mercoledì 31 agosto 2022

Salvare la religione dell'amore universale - Save the religion of universal love



Premetto di non essere "un credente" ma un convinto laico  ed in tale veste anni addietro partecipai come relatore al Festival della Laicità, che si teneva a Pescara, e lì conobbi una donna molto semplice ed intelligente, pastore valdese. Tra l'altro la chiesa valdese aveva sponsorizzato il convegno attraverso la cessione dell'8 x mille agli organizzatori. 

Recentemente, mentre bevevo il mio cappuccino bollente in un un  baretto di Treia, ho letto un articolo  che parlava di una sacerdotessa cristiana anglicana "che ha tutte le intenzioni di scalare i vertici ecclesiastici fino a diventare vescovo". 

Beh, magari la forma arrivistica non è la migliore però mi sembra giusto che le donne possano accedere al sacerdozio, anche nella religione cattolica, fino a ricoprire i più alti gradi pastorali, quelli vescovili. Non vorrei che le donne diventassero cardinali o papa non perché ritengo che non siano degne  ma soltanto perché (come già affermato in più occasioni) sarebbe opportuno che queste cariche "da principi e sovrani" scomparissero nella chiesa, fermandosi all'investitura vescovile che pur sempre rientra nel servizio ordinario per i fedeli.   

Le donne, senza alcuna proibizione di Gesù in tal senso, sono state  escluse dal sacerdozio e nel medio evo addirittura erano indicate "prive di anima, incantatrici, messaggere demoniache e streghe". 

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Eppure la donna non è solo l'altra metà del cielo è invero la rappresentazione vivente  della Madre Universale, ovvero di Dio. E Dio stesso ha creato i sessi ed il piacere sessuale come forma di incentivo alla procreazione e  come forma di "gioia di vita". 

Inoltre se facciamo un’analisi accurata sui processi emozionali e fisiologici scopriamo che in verità non c’è una reale scissione fra i sentimenti cosiddetti “puri” e lo “sconvolgimento” ormonale fisico. L’estasi è una forma di orgasmo e l’amore nelle sue varie forme ha sempre una componente fisica, con rilascio di endorfine nel corpo.

Persino nello yoga viene descritto il processo di risalita dell’energia “femminile” Shakti/Kundalini, lungo il canale spinale, come una sorta di viaggio verso il ricongiungimento con l’aspetto “maschile” Shiva… ed è da questa unione che sorge la piena consapevolezza di Sé (della presenza di Dio al nostro interno).

Anche nell’esperienza empirica della vita quotidiana scopriamo che il maschile e il femminile, che sono aspetti funzionali alla manifestazione duale della vita, tendono continuamente verso la congiunzione. Forse esteriormente possono anche non apparire in forma propriamente maschile o femminile  ma sicuramente assumono una forma “attiva e passiva”, o Yin e Yang se preferiamo una terminologia taoista.

Quindi bisogna partire dal presupposto che l’energia sessuale non è antagonista all’espressione religiosa, ed all'amore universale, anzi ne è la componente cinetica.


Ma nella religione cattolica la parola “amore” viene spesso ancora  utilizzata in modo contorto ed alienante, ad esempio  la gerontocrazia vaticana ha abusato della santissima parola amore della quale non conoscono il significato, compreso forse meglio duemila anni fa da un Cristo che certamente non avrebbe permesso quella pedofilia ed il favoreggiamento di essa perpetrata  per mero sfruttamento sessuale di bambine e bambini da preti e prelati frustrati e senza 

scrupoli.....

Allora appare evidente che la prima cosa da fare per emendare la "religione cattolica", sarebbe quella di consentire il matrimonio ai preti, seguito immediatamente dall’apertura al sacerdozio femminile e successivo abbandono del meccanismo di potere politico ed economico vaticano. 

Paolo D'Arpini  


Coordinatore del Comitato per una spiritualità laica - spiritolaico@gmail.com - In veste di Anti-papa


Testo inglese:

I state that I am not "a believer" but a convinced layman and in that capacity years ago I participated as a speaker at the Festival of Laity, which was held in Pescara, and there I met a very simple and intelligent woman, a Waldensian shepherd. Among other things, the Waldensian church had sponsored the conference through the sale of 8 x thousand to the organizers.

Recently, while I was drinking my hot cappuccino in a small bar in Treia, I read an article that spoke of an Anglican Christian priestess "who has every intention of climbing the ecclesiastical top to become a bishop".

Well, maybe the careerist form is not the best but it seems right that women can access the priesthood, even in the Catholic religion, to the point of holding the highest pastoral degrees, those of bishops. I would not want women to become cardinals or popes not because I believe that they are not worthy but only because (as already stated on several occasions) it would be appropriate for these positions "as princes and sovereigns" to disappear in the church, stopping at the episcopal investiture that still it is part of the ordinary service for the faithful.

Women, without any prohibition of Jesus in this sense, were excluded from the priesthood and in the Middle Ages they were even referred to as "soulless, enchantresses, demonic messengers and witches".

Yet the woman is not only the other half of the sky, she is indeed the living representation of the Universal Mother, or rather of God. And God himself created the sexes and sexual pleasure as a form of incentive to procreation and as a form of "joy of life. ".

Furthermore, if we do an accurate analysis of the emotional and physiological processes, we discover that in truth there is no real split between the so-called "pure" feelings and the physical hormonal "upheaval". Ecstasy is a form of orgasm and love in its various forms always has a physical component, with the release of endorphins in the body.

Even in yoga, the process of rising of the "feminine" Shakti / Kundalini energy is described, along the spinal canal, as a sort of journey towards reunion with the "masculine" Shiva aspect ... and it is from this union that the full Self-awareness (of the presence of God within us).

Even in the empirical experience of daily life we ​​discover that the masculine and the feminine, which are functional aspects of the dual manifestation of life, continually tend towards conjunction. Perhaps outwardly they may not even appear in a strictly masculine or feminine form but they certainly take on an "active and passive" form, or Yin and Yang if we prefer a Taoist terminology.

So we must start from the assumption that sexual energy is not antagonistic to religious expression, and to universal love, rather it is its kinetic component.

But in the Catholic religion the word "love" is often still used in a twisted and alienating way, for example the Vatican gerontocracy has abused the most holy word love of which they do not know the meaning, perhaps better understood two thousand years ago by a Christ who certainly would not have allowed that pedophilia and its aiding and abetting perpetrated for mere sexual exploitation of girls and boys by frustrated priests and prelates and without
scruples .....

Then it becomes clear that the first thing to do to amend the "Catholic religion" would be to allow marriage to priests, immediately followed by the opening to the female priesthood and subsequent abandonment of the Vatican political and economic power mechanism.

Paolo D'Arpini

Coordinator of the Committee for a Secular Spirituality - spiritolaico@gmail.com - As Anti-Pope

domenica 28 agosto 2022

Buddismo e Spiritualità Laica

 


Oggi sembra normale  parlare di buddismo tibetano, in seguito alle  frequenti visite del Dalai Lama ed ai numerosi libri scritti sulla religione "magica" del Tetto del Mondo, argomenti che hanno contribuito enormemente a divulgare un sistema di pensiero che sino a cinquant'anni fa era riservato a pochi studiosi, e di cui  le vestigia storiche, recuperate sul campo dal prof.  Giuseppe Tucci (orientalista, esploratore e storico delle religioni),  “ammuffivano” nelle sale dell’Ismeo (Istituto per il medio ed estremo oriente) di via Merulana o nella libreria esoterica di Rotondi (sempre in Via Merulana) a Roma.

Per me ci fu però un’occasione, che voglio qui ricordare, in cui improvvisamente quella antica conoscenza venne alla luce… Lo spiraglio sul mistero, l’aurora della trasmissione eclissata risorse durante la visita in Italia nel 1974 di una   grande anima, l’erede spirituale nella linea di Milarepa. Questo santo si chiamava  Rangjung Rigpe Dorje, ed era il 16° Karmapa,  una “manifestazione del Buddha” e il simbolo di  un grande potere spirituale.

Sentii parlare di Karmapa  in India, allorché visitò l’ashram di Muktananda nel 1973. Il suo carisma spirituale era molto forte ed affascinò -sembra- non pochi ashramiti occidentali lì residenti.

Personalmente invece lo conobbi  un anno più tardi a Roma,  accadde quasi per caso,  egli era in visita ed ospite dell’ambasciatore indiano in Italia, che risiedeva in una villa all’Olgiata, sulla via Cassia. Un'amica del giro sincretico mi invitò a partecipare ad un incontro ufficiale a cui sarebbe seguito  un rinfresco vegetariano.

Avevo  letto  la vita di Milarepa, che viveva di sola ortica in mezzo ai monti, e l’avevo trovata avventurosa, piena di alti e bassi, affascinante e protesa  inflessibilmente  verso l’affrancamento, verso la totale libertà dall’io (ego).

Certo, mi interessava conoscere il suo diretto successore ed accettai prontamente l’invito. Il satsang (dialogo con un saggio) era alquanto informale, Karmapa sedeva su una poltroncina leggermente elevata, vicino a lui c’erano l’ambasciatore ed altre persone di riguardo. Vestito d’indaco, con l’aria sorniona ed un po’ ironica, il capo dei “Berretti Rossi” dominava la sala con la sua energia.

