes with the winter solstice, is also a sign of a spiritual nature, in all religions it is seen as the most favorable moment of the year.

This was the case for all populations of Indo-European origin, for the North American natives and it could not be different in China. Indeed it is precisely in China that there is the oldest and historically confirmed tradition on the sacredness of the winter solstice.

In the Book of Changes (I Ching), the oldest text not only of China but of all humanity, the winter solstice is connected to the hexagram "Fu", which means "The Return".

The sign is characterized by a clear line that returns from below and rises to the top. It means root and trunk of the character. The good that appears below is at the beginning, almost insignificant, but it is strong enough to establish itself permanently, in its peculiarity (as it is congenial to it), in the face of every temptation of the environment.

The word "return" also suggests the idea of a continuous turnaround after mistakes, as well as the idea of self-knowledge and self-criticism needed to correct oneself.

With reference to the formation of character it is meant that the clear principle turns back towards the inner light and turns its back on the confusion of the exterior. In the depths of the soul, then, one sees the divine (the One).

This consciousness is still in a germinal state, barely a beginning, but as such clearly distinct from all external objects.

To recognize this One is to recognize one's own nature in the ascending force of life.

In the commentary on the hexagram Confucius says: "In the sign The Return we see the meaning of Heaven and Earth". Here the idea is expressed that the luminous force is the creative principle of Heaven and Earth.

It is an eternal cycle, from which existence always arises again, just at the moment in which it can seem completely defeated. From this conclusions are drawn which indicate the right course of action at this time.

Paul D'Arpini

giovedì 15 dicembre 2022

"Il fuoco cristiano" ed il martirio di Ipazia...

 


"Non ascoltate quello che vi diranno, vogliono che io sparisca nel nulla, per questo diranno che me ne sono andata che sono fuggita per questo diranno che nessuno ha visto quello che mi hanno fatto e nessuno ha sentito. Non li credete, bruciano il mio corpo e i miei scritti perché non vogliono resti nulla di me ma si sbagliano, il pensiero non brucia. Ipazia, (370 d. C, 415 d.C., Alessandria d'Egitto)"


C'è molta incomprensione sulle persecuzioni contro i "cristiani" nei primi secoli dopo Cristo. A parte i numeri, si tratta di poche centinaia di esecuzioni, i "perseguitati" erano fuorilegge che cospiravano contro Roma, tra l'altro non erano nemmeno veri e propri "cristiani, bensì ebrei di una certa setta fuggiti dalla Palestina in seguito alla "bonifica" compiuta da Tito e Vespasiano,  e solo successivamente furono identificati come  "cristiani".

Al contrario la lista  dei martiri vittime dei cristiani sarebbe lunghissima.. ma giusto per dare un incipit alla storia truce di Ipazia segnalo le prime persecuzioni cristiane contro i cosiddetti "pagani", seguite poi da torture e uccisioni perpetrate contro eretici e streghe e scienziati fastidiosi europei  nel corso di duemila anni. Senza contare i milioni di vittime nel nuovo mondo... 

Questo è il "caldo natale" cristiano 


Già durante l’Impero Romano, appena ammesso ufficialmente il culto cristiano con decreto imperiale del 315, si cominciò a demolire i luoghi del culto pagano e a sopprimere i sacerdoti pagani.

Tra il 315 e il sesto secolo furono perseguitati ed eliminati un numero incalcolabile di fedeli pagani.

Esempi celebri di templi distrutti: il santuario di Esculapio nell’Egea, il tempio di Afrodite a Golgota, i templi di Afaca nel Libano, il santuario di Eliopoli.

Sacerdoti cristiani, come Marco di Aretusa o Cirillo di Eliopoli, vennero persino celebrati come benemeriti «distruttori di templi» (DA 468).

Dall’anno 356 venne sancita la pena di morte per chi praticava i riti pagani (DA 468).

L’imperatore cristiano Teodosio (408-450) fece giustiziare perfino dei bambini per aver giocato coi resti delle statue pagane (DA 469). Eppure, stando al giudizio di cronisti cristiani, Teodosio «ottemperava coscienziosamente a ogni cristiano insegnamento».

Nel VI secolo, si finì per dichiarare fuorilegge i fedeli pagani.

All’inizio del quarto secolo, per sobillazione di sacerdoti cristiani, fu giustiziato il filosofo politeista Sopatro (DA 466).

Nel 415, la celeberrima scienziata e filosofa Ipazia di Alessandria venne letteralmente squartata da una plebaglia guidata e aizzata da un predicatore di nome Pietro, con il consenso dal vescovo Cirillo, e i suoi resti dispersi in un letamaio (DO 19-25).

Ipazia, vittima dell'oscurantismo religioso cristiano ai tempi di Diocleziano



“Commento di Teone di Alessandria al Terzo Libro del Sistema matematico di Tolomeo. Edizione controllata dalla filosofa Ipazia, mia figlia”

Questa l’intestazione al III libro del Sistema matematico di Tolomeo, scritto da Teone di Alessandria, padre della filosofa e matematica Ipazia.  Lui  la introduce agli studi matematici ma lei non si limita allo studio e diventa anche insegnante,come testimoniano le parole di Filostorgio (suo contemporaneo e biografo): “Introdusse molti alle scienze matematiche” e l’elogio che ne tesse Pallada è forse il più bello e il più intimo: ” Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue parole, vedendo la casa astrale della Vergine, infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto, Ipazia sacra, bellezza delle parole, astro incontaminato della sapiente cultura”.

Ipazia ha fatto importanti scoperte sul moto degli astri, raccolte nel testo “Canone astronomico” così da renderne pubblica la conoscenza anche ai suoi contemporanei. Considerata la terza caposcuola del Platonismo da Socrate Scolastico, ha dimostrato che tra la scienza matematica e la sapienza filosofica c’è uno stretto legame, e la studiosa Gemma Beretta traccia un quadro lucido e dettagliato dell’opera che questa filosofa ha lasciato ai suoi contemporanei e a tutte le successive generazioni di uomini e donne che hanno calpestato la stessa terra e guardato lo stesso cielo.

