According to the advaita vedānta (non-dual Vedānta), a metaphysical doctrine that transcends duality, there exists only a single Reality without a second, expressed through Brahman (nirguṇa, meaning 'devoid of attributes'), eternal and immutable, a sort of matrix from which, like an image reflected in the mirror, flows the saguna Brahman (with attributes), which permeates and sustains the entire visible and invisible universal manifestation, qualified precisely by the opposites expressed in it.
Equally therefore and by extension the ātman, divorced from any dualism, is devoid of attributes, uncontaminated, "eternal and all-pervading as the ether" but distinct from it, it is the Self, the Spirit (like Plato), which it vitalizes the manifested entity, completely outside time-space-cause and as such coinciding with Brahman (nirguṇa).
However, it is necessary to warn the reader against falling into the trap of imagining the self, the individual soul, as a physical entity, albeit subtle, that can therefore have its seat and form, many in fact deceitfully consider it abiding in the body, this I am all-pervasive like the One Cause from which it arises; as an example we consider the radio waves, they bear a shape, a frequency, etc., that is they can be described according to their physicality, but we know that something else is the ineffable information that they carry, at the same time distinct, albeit for cognitive needs, space (the primordial unifenomenic element) from the ātman / Brahman.
The form of the jīva consists of a toroid pivoted on the spiritual heart, a space (ākāśa), placed symmetrically to the left of the heart muscle and therefore not to be confused with it. The heart, the true pulsating center of the prāṇa vital energy (ie the ether, in the form of vital energy), is described as a cavity (dahara); in it, thanks to the creation of true absolute emptiness, a double vortex of prāṇa is produced, composed of a centripetal verse that attracts it and a centrifugal one that redistributes it.
The median prāṇa is the main one from which the other secondary prāṇas (the apāna, the vyāna, the udāna, the samāna, and the ana) originate, it feeds all the organs making them active, if one of them departs, that one dries up, if one of these abandons an organ, the respective function ceases, if instead the prāṇa leaves the body, the whole vital function ceases in it7. In truth the body surely dies when it is separated from the jīva, but the jīva does not die.
The prāṇa brings to life all the bodies of the micro and macro cosmos, it is the element for which the gross and subtle forms (of any kind) can find nourishment and increase, in truth it keeps alive all the inhabitants of the universe, any natural food is eaten, this releases the prāṇa that circulates in it; prāṇamayakosa is the sheath of the vital energy that keeps man's dense body alive and active.
When the jīva abandons the body, prāṇa follows it, so all prāṇas follow it along the 100 nāḍīs that branch out from the heart, besides those only one nth, udāna, can proceed towards the outside passing through the vertex of the head.
If the jiva ascends along that, immortality is achieved. The yogi can consciously implement this event of exit and entry from the body by passing from the top of the head, having acquired the mastery of working on the element ākāśa (space or ether), from which air, fire, water and earth are born, then the mind, the word, the sight and the hearing; indeed all the faculties9 of the incarnated being come from the jīvātman (the conscious I of being One), or rather from the ātman / Brahman, and therefore not from the dense body, it is up to the jīva to prepare to exercise them. It is the atman who brings the ray of awareness to the identified body, making it aware of its existence.
The body surely dies when it is separated from the jīva, but the jīva does not die, because it is a reflection or a conscious ray of the unborn atman.
Indeed, one comes into existence in accordance with one's awareness, how one acts and how one behaves, so he becomes, so that some jivas return to incarnate in a womb to cover themselves with a body, others assume an inert condition according to karma and learned knowledge.
The jīva, which is the size of a thumb, has the same nature as the sun, is endowed with the determination and the sense of the ego as well as the qualities of the intellect and the quality of the body and is as big as the end of a spur, indeed , is perceived as being different from the ātman.
But he who knows the Brahman, in the supreme space enclosed in the hollow of the heart, he fulfills all desires by being identified with Brahman. When this spark (jīva) discovers its true nature, it creates identity with its divine counterpart (ātman-Brahman).
Giuseppe Moscatello
Testo italiano:
Secondo l’advaita vedānta (Vedānta non duale), dottrina metafisica che trascende la dualità, esiste solo un’unica Realtà senza secondo, espressa attraverso il Brahman (nirguṇa, ossia ‘privo di attributi’), eterno e immutabile, una sorta di matrice dalla quale, come un’immagine riflessa nello specchio, scaturisce il Brahman saguna, (con attributi), che permea e sostiene l’intera manifestazione universale visibile e invisibile, qualificata appunto dagli opposti in essa espressi.
Al pari dunque e per estensione l’ātman, avulso da qualsiasi dualismo, è privo di attributi, incontaminato, “eterno e onnipervadente come l’etere” ma da esso distinto, è il Sé, lo Spirito (al pari in Platone), che vitalizza l’ente manifestato, completamente al di fuori del tempo-spazio-causa e in quanto tale coincidente col Brahman (nirguṇa).