Circolava una storia su di lui, pare che durante la permanenza a Roma avesse visitato un negozio di uccelli acquistando alcuni volatili lì prigionieri ma non per restituirli al cielo bensì per liberarli definitivamente dalla gabbia della vita. Non so se questa storia fosse vera ma spesso avevo sentito parlare degli strani comportamenti di certi lama tibetani,  tra cui diversi non sono vegetariani e seguono misteriose pratiche  tantriche.  Insomma, pare che gli uccelli “prigionieri di un brutto karma (destino)” fossero stati liberati dal Karmapa nello stesso modo in cui l’avatar Krishna “liberò” i demoni ed i Kaurava (opponenti dei Pandava nel Mahabharata), cioè uccidendoli.

Comunque  il discorso durante il satsang andò spontaneamente  sull’argomento del destino e sulla reincarnazione. In particolare vi fu un dialogo con un anziano diplomatico italiano, che evidentemente conosceva la cultura tibetana,  egli sembrava sinceramente interessato all’argomento. Poneva insistentemente domande riguardanti qualche sua esperienza,  e voleva  che gli fossero svelati i segreti della rinascita,  ma Karmapa nicchiava e si scherniva dicendo che certe  cose non si possono capire razionalmente. Il diplomatico sembrava  a disagio mentre il Karmapa allegramente ed affettuosamente gli batteva una mano sulla spalla, come volesse tener calmo un bambino irrequieto.

L’anziano signore  era evidentemente imbarazzato, forse offeso,  rosso in viso ed  emozionalmente a disagio, stava per scoppiare in una crisi isterica ed in effetti pianse, ma quando alzò lo sguardo incontrando quello di Karmapa che sorrideva, anch’egli si illuminò in volto, come se veramente tutto ciò non avesse importanza.

L’atmosfera attorno era molto carica, piena di energia spirituale. Io ero rimasto per tutto il tempo in piedi, appoggiato ad una parete,  e non perdevo nulla di quel che accadeva, intuitivamente percepivo che c’era un messaggio.

Terminato l’incontro Karmapa si alzò e si diresse verso il lato della sala, dov’ero stazionato,  lì c’era un passaggio fra le sedie che conduceva al salone ove si sarebbe tenuto il rinfresco.  In quel momento egli stava transitando proprio davanti a me,  quasi ci toccavamo,  allorché senza alcuna ragione apparente egli si voltò verso di me e mi guardò fisso negli occhi. Sentii il mio io esplodere,  la mia mente rovesciata come una saccoccia, quel che c’era venne fuori, ero nudo, totalmente nudo. Provai un’espansione di coscienza incredibile, non vi erano dubbi o segreti,  solo lucida consapevolezza, vuoto pieno.


Quel “gesto” dirompente ed inaspettato che Karmapa aveva compiuto (ma perché proprio a me?)  mi aveva spogliato di ogni maschera,  l'io solo un fantasma. Uno shock forse troppo forte per un “apprendista” come me e dopo i primi attimi di totale apertura, mentre lui si girava e continuava a camminare con indifferenza,  cominciai a sentire i lacci del ragionamento empirico  che tessevano ancora la loro tela. Ma l'esperienza, talmente  assoluta da lasciarmi interdetto,  fu una conferma diretta sulla realtà della mia vera natura. Non un piccolo ego ma una consapevolezza senza limiti, senza identificazione.

Quello fu la mia esperienza diretta   con il buddismo tibetano...  comunque  non fu il solo approccio, in seguito  incontrai  diversi altri monaci e praticanti di varie forme  del buddismo. Ed ognuno d'essi mi diede qualcosa...

Ma ora parliamo un po' di  quel "vuoto"  discriminante che  sorge  nel  disinteressarsi di qualsiasi cosa venga suggerito dall'esterno o dalla memoria.

La nozione di Vuoto viene sviluppata dal Buddismo Mahayana, sorto nel I secolo d.C., che  insegnava che tutte le cose sono "vuote" di ogni esistenza indipendente e ogni cosa nasce in modo interdipendente.

Il tema della "vacuità", in chiave budista, è molto intrigante e si presta a diverse interpretazioni.  Una posizione di estrema lucidità è rappresentata dal pensiero di  Nagarjuna,  un filosofo  buddhista indiano. Egli  è considerato un  "patriarca" nelle scuole buddhiste cinesi Tiāntái e Chán (Zen)

Nagarjuna e la negazione dei fenomeni.

"Nomen est Omen" dicevano i latini... e loro sì che se ne intendevano poiché per loro, come per tutte le popolazioni di cultura indoeuropea, il nome portava con sé un significato. Mica come al giorno d'oggi in cui i nomi si portano appresso solo la storia di un ipotetico "santo" della cristianità.

No, una volta, per gli antichi popoli pre-cristani il nome stabiliva una qualità, era una sorta di auspicio, di "emblema" con il quale il nuovo nato veniva insignito. Ed allora vediamo quale è il destino assegnato a "Nagarjuna" analizzando il suo nome. Tanto per cominciare Naga, che sta anche per nudo, indica un serpente. Un sacro cobra, una divinità (non quel serpente demoniaco della bibbia), mentre Arjuna significa letteralmente "il puro".

Sia nell'accezione di "nudo" che di "puro" si sottintende una pulizia, una sincerità, una onestà, una semplicità.. insomma una saggezza. E Nagarjuna confermò queste qualità. Tanto per cominciare egli nacque (probabilmente), nel II secolo d.C. in Andhra Pradesh, in una famiglia di brahmani. Secondo una tradizione nacque sotto un albero di Terminalia Arjuna, fatto che determinò la seconda parte del suo nome. La prima parte, Naga, lo si deve ad un viaggio che avrebbe condotto, sempre secondo alcune leggende, nel regno dei naga, i cobra divini, posto sotto l'oceano, per recuperare i Prajñāpāramitā Sūtra ad essi affidati dai tempi del Buddha Shakyamuni.

Certo queste son tutte storielle aggiunte per dare lustro ma sicuramente di vero c'è che Nagarjuna fu un grande  conoscitore della realtà. Sia i seguaci del Madhyamaka sia gli studiosi del Mahayana riconoscono Nagarjiuna come il  fondatore. Più in generale si può dire che sia stato uno dei primi e principali pensatori originali del Mahāyāna, di cui sistematizza l’idea della non sostanzialità di tutti gli elementi della realtà fenomenica.

I suoi scritti ancora oggi rappresentano una vetta quasi insuperata di concettualizzazione del metafisico. In termini che ai giorni nostri furono ripresi da filosofi come Friedrich Wilhelm Nietzsche o -volendo restare in un ambito "indiano"- dal grande propugnatore dell'Advaita moderno: Nisargadatta Maharaj. Ecco cosa disse di lui Osho, un altro maestro dei nostri tempi: "Nagarjuna fu uno dei più grandi Maestri che l'India abbia mai prodotto, del calibro del Buddha, Mahavira e Krishna. E Nagarjuna era un genio raro. A livello intellettuale non esiste paragone possibile con nessun altro al mondo. Capita raramente un intelletto così acuto e penetrante."

Nagarjuna, oltre l'impermanenza temporale, indicò una ulteriore qualità nella non sostanzialità dei fenomeni: essi erano vuoti anche di una loro identità in quanto dipendevano uno dall'altro sul piano temporale. Tutti i fenomeni sono quindi privi di sostanzialità, poiché nessun fenomeno possiede una natura indipendente. Egli esprime la sua posizione in quella che è un'opera capitale del buddhismo: le Madhyamakakarika, Stanze della via di mezzo. Evidentemente riportata da suoi seguaci, come avvenne per i detti del Buddha, poiché Nagarjiuna riteneva che il linguaggio è inevitabilmente illusorio in quanto prodotto di concettualizzazioni ed è per questa ragione che egli rifiutò sempre di definirsi detentore di una qualsivoglia dottrina. Poiché l'esperienza della vacuità non è compatibile con alcuna costruzione di pensiero. E l'idea stessa della vacuità rischia di essere pericolosa, se alla vacuità viene attribuita una identità.

Lo stesso Buddha aveva messo in guardia dall'assolutizzare la propria dottrina, considerandola altro che un semplice mezzo per raggiungere la liberazione ("una zattera per attraversare un fiume, che va abbandonata appena si è arrivati all'altra sponda").

Di seguito alcune citazioni che possono aiutarci a comprendere meglio il punto di vista di Nagarjuna:


"La coproduzione condizionata, questa e non altra noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa e non altro la via di Mezzo.La realtà assoluta non può essere insegnata, senza prima appoggiarsi sull'ordine pratico delle cose: senza intendere la realtà assoluta, il nirvana non può essere raggiunto"

"Se il mondo fosse non vuoto, non si potrebbe né ottenere ciò che non si possiede già, né mettere fine al dolore, né eliminare tutte le passioni."

"Se gli illuminati non appaiono e se gli uditori sono spariti, un sapere spontaneo si produce allora isolatamente negli Svegliati solitari"

Attenzione all'inganno del "credere"

Disse  il Buddha: "Non credere a nulla, non importa dove l'hai letta o chi l'ha detto, neppure se l'ho detto io, a meno che non sia affine alla tua ragione e al tuo buon senso..."