“Quando tracciava una nuova mappa nel cielo, Ipazia stava indicando una traiettoria nuova, e al tempo stesso antichissima, per mezzo della quale uomini e donne del suo tempo potessero imparare ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere ecclesiastico…  Ipazia insegnava ad entrare dentro di Sé (l’Intelletto) guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone della verità”.

Ipazia: matematica ma anche filosofa.  Inventrice, pare di un astrolabio piatto, di un idroscopio e un aerometro. Ipazia anche guida spirituale, come testimonia una intensa ed intima lettera scritta da Sinesio, Vescovo di Cirene,  indirizzata a lei, maestra pagana: ” Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’ altri mai onorato! …. E se c’è qualcuno venuto dopo di me che ti sia caro, io devo essergli grato perché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose bene; in caso contrario, non importano neanche a me”.

Ipazia è stata una donna seguita dai suoi contemporanei, dal popolo come dalle più alte cariche cittadine, come riportano Socrate Scolastico ”A causa della sua straordinaria saggezza, tutti la rispettavano profondamente, e provavano verso di lei un timore reverenziale”, e Damascio ”Il resto della città a buon diritto la amava e la ossequiava grandemente, e i capi ogni volta che si prendevano carico delle questioni pubbliche, erano soliti recarsi prima da lei”. Secondo il parere di questi due illustri filosofi e diretti testimoni di Ipazia, grazie a lei si era realizzata nel concreto la “politeia” in cui erano i filosofi a decidere le sorti della città.

Ancora Beretta sottolinea l’innovazione contenutistica degli insegnamenti di Ipazia, nel sostenere che ” Ipazia affianca ad un insegnamento esoterico un insegnamento pubblico, simile a quello dei sofisti moralizzatori del I secolo” e ”… spiegava tutte le scienze filosofiche a coloro che lo desideravano”.

Nel 391 d.c. Teodosio dichiara il Cristianesimo religione di Stato, e l’anno successivo viene promulgata una legge speciale contro i riti pagani.  Ipazia occupa la cattedra di filosofia, ereditata dal padre; nel mentre Cirillo diventa Vescovo e rappresenta il massimo del potere ecclesiastico.

Durante il passaggio dal paganesimo al cristianesimo, l’unico modo che il Vescovo ha di controllare le menti è quello di spodestare il filosofo, e Cirillo non perde tempo per organizzare l’eliminazione fisica della sua rivale.


Il "santo" Cirillo torturatore ed assassino

Ipazia cade vittima di un’imboscata mentre faceva ritorno a casa, la colpiscono con dei cocci e la smembrano. Gettano pezzo per pezzo il suo corpo nel fuoco perché non ne restasse traccia. Il santo Cirillo, pur essendo considerato il principale architetto della ingiusta e violenta sparizione di Ipazia, non ha mai pagato, neanche moralmente, la sua colpa.  Un esimio collega della filosofa d’Alessandria, Voltaire, le dedicherà pensieri di solidarietà e definirà la sua fine una “condanna ingiusta”, frutto di “un eccesso di fanatismo” e l’irlandese John Toland le dedica un saggio ” Ipazia, ovvero la Storia di una Dama assai bella, assai virtuosa, assai istruita e perfetta sotto ogni riguardo, che venne fatta a pezzi dal clero di Alessandria per compiacere l’Orgoglio, l’Emulazione e la Crudeltà del loro Vescovo, comunemente ma immeritatamente denominato San Cirillo.

Paolo D'Arpini e Angela  Braghin



domenica 11 dicembre 2022

I religiosi, Schopenhauer e la spiritualità laica... - Religious, Schopenhauer and lay spirituality...



Lasciatemi dire qualcosa di Schopenhauer, un filosofo che per altro molto piacque ai religiosi che in lui vedevano un “giudicatore del creato”, un moralista che sapeva distinguere fra bene e male, che conosceva il significato di raggiungere un traguardo: “.. se uno correndo tutto i giorno, giunge a sera, può dirsi soddisfatto. Ebbene, ora ce l’ho fatta, il crepuscolo della mia vita diventa l’alba della mia fama” (Senilia pag. 84 del manoscritto originale del 1856).

Egli si definiva nelle sue memorie uno “sprezza-uomini” uno che disprezzava la stupidità umana apprezzando per contro la sua intelligenza personale.

Questo orgoglio intellettuale separativo è sicuramente poco “laico” ed infatti la sua “arte di conoscere se stessi” è tutta rivolta alla conoscenza della “persona” come entità avulsa dal contesto, un’individualità “prescelta”, evidentemente da dio. E questo atteggiamento piacque molto ai dottori della chiesa che -anch’essi- si sentono “benedetti” e privilegiati e protetti per la loro fede in dio (per altro cieca).

Ma dal punto di vista della realtà assoluta sia la persona che la creazione possono manifestarsi “progressivamente” solo nell’ambito della durata, essendo il concetto dell’esistenza spazio temporale puramente figurativo, non ha cioè vera sostanza essendo un configurarsi di eventi costruiti e proiettati nella mente.

Perciò nella visione della assoluta Esistenza-Coscienza la persona e la creazione “appaiono” simultaneamente all’osservatore (il Sé) rivelandosi nello svolgimento apparente dello scorrere del tempo nello spazio. La manifestazione è di fatto un semplice riflesso nella mente del percepiente che riesce a captarla ed elaborarla “fermando” il fotogramma, passo dopo passo nella coscienza.

Quel singolo fotogramma (persona e creazione) è in realtà una forma momentanea, all'interno della totale manifestazione, che -sia pur sempre presente nella sua interezza assoluta- viene illuminata dalla coscienza individuale, vista con l'occhio nella mente e srotolata nel contesto denominato “processo del divenire”.

