sabato 18 maggio 2019

The limit of "believing" - Il limite del “credere”


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Some time ago I wrote an article on lay spirituality in which I pointed out the condition of atheists and believers, placing them in a single category of thought, that of "believing". Now I would like to specify better why I place these two apparent "opposites" on the same level. I do this by highlighting how both believers and non-believers need a justification for their conviction.

First of all a question. What is the substantial difference between remaining absorbed in the stillness of undifferentiated consciousness, responding to the stimuli of life with spontaneity and lightness, and the spasmodic reaction based on the assumption of ideological concepts that make us a behavioral cage?

A man studies books on books, listens and gives great speeches, seeks followers and becomes a follower himself, in short, he begins to "believe" in a system, in an advantage, he sets up all his actions in respect of a scheme on which he erects a structure idealistic, with it he believes he can "instruct" others and can express "the truth".

But how is it possible that the truth is static, a preprinted and immobile thing, a rigid ideal? It can be "true" only if it is true in the continuous flow of life, settling and adapting to current circumstances, it does not sclerotize events, imposes no restrictions, it breathes with all that exists.

To rely on a creed (positive or negative) to tell the truth is to want to give words a value that they don't have ... and basically how does the word come about?

The language through which we dare to say "this is the truth" is very far from pure consciousness. In fact, at the beginning there is an abstract awareness, an intelligent and unqualified consciousness, from which the sense of the self arises, the ego, which in turn gives rise to thoughts, concepts, and finally these become words and writing.

So the language is much later than innate knowledge.
How is it possible to express the truth through the word, what is this if not blind arrogance?

When we declare "this is the truth" it is as if we were saying "I know about Rome because it is my team" and we are also convinced, of course, we are convinced even when we say "Christianity is the best, Islam is the best,  atheism is the best, fascism is the best, or rather, it is the best the communism ..." and contrary to contrary everything in which we believe  is always the best.

If we now use a bit of discernment, we cannot help but notice that each of these truths belongs to the self, it is only what we believe in, but can a truth that is only individual be defined as truth? A truth that can be described?

In  an ancient Taoist saying  is declared "the tao that can be said is not the Tao".

And Ramana Maharshi, a sage from India, said: "... the truth is in the profound silence of our heart...".

Unfortunately some people show off their truth to the four winds, claiming to have found it in fantastic projections of the psyche, in the curiosities of various religions, in the hells and paradises, in reincarnation and atheistic materialism, because they love the mystery and not the truth .... And in truth what use are these fake "truths", ignoring the life of the day, of the here and now, if not to speculate on the imaginary of believing?

To experience the truth of life it is enough to stay in the spontaneity of the breath ... without deciding in advance when to inhale and when to exhale ...

In believing we hold ourselves in perpetual apnea ...

Paolo D'Arpini

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Testo Italiano

Tempo addietro scrissi un articolo sulla spiritualità laica in cui segnalavo la condizione degli atei e dei credenti ponendoli in una sola categoria di pensiero, quella del  “credere”. Ora vorrei specificare meglio il perché colloco questi due apparenti “opposti” sullo stesso livello. Lo faccio  evidenziando come entrambi, credenti e non credenti, abbiano bisogno di una ragione giustificativa per la loro convinzione.
Innanzitutto una domanda. Qual’è la differenza sostanziale fra il restare assorbiti nella quiete della coscienza indifferenziata, rispondendo agli stimoli della vita con spontaneità e leggerezza, e la reazione spasmodica  basata sull’assunzione di concetti ideologici che ci fanno da gabbia comportamentale?
Un uomo studia libri su libri, ascolta e tiene grandi discorsi, cerca seguaci e diventa egli stesso seguace, inizia insomma a “credere” in un sistema, in un vantaggio, egli imposta ogni sua azione nel rispetto di uno schema sul quale erige una struttura idealistica, con essa ritiene di poter “istruire” gli altri e di poter esprimere “la verità”.
Ma come è possibile che la verità sia statica, una cosa prestampata ed immobile, un rigido ideale? Essa può esser  “vera” solo se è vera nel fluire continuo della vita, assestandosi ed adeguandosi alle circostanze correnti, essa non sclerotizza gli eventi, non impone restrizioni, essa respira con tutto ciò che esiste.
Basarsi su un credo (in positivo od in negativo) per raccontare la verità è voler dare alle parole un valore che non hanno… ed in buona sostanza come nasce la parola?
Il linguaggio attraverso il quale osiamo affermare “questa è la verità” è molto lontano dalla pura coscienza. Infatti all’inizio esiste una consapevolezza astratta, una coscienza intelligente e non qualificata, da questa sorge il senso dell’io, l’ego, il quale a sua volta dà origine ai pensieri, ai concetti, ed infine questi diventano parole e scrittura.

Quindi il linguaggio è di molto successivo alla conoscenza innata.
Come è possibile che attraverso la parola si possa esprimere la verità, cos’è questo se non cieca arroganza?
Quando noi dichiariamo “questa è la verità” è come se dicessimo “io so’ della Roma perché è la mejio squadra” e siamo pure convinti, certo, siamo convinti anche quando diciamo “il cristianesimo è mejio, l’islam è mejio,  l’ateismo è mejio, il fascismo è mejio, anzi no, è mejio il comunismo...” e contrario per contrario tutto ciò in cui crediamo “è sempre mejio!”.
Se usiamo adesso un po’ di discernimento, non possiamo far a meno di osservare che ognuna di queste verità appartiene all’io, è solo ciò in cui crediamo, ma può esser definita verità una verità che è solo individuale? Una verità che può essere descritta?
C’è un antico detto taoista che dice: “il tao che può esser detto non è il Tao”.
E Ramana Maharshi, un saggio dell’India, disse: “..la verità è nel profondo silenzio del nostro cuore…”.
Purtroppo alcune persone sbandierano la loro verità ai quattro venti, pretendono di averla trovata in fantastiche proiezioni della psiche, nelle curiosità di varie religioni, negli inferni e paradisi, nella reincarnazione e nel  materialismo ateo, perché essi amano il mistero e non la verità… Ed in verità a che servono queste “verità” fasulle, ignorando la vita del giorno per giorno, del qui ed ora, se non per speculare sull’immaginario del credere?
Per sperimentare la verità di vita basta stare nella spontaneità del respiro… senza decidere in anticipo quando inspirare e quando espirare….
Nel credere invece ci tratteniamo in perenne apnea…
Paolo D'Arpini

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