Comunque teniamo presente che la conoscenza  indiretta, appresa di seconda mano, può anche essere una  distrazione.  Le esperienze raccontate dai vari maestri sono le loro esperienze non possono essere riprodotte. Qualsiasi sia la tua pratica -e per pratica intendo il peculiare approccio in cui la tua mente fissa l'attenzione su se stessa- prosegui con costanza e determinazione in quella.

Quindi non è importante quale sia la pratica, ed in quale filone spirituale si inserisca,   ma la sincerità, costanza e volontà nel perseguimento che conta. E' come quando si è innamorati non può esserci un modo  codificato per dimostrare il proprio amore verso la persona amata, l'amore si mostra  nei modi che ad ognuno sono congeniali...  A che serve quindi leggere come un altro ha amato?

A proposito di amore non catalogabile, quindi esente da presupposti mondani utilitaristici,  mi sovviene la storia della monaca Ryonen.  Un tempo in un monastero zen in Giappone viveva una bellissima monaca di nome Ryonen, famosa per la profondità del suo intelletto e per la sua discriminante attenzione. Un monaco che stava nello stesso monastero si innamorò perdutamente di lei ed una notte si introdusse furtivamente nella sua stanza. Ryonen non si turbò affatto ed accettò volentieri di giacere con lui. Ma l’indomani quando l’innamorato si ripresentò ella disse che in quel momento non era possibile… Il giorno seguente si svolgeva nel tempio una grande cerimonia per commemorare l’illuminazione del Buddha alla presenza di una gran folla e di parecchi monaci venuti da lontano. Ryonen entrò senza indugi nella sala colma e con totale naturalezza si pose di fronte al monaco che diceva di amarla, si denudò completamente e gli disse: “Eccomi, sono pronta, se vuoi amarmi puoi farlo qui, ora…”.
Il monaco se ne fuggì per non far più ritorno mentre Ryonen con quel gesto aveva reciso le radici di ogni illusione.

Va tenuto comunque in considerazione che la ricerca spirituale  non può essere un “atteggiamento” od il risultato di un conformarsi alle norme scritte da qualcuno, essa è semplicemente essere consapevolmente quello che si è, senza vergogna e senza modelli di sorta.
 Pertanto occorre perfezionarsi  con sincerità, onestà e perseveranza lasciando che  la conoscenza si manifesti  spontaneamente secondo le proprie naturali predisposizioni e destino.

Un monaco chiese a Joshu: “Cos’è il Buddha?”.

“Quello nella sala”.

Il monaco disse: “Quello nella sala è una statua, un pezzo di fango!”.

Joshu rispose: “Esatto”.

“Allora cos’è il Buddha?” chiese di nuovo il monaco.

“Quello nella sala”.

Ora questo è strano. È d’accordo con lui che quella è solo una statua, un pezzo di fango, dice: “Esatto”. E quando l’uomo chiede di nuovo: “Allora cos’è il Buddha?” Joshu ripete: “Quello nella sala”.

Cosa vuole dire Joshu? Vuole dire che finché non smetti di chiedere “Cos’è il Buddha?” sei in cerca di una statua. Finché continui a chiedere “Cos’è il Buddha?” chiedi qualcosa di oggettivo. Ecco perché risponde: “Quello nel tempio, quello è il Buddha”. Se continui a chiedere “Cos’è il Buddha?” vuoi una risposta oggettiva, e se continui a chiedere qualcosa di oggettivo, chiedi qualcosa di morto. Ma il Buddha è la tua soggettività.

Pertanto lo Zen è il metodo per andare dentro, è la via che ti conduce al tuo nucleo più intimo. Il tuo nucleo più intimo è Buddha. Tu sei  Buddha.

"Sii ciò che sei...!"

Disse Osho: "Nel buddhismo zen c’è una fortissima analogia con tutto questo.  Lo zen, potremmo dire in un certo senso, è un tentativo di uscire dalla gabbia del sì e del no – oltreché di uscire dalla prigione della scelta, dal decidere razionalmente. Anzi: a guardar bene le cose, questi due aspetti sono le due facce della stessa medaglia. Uscire dalla scelta è smettere di produrre qualcosa di proprio, per lasciare essere la realtà quella che è..."


Zen - Essere consapevoli nel qui ed ora.

Ebbi la buona sorte nella mia vita di poter conoscere due insegnanti italiani di questa disciplina  buddista. Il primo, di scuola Zen giapponese, risiede in un piccolo ashram laico a Scaramuccia e si chiamava Gigi Mario (dipartito l'11 novembre 2021). Parecchi anni fa con lui partecipai ad una seshin di tre giorni con meditazioni, sia da seduti che camminando in collina, intervallate dal lavoro nei campi ed altre pratiche comunitarie. Dopo 72 ore senza sonno e sfiancato dallo sforzo costante non c'è meraviglia che alla fine uno abbia una sorta di "satori", anche se questo termine sembra esagerato, rispetto alle esperienze di discepoli che per anni ed anni praticano con i loro maestri nelle condizioni più "disastrose". Comunque alla fine della seshin tutti i partecipanti realizzarono il valore della vita quotidiana. Il senso della noia era scomparso.

Con l'altro maestro, Alberto Mengoni (che ha lasciato il corpo nel 2001), di scuola Chan cinese,  ebbi una frequentazione più continuativa ed amichevole. I nostri incontri avvenivano più che altro a tavola, durante le visite che lui ed i suoi allievi mi facevano quando ancora risiedevo a Calcata. Il suo insegnamento, oltre al classico zazen,  era basato sul  radicamento nella vita quotidiana e sull'osservazione continua, senza tendere a "consolazioni" di vario genere, ivi comprese quelle religiose.

A parte l'incontro con  questi "compagni di viaggio"  già da parecchio tempo anch'io mi  stavo dedicando con impegno alla pratica spirituale. Un percorso iniziato nel 1973  con il mio maestro tantrico, Swami Muktananda, che risvegliò in me  "l'esperienza" diretta del Sé. In seguito, come forma di apprendimento esperienziale,  mi dedicai allo studio dei vari sistemi riconducibili a quella che io definisco "Spiritualità laica", ovvero il sistema indiano Advaita,  del sistema cinese Chan (o Zen),  passando dall'I Ching sino al confucianesimo ed al taoismo. Ma una cosa è certa: l'apprendimento di nozioni, od anche la pratica meditativa,  non conduce all'illuminazione. Questo accumulo di conoscenze empiriche  nell’advaita (non-dualismo) viene definito “artha wada”, che sta per: arricchimento letterario o materiale aggiunto, il cui scopo è semplicemente quello di soddisfare la curiosità mentale  di chi  continua a crogiolarsi nel “divenire”. Infatti questo tipo di "conoscenza" è solo un  esercizio di memoria.

Quindi  se qualcuno mi  chiedesse “allora cos’é il Ch’an (o lo Zen)?", sarei tentato di rispondere che “sicuramente non è quel che stiamo facendo”, ovvero che esso non può essere né descritto né letto né pensato. Può essere sì “trasmesso”,  ma solamente se e quando l’osservatore è in grado di farlo proprio, come avvenne a Mahakashyapa che si illuminò osservando il Buddha sollevare un fiore, in risposta ad una domanda filosofica sul Sé.

Insomma il Ch’an (e  lo Zen), sono espressioni che stanno a significare “la propria esperienza diretta, naturale e spontanea” come in verità fu quella dello stesso Buddha che, abbandonati tutti i sentieri e tutti i metodi, infine mangiò, perché aveva fame, e si sedette, perché era stanco, e così ottenne l’illuminazione…

Dal punto di vista formale vediamo che il Ch’an, storpiatura del vocabolo sanscrito Dhyan (che vuol dire meditazione), nacque in Cina (nell’epoca T’ang fra il 618 ed il 907 d.C.) come risposta integrativa fra l’esperienza Taoista e quella Buddista. Entrambi questi “sentieri” sono “non formali”, non abbisognano di scritture o regole specifiche, essendo basati sulla scoperta di sé nel Sé. Essendo il laboratorio di ricerca il proprio interno, la mente, l’unica pratica consigliata è quella dell’introspezione meditativa…

Non vengono seguiti metodi speculativi piuttosto si cerca di portare l’intelligenza al limite della sua tendenza raziocinante, talvolta attraverso insolubili quesiti o formule astruse sulle quali riflettere. Altra caratteristica esteriore che qualifica i praticanti della meditazione Ch’an è l’auto-sostentamento, cioè i monaci devono provvedere a se stessi attraverso il lavoro nei campi ed ogni altra attività utile alla sopravvivenza… insomma ci si aspetta che i praticanti non “vivano sulle spalle altrui” con la scusa della religione…

E della religione, direi ogni religione, visto che l’iconoclastia si spinge contro ogni teismo costituito, il Ch’an ha perso ogni odore. Infatti: “… Se incontri il Buddha per strada, uccidilo” - disse il maestro I-Hsuan - Se incontri patriarchi o arhat sulla tua strada uccidi anche loro (ovviamente, in un puro senso metaforico… cioè nella nostra mente…)… Bodhidharma era un vecchio barbaro barbuto...  il nirvana e la bodhi sono tronchi secchi utili per legarvi l’asino. Gli insegnamenti sacri sono solo elenchi di regole di fantasmi, fogli di carta buoni per asciugare il pus delle vesciche…”.