Da ciò se ne deduce che la descrizione di una persona e dei suoi ipotetici risultati è relativa ed illusoria tanto quanto la visione “creazionista” (in quanto emanazione di un dio separato). Con buona pace del filosofo Schopenhauer e di tutti i preti suoi estimatori.

Paolo D'Arpini




English text

Let me say something about Schopenhauer, a philosopher who, moreover, was greatly appreciated by the religious who saw in him a "judger of creation", a moralist who knew how to distinguish between good and evil, who knew the meaning of reaching a goal: ".. if one running all day, arriving in the evening, he can be said to be satisfied. Well, now I've done it, the twilight of my life becomes the dawn of my fame” (Senilia page 84 of the original manuscript of 1856).

He described himself in his memoirs as a "despiser of men" one who despised human stupidity while appreciating his personal intelligence.

This separative intellectual pride is certainly not very "lay" and in fact its "art of knowing oneself" is entirely aimed at the knowledge of the "person" as an entity detached from the context, an individuality "chosen", evidently by God. And this attitude was very pleasing to the doctors of the church who - they too - feel "blessed" and privileged and protected for their faith in God (moreover blind).

But from the point of view of absolute reality both the person and the creation can manifest themselves "progressively" only in the context of duration, being the concept of purely figurative space-time existence, that is, it has no real substance being a configuration of constructed and projected events in the mind.

Therefore in the vision of the absolute Existence-Consciousness the person and the creation "appear" simultaneously to the observer (the Self) revealing themselves in the apparent unfolding of the passage of time in space. The manifestation is in fact a simple reflection in the mind of the perceiver who manages to capture and process it by "stopping" the frame, step by step in consciousness.

That single frame (person and creation) is actually a momentary form, within the total manifestation, which -although always present in its absolute entirety- is illuminated by the individual consciousness, seen with the eye in the mind and unrolled in the context called the "process of becoming".

From this it can be deduced that the description of a person and his hypothetical results is as relative and illusory as the "creationist" vision (as an emanation of a separate god). With all due respect to the philosopher Schopenhauer and all the priests who admire him.

Paul D'Arpini

sabato 10 dicembre 2022

Trascendenza ed immanenza unite. Tentativo di descrivere l'indescrivibile - Transcendence and immanence united. Attempt to describe the indescribable

"...difficile spiegare cosa siano ecologia profonda e spiritualità laica... ma possono essere vissute come esperienza" (Saul Arpino)

Finestrella di vita


Trascendenza ed immanenza unite. Tentativo di descrivere l'indescrivibile

La capacità,  sia pur  nella limitazione dell'intelletto, di descrivere la realtà, quella percettibile e quella del pensiero, in modo consequenziale e logico, è un grande vantaggio allorché si voglia estrinsecare un percorso lineare. Il suo uso invece è di poca utilità dovendo affrontare un discorso “olistico” -come è appunto quello dell'ecologia profonda e della spiritualità laica.

Certo possiamo avvicinarci, attraverso un'accorta cernita di “parole e significati”, di concetti ed immagini. Per questo trovo che il messaggio dei pittogrammi – ideogrammi cinesi sia molto più vicino  alla semantica del linguaggio. C'è un tentativo di trasmettere anche la “visione” anche l'immagine, oltre al pensiero....

Restando a noi... se analizziamo i particolari del percorso vitale dobbiamo necessariamente suddividerli in segmenti e studiarli e descriverli nel loro funzionamento tipico, al di fuori del contesto generale, in quanto compresi nello specifico modo dell'osservatore.... 

Questo è il dettame della logica e questo è il modo operativo del nostro linguaggio, composto di suoni e allocuzioni, che della logica è espressione. 

Infatti il linguaggio è un ingranaggio matematico utile, sino ad un certo punto, per descrivere i procedimenti sia della percezione sensoriale che della “fantasia” emozionale. Ma ciò che viene così trasmesso, purtroppo, manca della freschezza e dell'immediatezza dell'esperienza, quella che giustamente vien definita “presenza”. Infatti il linguaggio attinge solo alla memoria, non può raccontare e convenire l'ineffabile momento vissuto... in quanto “presenza”!

Per fortuna nostra, attraverso la capacità analogica della nostra mente, siamo anche in grado di intuire e lanciare piccoli segnali inerenti la sensibilità “spirituale” che non risiede e non può essere descritta con i meccanismi della mente duale.

L'Uno sfugge ad ogni descrizione... e se una descrizione viene tentata è sicuramente parziale e limitata alle forme proprie del linguaggio e del pensiero duale.

Per capire un pesce devi essere pesce, per sentire un albero devi essere un albero.. etc. Questo è verissimo ed è facilmente accettabile anche dalla mente umana. Il fatto poi che se ci si sente un pesce si è limitati al sentire del pesce, come pure se ci si sente uomo si è limitati al sentire dell'uomo dimostra ulteriormente l'impossibilità di condividere “il concetto” spirituale fra viventi di diversa specie. Ciò non toglie che "l'esperienza di sé" -quel che io definisco Spirito- venga egualmente vissuta in ognuna di quelle forme.

D'altronde, cosa s'intende nella spiritualità laica? Che spogliandosi dal rivestimento identificativo in un particolare “sentire”, ovvero obliterando la propria identità egoica, la quale non è altro che la cristallizzazione di un riconoscersi in pensieri, desideri, azioni, compiuti dall'”oggetto” che funge da osservatore (il nome forma specifico e la mente individuale), immediatamente -liberi da presupposti identificativi- siamo in grado di pienamente condividere, sentendola come propria, l'esperienza del pesce o dell'albero. Che questa capacità sia non solo possibile ma persino attuabile è comprovato dagli stati trascendentali raggiunti durante la meditazione profonda o per mezzo di forti manipolazione psichiche (trance, deliquio, droga, etc.).