Occorre però mettere in guardia il lettore dal non cadere nel tranello di immaginare il sé, l’anima individuale, come un ente fisico seppur sottile che possa perciò avere una sua sede e una forma, molti infatti ingannevolmente la considerano dimorante nel corpo, quest’Io è onnipervadente al pari della Causa Una dalla quale sorge; come esempio consideriamo le onde radio, esse recano una forma, una frequenza, ecc., sono cioè descrivibili secondo la loro fisicità, sappiamo però che ben altro è l’ineffabile informazione che esse trasportano, al pari van distinti, seppur per necessità cognitive, lo spazio (l’elemento primordiale unifenomenico) dall’ātman/Brahman.
La forma del jīva consiste di un toroide imperniato sul cuore spirituale, uno spazio (ākāśa), posto nel petto simmetricamente a sinistra del muscolo cardiaco e quindi da non confondere con esso. Il cuore, vero centro pulsante dell’energia vitale prāṇa (ossia l’etere, nella forma dell’energia vitale), è descritto come una cavità (dahara); in essa grazie all’ingenerarsi del vero vuoto assoluto si produce una doppia vorticazione del prāṇa, composta da un verso centripeto che lo attrae e uno centrifugo che lo ridistribuisce.
Il prāṇa mediano è quello principale da cui provengono gli altri prāṇa secondari (l’apāna, il vyāna, l’udāna, il samāna, e l’ana), esso alimenta tutti gli organi rendendoli attivi, se da uno di questi si diparte, quello stesso si inaridisce, se uno di questi abbandona un organo, cessa la rispettiva funzione, se invece il prāṇa abbandona il corpo, cessa in esso per intero la funzione vitale7. In verità il corpo sicuramente muore quando è separato dal jīva, ma il jīva non muore.
Il prāṇa reca vita a tutti i corpi del micro e macro cosmo, è l’elemento per cui le forme grossolane e sottili (di qualunque genere), possono trovare alimento e accrescere, in verità mantiene in vita tutti gli abitanti dell’universo, qualsiasi cibo naturale venga mangiato, questo rilascia il prāṇa che in esso stesso circola; la prāṇamayakosa è la guaina dell’energia vitale che mantiene in vita e in attività il corpo denso nell’uomo.
Quando il jīva abbandona il corpo, il prāṇa lo segue, quindi tutti i prāṇa lo seguono percorrendo le 100 nāḍī che si diramano dal cuore, oltre quelle solo un ennesima, udāna, può procedere verso l’esterno passando per il vertice del capo.
Se il jīva ascende lungo quella si ottiene l’immortalità. Lo yogi può attuare coscientemente quest’evento di uscita ed entrata dal corpo transitando dal sommo del capo, avendo acquisito quegli la padronanza di operare sull’elemento ākāśa (spazio o etere), dal quale nascono, aria, fuoco, acqua e terra, quindi la mente, la parola, la vista e l’udito; invero tutte le facoltà9 dell’essere incarnato provengono dal jīvātman (l’Io cosciente di essere Uno), o meglio dall’ātman/Brahman, e non quindi dal fisico denso, sta al jīva predisporsi ad esercitarle. E’ l’ātman che reca all’ente individuato il raggio di consapevolezza, rendendolo consapevole della sua esistenza.
Il corpo sicuramente muore quando è separato dal jīva, ma il jīva non muore, in quanto esso è un riflesso o un raggio coscienziale dell’ātman non nato.
Invero, si viene all’esistenza in accordo con la propria consapevolezza, come agisce e come si comporta, così egli diviene, sicché alcuni jīva ritornano ad incarnarsi in un grembo per ricoprirsi di un corpo, altri assumono una condizione inerte secondo il karma e la conoscenza appresa.
Il jīva che ha la dimensione di un pollice, ha natura identica al sole, è dotato della determinazione e del senso dell’Io come anche delle qualità dell’intelletto e della qualità del corpo ed è grande come l’estremità di uno sperone, invero, viene percepito come se fosse differente dall’ ātman.
Ma colui che conosce il Brahman, nel supremo spazio racchiuso nell’incavo del cuore, costui esaudisce tutti i desideri essendo identificato con Brahman. Quando questa scintilla (jīva) scopre la sua vera natura, crea l’identità con la sua controparte divina (ātman-Brahman).
Giuseppe Moscatello
Questo tema verrà trattato, presso la sala superiore di Villa Shop a Passo di Treia, dall'autore Giuseppe Moscatello, durante la conferenza prevista il 22 giugno 2019, ore 18, nell'ambito del Collettivo Bioregionale Ecologista. Segue rinfresco. Info. 0733/216293
RispondiElimina