Divertente nevvero? Ma questa negazione del formalismo attinge alla realtà del “primordiale vuoto” (o vacuità), nonché all’allegro disprezzo verso ogni perseguimento, verso la sclerosi culturale che si ferma alla forma, sia nella letteratura che nella religione.

Il Ch’an (e lo Zen) puntano a sovvertire il pensiero convenzionale e la conoscenza di seconda mano, in modo che l’illuminazione acquisti significato nell’esperienza personale. Per questo è necessaria una forte determinazione, dato che senza di essa non é possibile interrompere le “fantasie” acquisitive della mente… e la disciplina deve avere – ovviamente - una duplice valenza… fisica e mentale (”ora et labora” diremmo noi…).

Per risvegliare la mente, ed indurre i praticanti a superare i limiti del raziocinio, alcuni maestri si specializzarono in stupefacenti indovinelli che venivano sottoposti all’allievo. La domanda poteva essere “In che modo fai uscire l’oca dalla bottiglia?”, oppure "Qual'è il suono di una mano sola?”…  Ovviamente qualsiasi risposta basata sull’analisi teorica veniva salutata dal maestro con grida e sonore bastonature.

Malgrado l’apparente durezza, l’insegnante Ch’an (o Zen) é sempre ispirato dalla pura “compassione” e perciò sa riconoscere quando l’allievo é genuinamente penetrato nella profondità del Sé ed in quel caso la sua risposta è un silenzioso sorriso… oppure come disse ad Hakuin il suo maestro: “Entra... adesso ce l’hai..!”

Nelle parole di Sogyal Rinpoche: “Meditazione significa quindi essere molto semplici e naturali, rilassare la mente senza imporle nulla, e senza nemmeno tentare di essere calmi: non dovrebbe esserci alcuno sforzo deliberato di controllarla”.

"Né corde annodate, né legami... né scioglimento, né comprensione... Parole vuote che non possono avere un senso svaniscono come le tenebre all'alba..." (Saul Arpino)

Per concludere vorrei aggiungere qualche parola sulla  spiritualità laica. Che non  rappresenta solamente una spiritualità secolare bensì la natura intima di ognuno di noi, una sintesi tra intelligenza e coscienza che non ha bisogno di alcun simulacro religioso per manifestarsi.   Non si può  descrivere o parlarne come fosse un percorso, una via per andare da qualche parte per giungere a delle conclusioni di vita.


Nel cielo, come nella spiritualità laica,  non vi sono strade, c'è solo vuoto spazio. Nello spirito non c'è percorso e quindi anche parlare di spiritualità laica sottintendendo che sia un modo di impostare la ricerca interiore attenendosi a delle norme o respingendone altre è pura vanità, è finzione.

Tutto avviene per conto suo, sulla base di una spinta evolutiva interiore. Credere in una via e pensare di essere nel giusto è la prerogativa di ogni religione. Ma non serve nemmeno indicare le incongruenze di questa o quella religione, di questo o quel credo. Finché qualcuno  crede in una religione non si può far a meno di riconoscere che per lui la verità interiore resta un miraggio, un orizzonte lontano che non può mai essere raggiunto. Credere in questo o credere in quello è solo credere.

Ma possiamo affermare di "credere" nell'esistenza, di "credere" nella nostra coscienza? Noi esistiamo e ne siamo coscienti, non ‘crediamo’ di esserlo.

L'autoconsapevolezza è un segno, ognuno di sé dice "io sono", questo segno è comune a tutti, il resto è solo pensiero aggiunto. L'io è lo stesso per tutti. Essendo questa la verità, a che serve legare l'io ad una specifica forma pensiero, ad un concetto? Tutto è nell'io. La forma individualizzata dell'io è come la coscienza di una cellula nel corpo. Ovviamente nella consapevolezza di sé, come organismo unitario, quella cellula è solo un aspetto, una base esperienziale dell'io. Ed allora dov'è la differenza fra l'individuo ed il tutto?

Quell'io da cui ogni pensiero emerge e che è in grado di riconoscere ogni pensiero è lo stesso io in cui tutto si scioglie.

Quando dormiamo percepiamo nel sogno molti personaggi, li vediamo separati da noi, consideriamo noi stessi e gli altri come separati, ma è così realmente? Possiamo ragionevolmente affermare di essere separati dai personaggi del nostro sogno?

Infatti ignorare che tutto è Uno è come sognare.

Risvegliarsi alla conoscenza di sé è chiamare questo fatto "spiritualità-laica" è solo un modo di dire, dal punto di vista dell'esperienza non può essere dato un nome, quindi spiritualità laica è solo una descrizione dell'indescrivibile.

...C’è mai stato un momento in cui io non sia stato me stesso?
Cos’è questo io che così fortemente sento e percepisco, questo io è la sola realtà che conosco, è coscienza assoluta e indivisibile.
Tutto ciò che appare in questa coscienza, le immagini che osservo, tutto ciò che si manifesta davanti all’io è un oggetto, questo corpo è un oggetto, questa mente è un oggetto, le forme variopinte del mondo sono solo oggetti...
Le qualità, le sensazioni, le attrazioni e repulsioni che appaiono nel campo della coscienza, sono proiezioni come lo sono i sogni che appaiono al sognatore.

E poi come posso immaginare separazione fra io e l'altro? Tutto si risolve nella stessa realtà, unica ed indivisibile, inspiegabile perché non vi è nessuno altro a cui poterla spiegare. Questo io sono, in cui anche l’ipotetico altro si riconosce nell'io sono…

Questo discorso sulla "spiritualità laica" è rivolto a persone che non necessariamente hanno chiara la definizione, magari sono abituate a confondere la spiritualità con la religione... Il sentire di una spiritualità circoscritta in termini religiosi è limitata a quella religione, non ha un valore universale. Al contrario la spiritualità laica non ha nulla a che vedere con la religione.

Spiritualità laica corrisponde ad una spiritualità naturale non connessa ad alcun credo. Però dobbiamo dire che anche un cristiano od un seguace di qualsiasi altra religione  può riconoscere dentro di sé la presenza spirituale ma  per inveterata abitudine ad aderire al suo credo la definisce "cristiana" "maomettana" "giudea"  "buddista" ecc...

In verità la spiritualità e l'essere sono sinonimi, indicano la stessa realtà coscienziale, e quindi come si può definire la vita "cristiana" o che altro...?

La vita è una sorta di "avventura", un teatro in cui lo spirito gioisce nell'esprimere se stesso e che descrive il viaggio esistenziale dell’Io, e il liberatorio punto di vista di chi guarda il mondo senza preconcetti, ritrovando in se stesso la chiave per amare il Tutto, riconoscendosi in Esso.

La vita è semplicemente esistenza, intelligenza e coscienza…

Riconoscendosi in ciò che è… si supera l'identificazione con forme pensiero che non sono altro che costrutti mentali. Ed una religione come qualsiasi altra ideologia o filosofia è solo una griglia psichica che impedisce una chiara visione.

La "meraviglia di Sé" della spiritualità naturale o laica non ha bisogno di identificazioni né di appartenenza, essa è autoevidente. Il resto è solo "materiale aggiunto" (per soddisfare la mente)...

Disse Alan Watts: "Realizzazione è la scoperta che la meta dell'esistenza è sempre raggiunta nell'istante presente"  


Paolo D'Arpini




sabato 13 agosto 2022

Spiritualità laica. Essere ciò che si è... nelle mutazioni - Lay spirituality. Being what you are ... in mutations



La vita non può seguire un canone di comportamento standardizzato. Non è un processo ideologico con precise regole e norme con le quali cercare di “adattare” la realtà al proprio pensiero. Al contrario la vita è una forma di adesione a ciò che è, nella visione e propensione di restare in armonia con ciò che è, sempre conservando la propria natura adattandola però alle condizioni in cui ci si viene a  trovare.

Insomma basta essere se stessi senza lasciarsi condizionare da un credo, mantenendosi però in sintonia con ciò che è, nella comprensione della comune appartenenza esistenza. Questo modo espressivo è spontaneo e naturale e corrisponde alla consapevolezza di appartenere al Tutto.

E’ una fusione fra “anima” ed “animus”, tra maschile e femminile, all’interno ovviamente non in senso unisex, e questa integrazione è il risultato di quella che amo definire una “spiritualità laica”, che supera ogni religione ed ogni ideologia. Uno “spirito laico” consapevole manifesta un salto evolutivo rispetto alla condizione del credente e persino dell’ateo, che in realtà non sono disgiunti ma appartengono ad una sola categoria, quella di coloro che basano il proprio pensiero sul “credere”.

Credenti e non credenti hanno bisogno di una ragione giustificativa (per la loro convinzione) che li uniformi al loro credo…

Ma qual’è la differenza sostanziale fra il restare assorbiti nella quiete della coscienza indifferenziata, rispondendo agli stimoli della vita con spontaneità e naturalezza, e la reazione spasmodica basata sul credere in concetti assunti che ci fanno da gabbia comportamentale?

Un uomo studia libri su libri, ascolta e tiene grandi discorsi, cerca seguaci e diventa egli stesso seguace di un’idea, inizia insomma a “credere” in un sistema, in un vantaggio, egli imposta ogni sua azione nel rispetto di uno schema sul quale erige una struttura “idealistica” (od al peggio egoistica) e con essa ritiene di poter “istruire” gli altri e di poter esprimere “la verità”.