Ovviamente la sporadicità e intermittenza dell'esperienza non duale è solo un “assaggio” della condizione naturale in cui l'uomo ed ogni altro essere condivide pienamente -e perciò manifesta- il Tutto, l'UNO. Lo scopo della spiritualità laica, è quello di conseguire -per mezzo di una ripetuta e continua attenzione al soggetto percepiente, quello stato di unitarietà che trascende totalmente l'io individuale e consente l'esperienza spirituale propria e definitiva della vita nella sua interezza.

Allorché, con termini filosofici empirici, gli ecologisti profondi descrivono l'unitarietà della vita, e l'interconnessione di ogni suo aspetto, in ogni sua relazione, essi non fanno altro che evocare quello stato di coscienza, quella Consapevolezza intima e profonda, che contraddistingue ogni ente psichico ed ogni elemento materico (in forma latente). E che a me piace chiamare “spirito” (intelligenza e coscienza).

Questo è il mio sentimento....

Paolo D'Arpini



English text

"...difficult to explain what deep ecology and lay spirituality are... but they can be lived as an experience" (Saul Arpino)

The ability, albeit limited of the intellect, to describe reality, perceptible and thought, in a consequential and logical way, is a great advantage when one wants to express a linear path. However, its use is of little use since it has to deal with a "holistic" discourse - as is precisely that of deep ecology and lay spirituality.

Certainly we can approach concepts and images through a careful selection of "words and meanings". This is why I find that the message of Chinese pictograms - ideograms is much closer to the semantics of language. There is an attempt to transmit the "vision" also the image, in addition to the thought....

Staying with us ... if we analyze the details of the vital path we must necessarily divide them into segments and study and describe them in their typical functioning, outside the general context, as understood in the specific way of the observer....

This is the dictate of logic and this is the operating mode of our language, composed of sounds and allocutions, which is an expression of logic.

In fact, language is a mathematical mechanism useful, up to a certain point, to describe the processes of both sensory perception and emotional "fantasy". But what is thus transmitted, unfortunately, lacks the freshness and immediacy of experience, what is rightly defined as "presence". In fact, language draws only on memory, it cannot tell and agree on the ineffable moment lived... as a "presence"!

Luckily for us, through the analogical ability of our mind, we are also able to intuit and launch small signals inherent to the "spiritual" sensitivity that does not reside and cannot be described with the mechanisms of the dual mind.

The One escapes any description... and if a description is attempted it is certainly partial and limited to the forms proper to language and dual thought.

To understand a fish you must be a fish, to hear a tree you must be a tree..etc. This is very true and is easily acceptable even by the human mind. The fact then that if you feel like a fish you are limited to the feeling of the fish, just as if you feel like a man you are limited to the feeling of a man further demonstrates the impossibility of sharing the spiritual "concept" between living beings of different species . This does not mean that "the experience of self" - what I call Spirit - is equally experienced in each of those forms.

On the other hand, what is meant by secular spirituality? That by stripping oneself of the identifying covering in a particular "feeling", or by obliterating one's egoic identity, which is nothing other than the crystallization of a recognition of oneself in thoughts, desires, actions, carried out by the "object" that acts as an observer (the name form and the individual mind), immediately - free from identifying presuppositions - we are able to fully share, feeling it as our own, the experience of the fish or the tree. That this capacity is not only possible but even feasible is proven by the transcendental states achieved during deep meditation or by means of strong psychic manipulations (trance, swoon, drug, etc.).

Obviously the sporadic and intermittence of the non-dual experience is only a "taste" of the natural condition in which man and every other being fully shares - and therefore manifests - the Whole, the ONE. The purpose of secular spirituality is to achieve - by means of repeated and continuous attention to the perceiving subject - that state of unity which totally transcends the individual ego and allows the proper and definitive spiritual experience of life in its entirety.

When, with empirical philosophical terms, profound ecologists describe the unity of life, and the interconnection of every aspect of it, in every relationship, they do nothing but evoke that state of consciousness, that intimate and profound Awareness, which distinguishes every psychic entity and every material element (in latent form). And that I like to call "spirit" (intelligence and conscience).

This is my feeling....

Paul D'Arpini

sabato 3 dicembre 2022

Il Tao ed il naturale fluire della vita... - The Tao and the natural flow of life...

 


"Non vi è nulla di celato che non divenga manifesto e di nascosto che non sarà svelato".

Sembra che in questa massima antica dal sapore religioso  vi sia quasi una ripetizione fra ciò che è celato e diviene manifesto e ciò che è nascosto e sarà  svelato, ma non è così.

Ci sono delle sottigliezze che per trasmettere il loro messaggio abbisognano di precisazioni e di proposizioni ripetute.

La ripetizione nel tentare di trasmettere un qualcosa che non ha senso se non per l'intuito è un espediente necessario. Nel taoismo spesso i concetti vengono ripetuti modificando appena i loro significati in modo da colpire più intimamente l'ascoltatore ed immettere un seme nel suo cuore.

La differenza fra le scuole di pensiero, come il Confucianesimo, basate sull'etica, e il Taoismo è che il vivere consapevole nel Tao è ben più di un vivere semplicemente morale. L'etica e la morale limitano e vincolano.

La morale non è creativa e si esaurisce nel tentativo di contenersi nei suoi stessi limiti, tentando di rispettare le sue regole.

La morale resta  circoscritta ai concetti di bene e male, giusto ed ingiusto, virtuoso e vizioso e non può andare oltre, poiché se va oltre non è più se stessa.  La morale cammina fianco a fianco con la ragione ed il senso del giudizio.

La vita nel Tao, al contrario, non è legata ad alcun criterio di genere è libera come un uccello che vola, un pesce che nuota od un fiore che sboccia. Essa spontaneamente resta integra in se stessa, perciò è una vita sempre autonoma.

Il Tao non giudica, prende le cose come sono. Il saggio taoista sa riconoscere in ogni mattino un buon mattino, non importa quanto tempestoso. 

Il  fluire nel Tao ci rende liberi e creativi   Questo però non è del tutto esatto perché il Tao discrimina, non ignora i sensi e neppure l'intelletto. Ciò che è bello è bello, ciò che è buono è buono e ciò che è vero è vero.

Il saggio taoista è capace di vedere le cose comunemente come esse si presentano, con un qualcosa in più: la comprensione che tutto si muove nella sua propria direzione.
  

 Paolo D'Arpini










English text: 


"There is nothing hidden that will not become manifest and hidden that will not be revealed". It seems that in this ancient maxim with a religious flavor there is almost a repetition between what is hidden and becomes manifest and what is hidden and will be revealed, but this is not the case.

There are some subtleties that need clarifications and repeated propositions to convey their message.

Repetition in trying to convey something that makes no sense except for intuition is a necessary expedient. In Taoism concepts are often repeated with just the slightest modification of their meanings in order to strike the listener more intimately and plant a seed in his heart.

The difference between ethically based schools of thought, such as Confucianism, and Taoism is that conscious living in the Tao is more than simply moral living. Ethics and morals limit and bind.

Morality is not creative and exhausts itself in trying to contain itself within its own limits, trying to respect its rules.

Morality remains limited to the concepts of good and evil, right and wrong, virtuous and vicious and cannot go further, because if it goes further it is no longer itself. Morality walks side by side with reason and a sense of judgment.

Life in the Tao, on the other hand, is not tied to any gender criterion, it is free like a flying bird, a swimming fish or a blossoming flower. It spontaneously remains integral in itself, therefore it is always an autonomous life.

The Tao does not judge, it takes things as they are. The Taoist sage knows every morning to be a good morning, no matter how stormy.

Flowing in the Tao makes us free and creative This however is not entirely accurate because the Tao discriminates, it does not ignore the senses or even the intellect. What is beautiful is beautiful, what is good is good, and what is true is true.

The Taoist sage is able to see things commonly as they are, with something extra: the understanding that everything moves in its own direction.

Paolo D'Arpini

lunedì 28 novembre 2022

Il linguaggio unisce o divide? - Does language unite or divide?

 


A volte le parole possono creare discordia fra gli uomini… L’incomprensione sorta con la diversità dei linguaggi, volendo comprendere l’altro attraverso il linguaggio, è alla base delle antipatie che gli esseri umani percepiscono gli uni verso gli altri. Prova ne sia il negro che ci parla in bantu viene visto con sospetto e timore, mettete che lo stesso negro si mette a parlare in italiano, o addirittura nel nostro dialetto familiare, ecco che improvvisamente diviene uno di noi, un fratello di colore diverso. 

Il linguaggio comune unisce ed all’inizio tutti gli umani parlavano la stessa lingua, il “nostratico” viene chiamato in glottologia, poi da quella radice, nella diaspora umana planetaria, sono sorti rami e ramoscelli sempre più diversi. La mitologia della Torre di Babele è simbolica ma veritiera. Gli uomini appena salvatisi dal diluvio universale invece che andare a ri-abitare il pianeta, ridiventato fertile dopo il cataclisma, si concentrarono tutti in un luogo e cominciarono ad erigere un monumento di ringraziamento a Dio (forse però a quel tempo era la Dea), simbolicamente questa torre zigurratica saliva sempre più in altezza (per arrivare in cielo) ma l’uomo è fatto per la terra e così Dio (o la Dea) confuse i linguaggi e gli uomini che non potevano più comprendersi si allontanarono in gruppi omogenei alla conquista del mondo, chi qua chi là, finché tutto il pianeta fu abitato.

Certo questa è una favola ma fa pensare come la differenza delle lingue allontani l’uomo dall’uomo. Sarà per questo che in ogni epoca un potere emergente cerca di stabilirsi attraverso una lingua? Sicuramente è avvenuto così.. il sanscrito, il greco, il latino… ed ora l’inglese, come lingue veicolari temporali, ne sono riprova.

Ma aspetta aspetta, non intendevo fare semplicemente un discorso semantico linguistico, anzi, volevo parlare dell’unico elemento che è in grado di unire e di far riconoscere l’uomo in se stesso e agli altri come manifestazione della stessa matrice vitale. Questo elemento è la “coscienza-intelligenza”, che unisce tutti i viventi e -in latenza- anche il mondo inorganico.

Questa Coscienza/intelligenza è stata definita da tempo immemorabile “spirito” (diverso da anima che sottintende una personalità individuale). Lo spirito tutti ci accomuna poiché Spirito e vita sono consequenziali ed inseparabili. Possiamo chiamarla Biospiritualità,  o Spiritualità Laica, una forza legante universale, al di là del linguaggio, che è l’espressione, l’odore sottile, il messaggio intrinseco, che traspira dalla materia tutta.

Il sentimento di costante presenza indivisa, la consapevolezza dell’inscindibilità della vita, riconoscibile in ogni sua forma e componente, partendo dal “soggetto” percipiente, questa è la pratica stabile dell’essere biospirituale. La conoscenza suprema significa sapere che tutto quel che “è” lo è in quanto tale. Perché l’esistente è uno, non può esserci “altro”…

Ed infatti l’ostacolo posto dalle religioni e dalle ideologie è proprio quello di basarsi su un linguaggio, sulla descrizione culturalmente adattata per esportare una specifica cultura. Ma allorché l’oscuramento viene rimosso dal cuore dell’uomo, improvvisamente ci troviamo a Casa, cioè torniamo alla “lingua universale” da tutti compresa. Possiamo definire questo stato “liberazione” dall’illusorio senso di separazione, poiché la biospiritualità non può ammettere separazione.

Paolo D’Arpini







English text

Sometimes words can create discord among men... The incomprehension that arises with the diversity of languages, wanting to understand the other through language, is at the basis of the antipathies that human beings perceive towards each other. Proof of this is the Negro who speaks to us in Bantu is seen with suspicion and fear, let's say that the same Negro starts speaking in Italian, or even in our family dialect, suddenly he becomes one of us, a brother of a different colour.