Come è possibile che la verità sia statica, una cosa prestampata ed immobile, un rigido ideale? Essa può esser “vera” solo se è vera nel fluire continuo della vita, assestandosi ed adeguandosi alle circostanze correnti, essa non sclerotizza gli eventi, non impone restrizioni, essa respira con tutto ciò che esiste. Basarsi su un credo (in positivo od in negativo) per raccontare la verità è voler dare alle parole un valore che non hanno…

Ed in buona sostanza come nasce la parola? Il linguaggio attraverso il quale osiamo affermare “questa è la verità” è molto lontano dalla pura coscienza. Infatti all’inizio esiste una consapevolezza astratta, una coscienza intelligente e non qualificata, da questa sorge il senso dell’io (l’ego), il quale a sua volta da origine ai pensieri, ai concetti, ed infine questi diventano parole e scrittura. Quindi il linguaggio è di molto successivo alla conoscenza innata.

Come è possibile che attraverso la concettualizzazione si possa esprimere la verità, cos’è questo se non cieca arroganza? Se usiamo adesso un po’ di discernimento, non possiamo far a meno di osservare che ognuna delle presunte verità su cui si basa il “credere” appartiene all’ego, è solo “ciò” in cui crediamo, ma può esser definita verità una verità che è solo individuale? C’è un antico detto taoista che dice: “il tao che può esser detto non è il vero Tao”. E Ramana Maharshi, un saggio dell’India, disse: “..la verità è nel profondo silenzio del nostro cuore…”.

Purtroppo alcune persone sbandierano la loro verità ai quattro venti, pretendono di averla trovata in fantastiche proiezioni della psiche, nelle idee politiche o finanziarie, nelle varie religioni, negli inferni e paradisi, nella reincarnazione e nel materialismo ateo, perché essi amano il mistero e non la verità…

Ed in verità a che servono queste “verità” fasulle, ignorando la vita del giorno per giorno, del qui ed ora, se non per speculare sull’immaginario del credere?

Per sperimentare la verità di vita basta stare nella spontaneità del respiro… senza decidere in anticipo quando inspirare e quando espirare… Nel credere invece ci tratteniamo in perenne apnea…

Paolo D’Arpini

Sceneggiata mistica



English text:

Life cannot follow a standardized canon of behavior. It is not an ideological process with precise rules and norms with which to try to "adapt" reality to one's own thought. On the contrary, life is a form of adherence to what it is, in the vision and propensity to remain in harmony with what it is, always preserving one's nature but adapting it to the conditions in which one finds oneself.

In short, it is enough to be oneself without letting oneself be conditioned by a creed, while remaining in tune with what it is, in the understanding of the common belonging to existence. This expressive way is spontaneous and natural and corresponds to the awareness of belonging to the Whole.

It is a fusion between "anima" and "animus", between masculine and feminine, obviously not in the unisex sense inside, and this integration is the result of what I like to call a "secular spirituality", which surpasses every religion and every ideology. A conscious "lay spirit" manifests an evolutionary leap with respect to the condition of the believer and even of the atheist, who in reality are not separate but belong to only one category, that of those who base their thinking on "believing".

Believers and non-believers need a justification (for their conviction) that aligns them with their belief...

But what is the substantial difference between remaining absorbed in the stillness of undifferentiated consciousness, responding to the stimuli of life with spontaneity and naturalness, and the spasmodic reaction based on believing in assumed concepts that make us a behavioral cage?

A man studies books after books, listens and gives great speeches, seeks followers and becomes himself a follower of an idea, in short, he begins to "believe" in a system, in an advantage, he sets his every action in compliance with a pattern on the which erects an "idealistic" (or at worst selfish) structure and with it he believes he can "instruct" others and be able to express "the truth".

How is it possible that truth is static, a pre-printed and immobile thing, a rigid ideal? It can be "true" only if it is true in the continuous flow of life, settling and adapting to current circumstances, it does not sclerotic events, it does not impose restrictions, it breathes with all that exists. To rely on a belief (positive or negative) to tell the truth is to want to give words a value they do not have ...

And basically how does the word come about? The language through which we dare to say "this is the truth" is very far from pure conscience. In fact, at the beginning there is an abstract awareness, an intelligent and unqualified conscience, from this the sense of the I (the ego) arises, which in turn gives rise to thoughts, concepts, and finally these become words and writing. . So language is much later than innate knowledge.

How is it possible that the truth can be expressed through conceptualization, what is this but blind arrogance? If we now use a little discernment, we cannot help but observe that each of the alleged truths on which "believing" is based belongs to the ego, it is only "what" we believe in, but it can be called truth a truth. which is only individual? There is an ancient Taoist saying that says: "the Tao that can be said is not the true Tao". And Ramana Maharshi, a sage from India, said: "..the truth is in the deep silence of our hearts...".

Unfortunately some people proclaim their truth to the four winds, claim to have found it in fantastic projections of the psyche, in political or financial ideas, in various religions, in hells and paradises, in reincarnation and in atheistic materialism, because they love the mystery and not the truth…

And in truth, what use are these bogus "truths", ignoring the life of the day to day, of the here and now, if not to speculate on the imaginary of believing?

To experience the truth of life it is enough to stay in the spontaneity of the breath ... without deciding in advance when to inhale and when to exhale ... In believing instead we remain in perennial apnea...

Paolo D’Arpini

giovedì 11 agosto 2022

Saggezza matristica evolutiva concreta - Concrete evolutionary matristic wisdom

 


Insistere troppo su valori astratti  "teisti"  non aiuta la mente umana al superamento del pensiero patriarcale. Dobbiamo -secondo me- abbandonare la speculazione religiosa e ritornare ad una spiritualità priva di dogmi e non specificatamente  legata al genere (qui ricordo che il sacerdozio nelle religioni monoteiste è precluso alle donne).

Per carità, va anche bene fare un'analisi storica sulla formazione del cristianesimo e di come  questa religione "semita" abbia attinto al paganesimo pre-esistente. Tra l'altro  la rivalutazione del paganesimo è una delle caratteristiche portanti non solo nel filone New Age ma anche in ricerche storiche serie,  come ad esempio quella di  Daniel Danielou sul mito di Dioniso-Shiva.

Ma dovremmo andare anche più in là riscoprendo i culti più antichi e vicini alle nostre radici, ovvero l'adorazione della Grande Madre o Energia Primordiale  (Shakti).

In effetti la spiritualità della natura  è un aspetto riconosciuto anche nella fede cristiana antica, soprattutto nel misticismo (sia in quello primitivo che in quello francescano)  in cui prevale  la consuetudine di ritirarsi in grotte, boschi e deserti in stretta comunione con gli elementi naturali e con il mondo animale.

Aspetti pagani erano presenti persino nella religione ebraica, sia pur condannati, come ad esempio l’adorazione della vacca sacra durante la traversata del Sinai, oppure riconosciuti e facenti parte della tradizione  come avvenne presso la setta degli Esseni che vivevano in strettissima simbiosi con la natura e con  i suoi aspetti magici, avendo essi sviluppato anche la capacità di trarre il loro nutrimento dal deserto, un grande miracolo questo considerando  che erano persino vegetariani….

Il rispetto e l’adorazione  della natura, definito dalla chiesa cattolica (un po’ dispregiativamente) “panteismo” è uno degli stimoli da sempre presenti nell’uomo, tra l’altro questo sentimento panteista è  alla base dell’exursus evolutivo della specie.

Ciò  mi fa  ricordare  una storiella,  che amo spesso raccontare,   sull’origine della specie umana. Ormai è certo che ci fu una “prima donna”, un’Eva primordiale. L’analisi   del patrimonio genetico femminile mitocondriale lo dimostra inequivocabilmente.  Mi sono così immaginato una donna, la prima donna, che avendo raggiunto l’auto-consapevolezza (la caratteristica più evidente dell’intelligenza) ed avendo a disposizione solo “scimmioni” (tali erano i maschi a quel tempo)  dovette compiere una opera di selezione certosina per decidere con chi accoppiarsi in modo da poter avere le migliori chance di trasmissione genetica di quell’aspetto evolutivo. E così avvenne conseguentemente  nelle generazioni successive ed è in questo modo che pian piano dalla cernita nell’accoppiamento sono   divenute rilevanti qualità come: la sensibilità verso l’habitat, l’empatia,  la pazienza,  la capacità di adattamento e di gentilezza del maschio verso la prole e la comunità, etc. etc.

  
Pregi che hanno  portato la specie  verso una condizione “intelligente” che riconosciamo (o riconosceremmo se nel frattempo non fosse subentrata una spinta maschilista involutiva).

Purtroppo in questo momento storico, in seguito all’astrazione dal contesto vitale e alla manifestazione della religiosità in senso  metafisico (proiettata ad un aldilà ed ad uno spirito separato dalla materia),  molto di quel rispetto (e considerazione) verso la natura e l’ambiente e la comunità è andato scemando,  sino al punto che si predilige la virtualizzazione invece della sacralità vissuta nel quotidiano. Ed in questo buona parte della responsabilità è da addebitarsi al radicamento dei credo monoteisti (Ebraismo, Cristianesimo ed Islam).

Ma quello che era stato scacciato dalla porta spesso rientra dalla finestra, infatti la psicologia sta riscoprendo i miti, le leggende e le divinità della natura descrivendole in forma di “archetipi”.