The common language unites and at the beginning all humans spoke the same language, the "nostratic" is called in glottology, then from that root, in the planetary human diaspora, increasingly different branches and twigs arose. The mythology of the Tower of Babel is symbolic but truthful. The men who had just saved themselves from the universal flood instead of going to re-inhabit the planet, which had become fertile again after the cataclysm, all concentrated in one place and began to erect a monument of thanksgiving to God (perhaps however at that time it was the Goddess), symbolically this zigurratic tower rose higher and higher (to reach heaven) but man was made for the earth and so God (or the Goddess) confused the languages ​​and the men who could no longer understand each other moved away in homogeneous groups to conquer of the world, who here who there, until the whole planet was inhabited.

Of course this is a fairy tale but it makes us think how the difference of languages ​​distances man from man. Could it be for this reason that in every age an emerging power seeks to establish itself through a language? Surely it happened like this .. Sanskrit, Greek, Latin ... and now English, as temporal vehicular languages, are proof of this.

But wait wait, I didn't mean to simply make a linguistic semantic discourse, on the contrary, I wanted to talk about the only element that is able to unite and make man recognize himself and others as a manifestation of the same vital matrix. This element is the "consciousness-intelligence", which unites all living beings and -in latency- also the inorganic world.

This Consciousness/intelligence has since time immemorial been referred to as "spirit" (as opposed to soul which implies an individual personality). The spirit unites us all because Spirit and life are consequential and inseparable. We can call it Biospirituality, or Lay Spirituality, a universal binding force, beyond language, which is the expression, the subtle smell, the intrinsic message, which transpires from all matter.

The feeling of constant undivided presence, the awareness of the inseparability of life, recognizable in all its forms and components, starting from the perceiving "subject", this is the stable practice of the biospiritual being. Supreme knowledge means knowing that all that "is" is as such. Because the existing is one, there can be no "other"...

And in fact the obstacle posed by religions and ideologies is precisely that of relying on a language, on a culturally adapted description to export a specific culture. But when the darkening is removed from the heart of man, we suddenly find ourselves Home, that is, we return to the "universal language" understood by all. We can call this state "liberation" from the illusory sense of separation, since biospirituality cannot admit separation.

Paolo D'Arpini

sabato 12 novembre 2022

LE STORIE, LE AVVENTURE, I RICORDI, LA CARRIERA, LA VITA (Nota autobiografica di Paolo D'Arpini)

 

Paolo D'Arpini a Verona, all'età di 15 anni circa

Dati "bruti" 

Sono nato a Roma, in Via Ariberto da Intimiano, il 23 giugno 1944, da Giustina Tirabosco,  di Bagnoli di Sopra,  e da Aldo D'Arpini (di Roma ma probilmente originario da Arpino), nella casa dei miei nonni paterni, dove vissi sino ai primissimi anni '50, poi la mia famiglia si trasferì a Grottaferrata (nei Castelli Romani) fino alla morte di mia madre avvenuta nel 1954. Dopodiche fui relegato nel collegio salesiano di Roma "Sacro Cuore". Dal 1957 seguii mio padre a Verona, dov'egli si risposò con Noemi. Dopo qualche anno mio padre tornò a Roma, ed io con lui, ma per poco, infatti all'età di 15 anni "scappai di casa" e tornai a Verona ove rimasi con alterne vicende sino all'età di 27 o 28 anni circa, poi...


2007. Nella casarsa di Calcata

Scrivevo nel Novembre 2007 sul blog del  Circolo Vegetariano VV.TT. di  Calcata:  

"Vivo in una casupola fatiscente sulla rupe esterna di Calcata, vicino al lavatoio ed alla fogna comunale. Non dispongo di alcun reddito se non il soccorrevole, saltuario, sostegno di amici compassionevoli e piccolissimi proventi da attività culturali. Sono soddisfatto della mia condizione, mi sento libero."

Reminiscenze

Volendo però raccontare come tutto ciò è avvenuto debbo fare alcuni passi indietro, sia nel tempo che nel luogo, ed ecco che mi ritrovo nel 1967 in cui nacque a Verona il mio primo figlio, avevo 23 anni. All’anagrafe, mia moglie Evelyne (francese) ed io, lo chiamammo Massimiliano ma in casa egli era Davide. Forse un altro dei miei tentativi inconsci di mascherare e nascondere qualcosa sulle mie origini. Infatti si sospetta che la mia famiglia fosse di origine ebraica, si convertì e cambiò cognome durante il periodo della promulgazione delle leggi razziali del fascismo. Nei miei tratti genetici c’è il vizio –forse- di voler creare confusione sulla mia ascendenza. Ovviamente non sono ebreo, sono stato battezzato con un nome cristiano: Paolo. Eppur ancora recentemente un’amica ascoltando il racconto delle mie origini ha commentato sarcasticamente: “Ah adesso capisco perché sei così… a me gli ebrei non son mai piaciuti”. Ed io -hai voglia a spiegare-: “…ma no, son cristiano, non sono ebreo… anzi sono totalmente laico”. Non mi è sembrato però che le giustificazioni sortissero qualche effetto,  ho così capito com’è profondo il pregiudizio in tanta parte dell’umanità. Ringrazio quindi Dio per questa ennesima lezione. Occorre essere sempre più modesti se si vuole sopravvivere.


Il karma è karma...

Purtroppo nella mia vita non ho mai avuto un dono spiccato per la modestia, ho sempre considerato me stesso e la mia opera come un degno percorso evolutivo. Abitando a Verona avevo già collaborato, nel 1967-68, ad una rivista locale che si chiamava Verona Beat, un cult tipico di quegli anni, ebbi la fortuna di intervistare personaggi tipo Adriana Asti, Gino Bramieri, L’Équipe 84 e compresi subito come fosse facile manipolare la pubblica opinione. Lo scoprii facendo decollare nelle classifiche dei primi dieci complessi beat, fra cui alcuni molto famosi e conosciuti nazionalmente, un fantomatico gruppo da me inventato chiamato “Les Fades” (che significa ‘gli stupidi’ in francese) facendolo quasi arrivare al top ten. Quando i miei amici di Verona Beat scoprirono l’amaro inganno persi il posto al giornale ma ciò mi giovò immensamente giacché potei così dedicarmi alla mia vera passione: la poesia.