All’inizio della  civilizzazione umana, nel periodo paleolitico e neolitico matristico, la sacralità era incarnata massimamente in chiave femminea, poi con il riconoscimento della funzione maschile nella procreazione tale sacralità assunse forme miste  maschili e femminili, successivamente con i monoteismi patriarcali fu il maschile che divenne preponderante.

Ora è tempo di riportare queste energie al loro giusto posto e su un totale piano paritario. Anche se già in una antica civiltà, quella Vedica,  questa parità era stata indicata, come nel caso della denominazione (maschile) “Surya” che sta ad indicare l’identità del sole in quanto ente divino, che  viene completato dall’aspetto femminile “Savitri”  che è la capacità irradiativa dell’energia solare.

E noi sappiamo che fra il fuoco e la  sua capacità di ardere non vi è alcuna differenza...  


Paolo D'Arpini




Testo Inglese:


Insisting too much on abstract "theistic" values ​​does not help the human mind to overcome patriarchal thinking. We must - in my opinion - abandon religious speculation and return to a spirituality devoid of dogma and not specifically linked to gender (here I remind you that the priesthood in monotheistic religions is closed to women).

For heaven's sake, it is also good to make a historical analysis of the formation of Christianity and of how this "Semitic" religion drew on pre-existing paganism. Among other things, the revaluation of paganism is one of the main characteristics not only in the New Age vein but also in serious historical research, such as that of Daniel Danielou on the myth of Dionysus-Shiva.

But we should go even further by rediscovering the oldest and closest cults to our roots, namely the worship of the Great Mother or Primordial Energy (Shakti).

In fact, the spirituality of nature is also an aspect recognized in the ancient Christian faith, especially in mysticism (both in the primitive and in the Franciscan one) in which the custom of retreating to caves, woods and deserts in close communion with the natural elements prevails and with the animal world.

Pagan aspects were present even in the Jewish religion, albeit condemned, such as the adoration of the sacred cow during the crossing of the Sinai, or recognized and part of the tradition as it happened in the sect of the Essenes who lived in close symbiosis with nature and with its magical aspects, having also developed the ability to draw their nourishment from the desert, a great miracle considering they were even vegetarians….

Respect and adoration of nature, defined by the Catholic Church (somewhat disparagingly) "pantheism" is one of the stimuli that have always been present in man, among other things, this pantheistic sentiment is the basis of the evolutionary excursus of the species.

This reminds me of a story, which I often love to tell, about the origin of the human species. It is now certain that there was a "first woman", a primordial Eve. The analysis of the mitochondrial female genetic heritage unequivocally demonstrates this. So I imagined a woman, the first woman, who having achieved self-awareness (the most evident feature of intelligence) and having only "apes" (such were the males at that time) had to perform a work of painstaking selection to decide who to mate with in order to have the best chance of genetic transmission of that evolutionary aspect. And so it happened consequently in subsequent generations and it is in this way that gradually from the selection in the mating they became relevant qualities such as: sensitivity towards the habitat, empathy, patience, the ability to adapt and kindness of the male towards the offspring and the community, etc. etc.
  
Qualities that have led the species towards an "intelligent" condition that we recognize (or we would recognize if in the meantime an involutionary male drive had not taken over).

Unfortunately in this historical moment, following the abstraction from the vital context and the manifestation of religiosity in a metaphysical sense (projected to an afterlife and to a spirit separated from matter), much of that respect (and consideration) towards nature and environment and the community has been waning, to the point that virtualisation is preferred instead of the sacredness experienced in everyday life. And in this a good part of the responsibility is due to the rooting of monotheistic beliefs (Judaism, Christianity and Islam).

But what had been thrown out the door often comes back through the window, in fact psychology is rediscovering the myths, legends and divinities of nature by describing them in the form of "archetypes".

At the beginning of human civilization, in the Palaeolithic and Matristic Neolithic periods, sacredness was embodied mainly in a feminine key, then with the recognition of the masculine function in procreation this sacredness assumed mixed masculine and feminine forms, subsequently with patriarchal monotheisms it was the masculine who became preponderant.

Now is the time to bring these energies back to their proper place and on a total level playing field. Although already in an ancient civilization, the Vedic one, this parity was indicated, as in the case of the (masculine) denomination "Surya" which indicates the identity of the sun as a divine entity, which is completed by the feminine aspect " Savitri ”which is the radiating capacity of solar energy.

And we know that there is no difference between fire and its ability to burn...

Paolo D'Arpini

lunedì 8 agosto 2022

Tutto il male del comportamento ideologico migliorista... - All the evil of the best ideological behavior

"Più il tempo passa e più  scopro il valore della libertà dai condizionamenti. Nel senso che è inutile pensare di poter “migliorare”, seguendo un criterio di scelta prefissata, se tutti i comportamenti e le azioni sono  in verità dettate da una spinta connaturata interiore..."  (Saul Arpino)


Aderire alla propria natura è libertà.  Ciò vale anche in senso fisiologico, ad esempio l’amico Carlo Consiglio mi diceva tempo addietro che lo stimolo ad agire sorge da un processo sinaptico che si mette in moto automaticamente in seguito alle specifiche componenti psico-fisiologiche che contraddistinguono un dato individuo (animale, pianta od umano che sia).  Come dire, ad esempio,  che la “libera scelta”, tanto declamata dai  religiosi, non è altro che una scusa per promuovere il senso di colpa e  giustificare un comportamento "deviato" in funzione di un codice morale. “Fai così e andrai all’inferno... fai cosà e andrai in paradiso...”.

L’eresia di Calvino fu proprio quella di negare il valore del libero arbitrio, il che toglieva ogni significato alla funzione salvifica del Cristo od allo sforzo dell’anima di ingraziarsi l’eventuale Dio. Ma cerchiamo di essere pragmatici, la libera scelta è ben presente nella nostra mente, tant’è che l’abbiamo definita con un nome altisonante: volontà. E’ pur vero che questa volontà è una componente evolutiva indispensabile al miglioramento dei comportamenti   dell’apparato vitale.

La volontà è un meccanismo coercitivo emendativo importante per salire sulla scala evolutiva, ciò non toglie che la stessa volontà sia una predisposizione naturale alla crescita che fa parte del processo vitale. Seguire la così detta “via del nobile” –come viene definita nel Libro dei Mutamenti- è il modo espressivo della volontà in senso sinergico, mentre seguire “la via degli ignobili” è la acquiescenza all’istinto egoico  recessivo. Insomma  è  attraverso la discriminazione e l’attenzione che possiamo comprendere e “scegliere” di seguire un percorso evolutivo o involutivo,  descrivendo tale “decisione” come il risultato di un “libero arbitrio”.

Questa premessa mi è sembrata necessaria per affrontare il discorso relativo alla tendenza a fissare il proprio procedere  su “patterns” (binari) definiti. La volontà si compie aderendo ad un sistema di pensiero, una ideologia. Che poi questa ideologia sia religiosa, etica, politica, filo-etnica, etc. è irrilevante dal punto di vista dell’espressione intenzionale. La volontà di aderire alle norme religiose dottrinali fa di una persona un buon cristiano od un buon musulmano. Il riconoscersi in una etnia ed il seguirne i costumi, conformandosi al dettame di un “cartello” para-siombiotico interno, fa di un’altra persona un buon giudeo. Un altro ancora si fa riconoscere dalle sue esternazioni e comportamenti sociali filo simpatici come un buon comunista... etc.

Ultimamente l’ideologia si è insinuata anche nell’ambito delle scelte alimentari. E’ avvenuto con la decisione di alcuni animalisti, che si sono chiamati “vegani”, di allontanarsi completamente dalla loro natura fisiologica per dedicarsi ad una dieta (definita moralmente superiore) che esclude ogni sostanza di origine animale. E qui arriviamo al dunque. Sicuramente l’ideologia è foriera di peggioramenti nell’ambito dei processi evolutivi. Tanto per cominciare vediamo che dal punto di vista evolutivo la specie sviluppa capacità di adattamento all’ambiente (ed alle condizioni generali del contesto sociale in cui  vive)  allorché corrisponde il più possibile alle sue naturali funzioni vitali ed alla sua capacità di risposta alle diverse situazioni.

Questo non ha nulla a che vedere con l’etica (che è semplice astrazione) mentre ha molto a che vedere con l’intelligenza intuitiva (non l’istinto, che è recessivo) che consente ad ogni individuo di scoprire il "retto" comportamento in ogni situazione data... (integrando così il senso di giustizia e libertà)  non solo sulla base della memoria, che è retaggio di comportamenti trascorsi, bensì attraverso la comprensione  della  situazione presente, nella sua interezza,  compresa la conoscenza pregressa e la visione speculativa dei successivi sviluppi in corso.

Tutto questo processo, che a raccontarlo sembra estremamente complesso, si svolge in realtà nell’arco di un secondo, in forma di intuizione immediata, e poi si srotola in azione conseguente.   Ovviamente per svolgersi ha bisogno di mente serena e “laica” e non di pensieri e comportamenti obbligati dettati dal voler seguire uno specifico  “modello” ideologico.

Questo è molto importante da comprendere... solo da comprendere, mi raccomando, non da voler “perseguire” poiché il momento stesso che si cercasse di imbrigliare l’intuizione spontanea in un sistema comportamentale automaticamente si ricadrebbe nel meccanismo ripetitivo della coercizione ideologica.

Paolo D'Arpini







Testo inglese

"The more time passes, the more I discover the value of freedom from conditioning. In the sense that it is useless to think of being able to" improve ", following a pre-established criterion of choice, if all behaviors and actions are actually dictated by an innate inner drive ..."(Saul Arpino)

Adhering to one's nature is freedom. This is also true in a physiological sense, for example my friend Carlo Consiglio told me some time ago that the stimulus to act arises from a synaptic process that is automatically set in motion following the specific psycho-physiological components that distinguish a given individual (animal, plant or human that is). As if to say, for example, that "free choice", so much declaimed by the religious, is nothing more than an excuse to promote a sense of guilt and justify a "deviant" behavior according to a moral code. "Do this and you will go to hell... do this and you will go to heaven...".

Calvin's heresy was precisely that of denying the value of free will, which took away any meaning from the saving function of Christ or the effort of the soul to ingratiate itself with God. present in our mind, so much so that we have defined it with a high-sounding name: will. It is true that this will is an essential evolutionary component for improving the behavior of the vital apparatus.

The will is an important emendative coercive mechanism to climb the evolutionary ladder, this does not mean that the will itself is not a natural predisposition to growth that is part of the vital process. Following the so-called "way of the noble" - as defined in the Book of Changes - is the expressive way of the will in a synergistic sense, while following "the way of the ignoble" is acquiescence to the recessive egoic instinct. In short, it is through discrimination and attention that we can understand and "choose" to follow an evolutionary or involutionary path, describing this "decision" as the result of "free will".

This premise seemed necessary to me to address the discourse relating to the tendency to fix one's own progress on defined “patterns” (binary). The will is accomplished by adhering to a system of thought, an ideology. That this ideology is religious, ethical, political, pro-ethnic, etc. it is irrelevant from the point of view of intentional expression. The will to adhere to the doctrinal religious norms makes a person a good Christian or a good Muslim. Identifying oneself in an ethnic group and following its customs, conforming to the dictates of an internal para-siombiotic "cartel", makes another person a good Jew. Yet another is recognized by his outspoken social outbursts and social behaviors like a good communist ... etc.

Lately, ideology has also crept into the area of ​​food choices. It happened with the decision of some animal rights activists, who called themselves "vegans", to completely move away from their physiological nature to devote themselves to a diet (defined as morally superior) that excludes any substance of animal origin. And here we come to the point. Surely ideology is a harbinger of worsening in the context of evolutionary processes. To begin with, we see that from the evolutionary point of view the species develops ability to adapt to the environment (and to the general conditions of the social context in which it lives) when it corresponds as much as possible to its natural vital functions and its ability to respond to different situations. 

This has nothing to do with ethics (which is simple abstraction) while it has a lot to do with intuitive intelligence (not instinct, which is recessive) which allows each individual to discover "right" behavior. in any given situation ... (thus integrating the sense of justice and freedom) not only on the basis of memory, which is the legacy of past behavior, but through the understanding of the present situation, in its entirety, including previous knowledge and vision speculative of subsequent ongoing developments.

This whole process, which to tell it seems extremely complex, actually takes place within a second, in the form of immediate intuition, and then unfolds into consequent action. Obviously, to develop it needs a serene and "secular" mind and not forced thoughts and behaviors dictated by wanting to follow a specific ideological "model".

This is very important to understand... only to understand, please, not to want to "pursue" since the very moment you try to harness spontaneous intuition in a behavioral system would automatically fall back into the repetitive mechanism of ideological coercion.

Paolo D'Arpini

martedì 2 agosto 2022

East and West are only in the mind - Oriente ed occidente sono solo nella mente



The human species cannot be divided into races and this is also true from a cultural and spiritual point of view. If the man has physically differentiated himself, in the epidermal color and in the somatic features, this is simply due to the adaptation to the place, to the latitude in which he has settled. That he belongs to a single species is unequivocally demonstrated by his ability to fertilize and reproduce by uniting with any other human being of any ethnicity.

Before the great diaspora, man developed common ways of expression, also from the point of view of thought, and just as there was an original language, the so-called "nostratic", a shared emotional feeling developed, which we can define as natural spirituality. The expressive modes of this spirituality changed over the millennia on the basis of social and environmental differentiations, as well as genetic, which were created in the various groups settled in the so-called East and West.

But east compared to what? West versus what? The planet is a spinning ball and being in the east or west is just a utilitarian consideration. Each religion was "created" to confuse, while to clarify it is necessary to distinguish, giving up pre-established ideological positions.

"Solve et coagula" - "To orient yourself in the infinite, you must distinguish and then unite" (Goethe). But beware, one thing is judgment and another is discrimination ...

Despite the admission of descriptive inconsistency between that culture that we define Western (better to call it Mediterranean with its branches in America and Australia and partly also in Africa) and that which has developed and established itself in Asia (especially in China, India, Japan , Mongolia, etc.) in fact a radical differentiation has been created over the centuries.

The substantial difference lies in the fact that in the East we contemplate the existence of an absolute and all-pervading, transcendent and immanent "God" who, being the only real presence, includes in itself every aspect of the manifest and unmanifest. Everything exists in the One "there being nothing other than That".

While the God, better defined "archon", of the monolatrous religions that prevail in the West (Judaism, Christianity and Islam) is the result of a dualistic assumption and mental projection. A God different from his creatures and from his creation of which he is judge and external observer.

Western "religion" should in fact be defined as "separation" and this dividing of it has the evident function of supporting its priests, popes, rabbis and mullahs who use the natural motion, present in every human being, of the " return ”to the One! They have committed the greatest cheating, towards themselves and their neighbor, they have performed the deceptive function by separating what is inseparable and then claiming to want to "re-unite" it through the pursuit of a religious dictate and the promise of a " salvation ”reserved for“ believers ”.

In truth, there is no obligation to remain mired in a "creed" (the moment we understand the consequences). Only he who insists on wanting to believe is a participant in and succubus of that creed. Like someone who wants to divide humanity into elect races and inferior races, he is unable to understand or accept the unity of the species.

And yet, isn't believing a simple thought, an opinion? So why cling to something that is mere illusion, an emblem of separation? And in this case the natural spirituality we were talking about at the beginning is even obscured, replacing the "universal spirit" with stubbornness and the egoic illusion of being separate.

I will try not to enter into the merits of the truthfulness or falsity of religions. From the point of view of lay  thinking, belief is a free personal choice, therefore: “de gustobus non est disputandum!”. However, he will open a discriminative crack, analyzing the various expressive modes of religions or philosophies that have established and preserved themselves in the East and in the West.

The first substantial difference concerns the method of spiritual research. In the West, belief is preferred, while in the East, experimentation prevails. Belief is static and is the result of memory and blind acceptance, experimentation is dynamic and is the result of selective action and discrimination.

The only incontrovertible truth is that corroborated by one's own experience ... but unless you have a direct inner revelation, affirming that you believe in a religion is a mental exercise of will and is devoid of any substantiality. This is different in the case of direct experience or "realization". Since the "realization" occurs in the Self, and is not a consequence of a hypothetical external "salvation", we can safely say that the "intrinsic truth" is the only real truth, everything else being a simple mental projection.

Some, the professionals of religion, who prevail in monolatric faiths, believe that spiritual practice is a sort of "occupation" like that of a student or worker who must perform specific tasks to "obtain" salvation. This "voluntaristic" attitude often creates expectations and from the spiritual point of view even distances oneself from true knowledge, since one fixes oneself on the medium without looking at the subject who wants to reach knowledge.

The real subject is our own Self but we ignore it and make it an "object" to be pursued. And this is the game of the ego disguising itself as a policeman to look for the thief that he himself is.

About this "game" I remember the sentence pronounced by King Janaka of Videha * who, after having listened to and understood the nondualistic teaching given to him by his guru Vasishta, exclaimed: "Now I have understood who the thief is and I will fix him immediately" ( referring to the tendency to identify with the body-mind that believes it is performing the action).

In short, the enthusiasm in carrying out the so-called religious "duty" and the compulsion to practice to obtain results through will and penance, can procure forms of dependence and "spiritual" illusion and is a deviation from sincere inner research.

This happens when one joins a sect, when one adheres to a specific religion and relies on the indications of a hypothetical "savior" or pontiff. It seems that some people need to feel "rooted" and framed in a compact group (often it happens with Christians and Mohammedans, and similar faiths), especially if they are experiencing moments of emotional or other emptiness (worldly concerns, sense of lack or inadequacy, etc.).

But openly opposing or denigrating the choices made by such people does not help them understand the cause of their need to fill a hole, which lies in their inability to accept themselves for who they are without thinking that they want to forcibly change the state of things. or its nature as a function of a hypothetical “other” obtaining.

Accepting oneself alone can interrupt the mechanism of desire and fear, because by accepting one understands the situation experienced in its entirety and the appropriate response arises spontaneously. But acceptance is sometimes also painful. This concerns each of us living in the world. But by living consciously in the world one can understand the nature of the world and of consciousness.

However, one cannot define or impart a universal "cure" for the various anomalies of interpretation of one's reality, by saying "do this or do that". Sometimes we also need to get lost in order to find ourselves again. Everyone must be able to grow in his own way.