Nel 1970 stampai con i tipi a piombo (e pressa manuale) di Gabriel Rummonds (un americano che editava libri d’arte a Verona) il mio primo libricino: “Ten poems and ten reflections”. Su carta gialla quasi filigranata e inchiostro rosso, la copertina, fatta a mano,  era rivestita  in cartoncino avana. Poi passai anche alle poesie visive che esposi in varie gallerie del Veneto, a Verona e Padova, ecc.  ed a Milano nell’atelier della poetessa Vittoria Palazzo.

Nel 1971 Fondai una delle prime associazioni culturali libere, si chiamava “Ex” che voleva dire ‘fuori’ (dagli schemi). La sua sede era in un locale storico in piazzetta San Marco in Foro a Verona, ove sino a poco prima c’era l’ultima vera osteria antica “Da Amelia” in cui si ritrovavano i poeti dialettali e l’intelligenza veronese. Anche in questo caso, con l’aiuto di Lina Boner e Maria Uyttendaele, mi divertii un mondo ad accompagnare il successo di gruppi emergenti come i Gatti di Vicolo Miracoli (ricordo Smaila che suonava per noi quasi tutte le sere) ma anche il santo bevitore Francesco Guccini, Jerry Calà, Massimo Altomare, Checco Loy e tanti artisti poi divenuti celebri che collaborarono con la nostra sala espositiva (in alleanza con la più famosa galleria moderna di Verona, la Ferrari) o che ci allietavano con le loro recite e performance. Tutto si svolgeva in un retro-cantina ben riscaldato su soffici cuscini in polistirolo espanso autoprodotti che spesso avevano buchi causati dalle numerose sigarette che tutti fumavamo. In questa bolgia infernale della cultura stavo attuando un mio desiderio sincretico che però meritava un ulteriore sviluppo.

Fu così che nel 1972, lasciando mia moglie Evelyne, con il mio primo figlio Maximilien, e la mia giovanissima  amante Michi,  incinta,  fuggii  in Africa con l’intento  dichiarato "di fare un servizio fotografico e scrivere un libro". (In realtà ero disperato...).  Il viaggio durò parecchi mesi e mi portò a vagare per tutta l’Africa equatoriale. A piedi o con mezzi di fortuna, con crisi di malaria, con situazioni estremamente imbarazzanti (passavo dal Katanga proprio durante il periodo delle sommosse o da Bangui quando c’era l’imperatore pazzo Bokassa) eppure sempre più pulito nel pensiero, sempre più consapevole del valore della sopravvivenza. Ringrazio -è doveroso farlo- tutte le ambasciate italiane dei vari paesi da me visitati che hanno contribuito con le loro prebende all’esperienza più vera e più sentita di un mio ritorno alle origini fisiche, nella Mamma Africa. Infine, stanco e non sapendo  cos'altro  fare (se non prendere il sole a Malindi e fumare il narghilè) decisi di imbarcarmi per l’India.


Sbarcavo a Bombay il 23 giugno del 1973

Me lo ricordo bene, perché era il mio 29° compleanno.  Da quel giorno non mangiai più carne, ma senza specificatamente deciderlo, e da quel giorno scoprii ciò che avevo sempre sospettato potesse esistere: essere se stessi. Accadde farfugliando parole senza senso dinanzi al mio Guru Muktananda che fui toccato dallo Spirito.

Nel frattempo (in Belgio) nasceva la mia prima figlia, si chiama Barbra, essa è nata per insegnarmi l’umiltà dell’incompletezza. L’arroganza non ha giustificazioni, oppure è l’ineluttabilità del destino, ma ero troppo preso dai miei ‘nuovi’ compiti e non potevo né volevo più occuparmi delle cose del mondo. Allorché tornai in Italia abbandonai Verona e la vecchia vita, lasciando la prima moglie ed il primo figlio, contemporaneamente abbandonando anche la mia seconda compagna  e la prima figlia.

Tornai a Roma dov’ero nato ma da cui ero fuggito orrificato, nel 1974 affrontai la madre matrigna, andai ad abitare in casa dello zio Giordano, che era morto e la casa vuota. Vissi così in Via Emanuele Filiberto, vicinissimo a Piazza Vittorio, -con il suo salutare mercato- meditando, cantando, astenendomi da ogni rapporto sessuale e producendo traduzioni di testi sacri e lavorando come addetto alle pulizie da Valentino (il couturier). Una bella esperienza che contribuì alla mia maturazione al punto di spingermi infine  sino a Calcata, su indicazione di Moreno Fiorenzato, per fondare un nuovo modello di Comunità.

Siamo ormai giunti al 1977 

A quel tempo avevo già avviato una ditta artigianale che distribuiva prodotti integrali, antesignana del settore, si chiamava Annapurna in omaggio alla Madre Terra (Anna/Cibo – Purna/Perfezione). Mi ero divertito anche a produrre simpatiche etichette e buste in carta (disegnate da Moreno) nonché libricini di ricette e buoni consigli.

Di lì a qualche anno, dopo un’esperienza forte con il teatro da strada nei Vecchi Tufi, fondai assieme ad alcuni amici (Sandra Forti, Rita Guerrieri, Pino Roveri, Gemma Uyttendaele) il Circolo Vegetariano VV.TT. di Calcata. Poco prima era già nata la mia seconda figlia Caterina (nel 1979 in Belgio) e con la fondazione del Circolo nasceva anche il mio secondo figlio Felix (1984), nella nostra casa di Calcata, che allora si trovava in Via di Porta Segreta. Con lui ebbi un rapporto da madre/padre-figlio. Oggi, che egli ha raggiunto l’età dei diritti civili ed è a sua volta padre sento che questa esperienza -l’essermi occupato di un figlio a tempo pieno- mi ha redento da tante fughe precedenti, riavvicinandomi anche alle due figlie Caterina e Barbara, purtroppo non al primo, Davide, che abita a Parigi e non vedo più da tantissimi anni, anche se di tanto in tanto ci siamo scritti.