To develop inner clarity it takes discrimination and detachment. Self-investigation is the most direct way to identify the "thief" who robs us of Awareness (dragging us into the world of dissociation and speculation).

Self-investigation requires no other help than remembrance and attention to the Self. in this abandonment and in this surrender to one's Self, love arises, and the understanding of what we really are, beyond form and thought.

Paolo D'Arpini


*) King Janaka was an enlightened ruler who lived about 5000 years before Christ, at the time when the Ramayana is set.


Testo italiano: 

La specie umana non può essere suddivisa in razze e ciò vale anche dal punto di vista culturale e spirituale. Se l'uomo si è fisicamente differenziato, nel colore epidermico e nelle fattezze somatiche, ciò è dovuto semplicemente all'adattamento al luogo, alla latitudine in cui si è insediato. Che egli  appartenga ad un'unica specie lo dimostra inequivocabilmente la sua capacità di fertilizzarsi e riprodursi unendosi a qualsiasi altro essere umano di qualsiasi etnia.    

Prima della grande diaspora  l'uomo ha sviluppato comuni modi espressivi, anche dal punto di vista del pensiero, e come esistette una lingua originaria, il così detto "nostratico", parimenti  si sviluppò un sentire emozionale condiviso, che possiamo definire spiritualità naturale. I modi espressivi di questa spiritualità mutarono attraverso i millenni in base alle differenziazioni sociali ed ambientali, oltre che genetiche,  che vennero a crearsi nei diversi gruppi stanziatisi nel cosiddetto Oriente ed Occidente. 

Ma oriente rispetto a cosa? Occidente rispetto a cosa? Il pianeta è una palla che gira ed il trovarsi in oriente o in occidente è solo una considerazione utilitaristica.  Ogni religione è stata “creata” per confondere, mentre per fare chiarezza occorre distinguere, rinunciando a posizioni ideologiche precostituite. 

“Solve et coagula” – “Per orientarti nell’infinito, distinguer devi e poscia unire” (Goethe). Ma attenzione un conto è il giudizio ed un altro la discriminazione…

Malgrado  la ammissione di incongruenza descrittiva tra quella cultura che noi definiamo occidentale (meglio chiamarla mediterranea con sue diramazioni in America ed in Australia ed in parte anche in Africa) e quella che si è sviluppata  ed affermata in Asia (soprattutto in Cina, India, Giappone, Mongolia,  etc.) di fatto   si è venuta a creare nei secoli una radicale differenziazione.

La differenza sostanziale sta nel fatto che in oriente  si contempla  l’esistenza di un “Dio” assoluto ed onnipervadente, trascendente e immanente  che, essendo la sola presenza reale, comprende in sé ogni aspetto del manifesto e dell’immanifesto. Tutto esiste nell'Uno "non essendovi altro all'infuori di Quello". 

Mentre il Dio, meglio definito “arconte”, delle religioni monolatriche che prevalgono in occidente (giudaismo, cristianesimo ed islam) è frutto di una  assunzione e proiezione mentale dualistica. Un Dio diverso dalle sue creature e dalla sua creazione  di cui egli  è giudice ed osservatore esterno.  

La “religione” occidentale  dovrebbe in effetti essere definita "separazione"  e questo suo  dividere ha l'evidente funzione di sostenere i suoi  sacerdoti, papi, rabbini e mullah che utilizzano per fini speculativi il moto naturale, presente in ogni essere umano, del “ritorno” all'Uno! Essi hanno compiuto il più grande imbroglio, verso se stessi ed il loro prossimo, essi hanno  svolto la funzione ingannatrice separando ciò che è inseparabile per poi pretendere di volerlo”ri-unire” attraverso il perseguimento di un dettame religioso e la promessa di una “salvezza” riservata ai “credenti”.

In verità non v’è alcun obbligo a restare impantanati in un “credo” (il momento che ne abbiamo capito le conseguenze). Solo colui che insiste nel voler credere è compartecipe e succube di quel credo. Come chi vuole dividere l'umanità in razze elette e razze inferiori non è in grado di comprendere od accettare l'unitarietà della specie.

Eppure, non è il credere un semplice pensiero, una opinione? Quindi perché restare avvinghiati ad un qualcosa che è mera illusione, un emblema della separazione? Ed in questo caso viene persino oscurata quella naturale spiritualità di cui parlavamo all'inizio,  sostituendo  lo “spirito universale”  con la caparbietà e l’illusione egoica  di ritenersi separati.

Cercherò  di non entrare nel merito della  veridicità o falsità  delle religioni. Dal punto di vista della laicità di pensiero il credere è una libera scelta personale, quindi: “de gustibus non est disputandum!”.  Aprirò comunque una fessura discriminativa, analizzando i vari modi espressivi delle religioni o delle filosofie che si sono affermate e conservate in Oriente ed in Occidente.  

La prima differenza sostanziale verte nel metodo di ricerca spirituale.  In occidente si predilige il credere, mentre in oriente prevale l’esperimentare. Il credere è statico ed è il risultato della memoria e dell’accettazione cieca, l’esperimentare è  dinamico ed è il risultato di una azione e di una discriminazione selettiva.

L’unica verità incontrovertibile è quella corroborata dalla propria esperienza… ma a meno che non si abbia una rivelazione diretta interiore affermare di credere in una religione è un esercizio mentale di volontà ed è privo di ogni sostanzialità. Cosa diversa nel caso di esperienza diretta o “realizzazione”. Siccome la “realizzazione” avviene nel Sé, e non è conseguenza di una ipotetica "salvazione" esterna,  possiamo tranquillamente affermare che  la “verità intrinseca” è l’unica reale verità, tutto il resto essendo semplice proiezione mentale.

Taluni, i  professionisti della religione, che prevalgono nelle fedi monolatriche,  ritengono che la pratica spirituale sia una sorta di “occupazione” come quella di uno studente o di un lavoratore che deve espletare specifici compiti per “ottenere” la salvazione. Questo atteggiamento “volontaristico” crea spesso aspettative e dal punto di vista spirituale addirittura allontana dalla vera conoscenza, poiché ci si fissa sul mezzo senza guardare il soggetto che vuole raggiungere la conoscenza.

Il vero  soggetto è il nostro stesso Sé ma noi lo ignoriamo e lo rendiamo un “oggetto” da perseguire. E  questo è il gioco dell'ego che si traveste da poliziotto per cercare il ladro che egli stesso è.

A proposito di questo “gioco” ricordo la frase pronunciata dal re Janaka di Videha *  che, dopo aver ascoltato e compreso l’insegnamento nondualistico impartitogli dal suo guru Vasishta, esclamò: “Ora ho compreso chi è il ladro e lo sistemerò immediatamente” (riferendosi alla tendenza a identificarsi con il corpo-mente che ritiene di compiere l’azione).

Insomma la foga nello svolgere il cosiddetto “dovere” religioso e la compulsione a praticare per ottenere risultati attraverso la volontà e la penitenza, può procurare forme di dipendenza e di illusione “spirituale” ed è una devianza rispetto alla sincera ricerca interiore.

Questo avviene quando ci si lega ad una setta, quando si aderisce ad una specifica religione e ci si affida alle indicazioni di un ipotetico “salvatore” o pontefice. Sembra che alcune persone abbiano bisogno di sentirsi “radicate” e affratellate in un gruppo compatto (spesso succede con i cristiani ed i maomettani, e simili fedi), soprattutto se stanno vivendo momenti di vuoto affettivo o di altro genere (preoccupazioni mondane, senso di mancanza o inadeguatezza, etc.).

Però mettersi contro apertamente o denigrare le scelte compiute da tali persone non le aiuta a comprendere la causa del loro bisogno di riempire un buco, che risiede nella loro incapacità di accettare se stessi per quel che sono senza pensare di voler forzatamente modificare lo stato di cose o la propria natura in funzione di un ipotetico ottenimento “altro”.

L’accettarsi soltanto può interrompere il meccanismo del desiderio e della paura, perché accettando si comprende la situazione vissuta nella sua interezza e la risposta confacente sorge spontanea. Ma l’accettazione talvolta è anche dolorosa. Questo riguarda ognuno di noi che vive nel mondo. Ma vivendo consapevolmente nel mondo si può comprendere la natura del mondo e della coscienza.

Comunque non si può definire od impartire una “cura” universale per le diverse anomalie di interpretazione della propria realtà, dicendo “fai questo o fai quello”. A volte abbiamo anche bisogno di perderci per poi ritrovarci. Ognuno deve poter crescere a modo suo.

Per sviluppare la chiarezza interiore ci vuole discriminazione e distacco. L’auto-indagine è la via più diretta per individuare il “ladro” che ci deruba della Consapevolezza (trascinandoci nel mondo della dissociazione e della speculazione).

L'auto-indagine non richiede altri aiuti se non la rimembranza e l’attenzione rivolta al Sé. in questo abbandono ed in questo arrendersi al proprio Sé sorge l’amore, e la comprensione di ciò che realmente noi siamo, aldilà della forma e del pensiero.

Paolo D'Arpini

*) il Re Janaka fu un regnante illuminato vissuto circa 5000 anni prima di Cristo, all’epoca in cui è ambientato il Ramayana. Janaka era il re dell’attuale Janakpur e il padre di Sita che divenne la moglie di  Sri Rama (Avatar  di Vishnu).