Ascesa nel mondo dell'informazione

Verso il 1987 iniziai a collaborare con vari giornali, prima in forma incerta, poi pian piano avanzando all’interno del settore. Iniziai a scrivere per il Corriere di Viterbo e Gazzetta della Flaminia, proseguendo poi come pubblicista per Il Messaggero, Paese Sera, Momento Sera, Il Giornale d’Italia, Mondo Sabino, Avvenimenti, Cuore, Aam Terranova e altre testate. Contemporaneamente i comunicati stampa emessi dal Circolo (inviati all’AGI, ANSA e ADN-kronos) venivano pubblicati su diversi quotidiani (Corriere della Sera, La Repubblica, L’Unità, Il Manifesto, La Stampa, Il Giornale, Il Tempo, L’Indipendente, etc.) e su periodici nazionali (Bell’Italia, Airone, Oggi, Gente, Panorama, l’Espresso, etc.). Mentre le varie Tv mi invitavano in studio o venivano a filmarci a Calcata. Una volta per il Festival degli Uomini Casalinghi (con Antonio D’Andrea) vennero Fininvest e Rai al completo, tutte le reti.

Un momento di gloria durato circa 10 anni e fu proprio durante questo periodo, verso i primi anni ‘90, che conobbi Antonello Palieri, che allora lavorava all’Adnkronos, egli contribuì assai (assieme ad altri amici dell’Ansa e dell’Agi) a rilanciare messaggi di ecologia profonda e di spiritualità laica. Ricordo la campagna per il salvataggio delle trecentomila mucche da immolare alla CEE, la proposta del bioregionalismo, la petizione per la libertà di sepoltura nel proprio terreno, la battaglia per la salvaguardia di Calcata e delle falde acquifere della valle del Treja.

Le battaglie più sporche, contro l’inceneritore con discarica da installarsi a Civita Castellana ed il mega-lunapark  di Michael Jackson che si voleva realizzare a Campagnano, mi costarono invece la visibilità mediatica. Purtroppo essendomi messo contro le gerarchie del potere economico, politico, ne conseguì una mia messa in naftalina.

Scomparii quasi dai giornali e dalle televisioni e come personaggio  fui molto ridimensionato. Ciò mi ha giovato enormemente. Infatti adesso mi dedico solo allo scrivere necessario ed alla poesia (quasi come agli inizi). L’unico vezzo che mi resta è la pubblicazione saltuaria di qualche articolo su riviste amiche e su qualche blog ecologista, Avendo nel frattempo pubblicato diversi libri tra cui l'ultimo "Chi sei tu?", basato su I Ching e lo studio comparato degli archetipi zodiacali cinesi.

E fin qui andrebbe tutto bene, in fondo sono un uomo che ha vissuto, dando e prendendo molto dalla vita, già questa è una bella soddisfazione. Essendo nel corso degli anni  diventato nonno di 5 nipotini maschi … ed infine dal 13 giugno 2008 (h. 20,32) la discendenza è stata assicurata essendo nata Mila la mia prima nipotina femmina.
Ho parlato di  5 nipoti maschi e non posso esimermi dal menzionarli:  Sava e Teo, nati da mio figlio Felix; Matteo e Massimo, nati da Katrien, mia seconda figlia naturale;  e Diego,  nato dalla mia prima figlia naturale Barbra (di tutti  questi nipoti da diversi anni  ho purtroppo perso le tracce, alcuni abitano a Roma e uno addirittura in Nuova Zelanda).

A Calcata con alcuni nipotini

Intanto per me sono subentrati importanti cambiamenti 

A partire dal mio sessantacinquesimo anno di età ricevo una caritatevole pensioncina in qualità di nullatenente,  che non dispone di altre risorse finanziarie, il che mi ha consentito sinora di sopravvivere. E comunque  dal 3 luglio 2010 il mio domicilio abituale non è più la casupola sopra la fogna comunale di Calcata.
Seguendo le tracce di Caterina, mia nobile ed amorevole compagna di vita, che venne a rapirmi per amore,  sono diventato un “pendolare” fra  la sua casa di Treia (Marche) e quella di Spilamberto (Emilia), dove lei risiede,  in attesa di stabilirmi con lei in un luogo definitivo…

La leggenda continua

Ma sapete una cosa?  Dopo  qualche anno che avevo lasciato Calcata,  ho ricevuto da Carlo Maria Ponzi, un giornalista de Il Messaggero di Viterbo, una email in cui mi chiedeva se è vero che non abito più a Calcata o se è una semplice leggenda metropolitana… Ed ecco cosa gli ho risposto: “La verità non solo (come dicono i laici) non può essere posseduta, essa non può nemmeno venire perseguita.Infatti la verità é sempre presente e manifesta, altrimenti non sarebbe verità ma semplice descrizione. E la descrizione non é mai la sostanza…

Ciò é vero - nel mio caso – anche dal punto di vista empirico… proprio così… Non abito più a Calcata… in verità non intendo nemmeno tornarci… se non in forma di una apparizione ectoplasmica.
Per fortuna che la terra è tonda ed indivisa, l’aria che vi circola è la stessa, l’acqua pure… ed inoltre “nulla si crea e nulla si distrugge…” Per cui posso dire di essere ancora presente a Calcata… (come immagine iconica).

Però, chi volesse  incontrarmi in carne ed ossa, a Treia, può prendere un appuntamento con me scrivendo alla email: spiritolaico@gmail.com.    

Vi consiglio di affrettarvi  poiché "il tempo passa e non aspetta...".

Au revoir ou adieu,  Paolo D'Arpini







Ultime modifiche all'autobiografia  apportate il 12 novembre 2022.