domenica 26 marzo 2023

Is this realization? - Questa è realizzazione?



Some time ago I wrote to a friend of mine, who asked me for information about myself, explaining to her: ".. I work for a half-mad named Paolo D'Arpini, do you know him?".

In truth, identifying oneself with a specific shape name does not correspond to the truth and furthermore if you identify yourself with the "person" you cannot help but assume its strengths and weaknesses, accepting its nuances and stains, but we are Arlecchino and Pulcinella? This is why I said that "I" (as conscience) work for that character Paolo D'Arpini, who only through my conscious observation, as conscience, can manifest himself and carry out the atrocities to which he is accustomed. At the same time I love him as I love anyone who comes before me, who enters my conscious sphere.

I discovered, rereading various stories on this site, that often, especially in this column, moments of transcendence and flashes of realization are described. The experience of the ultimate state, of consciousness free from identification, is expounded in various spiritual schools such as: Satori, Holy Spirit, Samadhi, Shaktipat, etc.

It is usually understood that this "experience" of the Self is consequent to a particular condition of openness in which "grace" can manifest itself and impart the knowledge of what we have always been and always will be.

Unfortunately, due to the accumulation of "vasana" mental tendencies, the lived experience does not always stabilize in permanent realization. Awakening therefore does not correspond to realization (or only in rare cases of full spiritual maturity). And here we are faced with a paradox, on the one hand there is the unequivocal awareness of the ultimate state which can never be erased again, on the other a partial obscuration of this truth following the residual activity of the vasanas which continue to operate in the mind of the seeker…

At this point I find it necessary to quote an answer given by Ramana Maharshi on this matter.

Q. "Can knowledge be lost once it has been gained?"

A. “Once revealed knowledge takes time to stabilize. The Self is certainly within one's direct experience, but not as one might imagine, it is simply what it is. This "experience" is called samadhi. But due to the fluctuation of the vasanas, the knowledge requires practice to be perpetually established. Impermanent knowledge cannot prevent rebirth. Therefore the work of the seeker consists in the annihilation of the vasanas. It is true that in the vicinity of a realized saint the vasanas cease to be active, the mind becomes still and samadhi supervenes. Thus the seeker gets proper experience in the presence of the master. To maintain this experience permanently, a further effort is needed. Finally he will know the true nature of him even in the midst of everyday life. There is a state beyond our effort or lack of effort but until it is realized effort is necessary. But once the "joy of the Self" has been tasted, the seeker cannot help but turn to this repeatedly trying to regain it. Once the joy of peace has been experienced, no one will want to turn to any other quest” (Talks).

And with this promise-condemnation, I greet you in a friendly way.

Paolo D'Arpini




Testo italiano:

Tempo addietro scrivevo ad una mia amica,  che mi chiedeva notizie sulla mia persona,  spiegandole:  ”..lavoro per un mezzo sderenato che si chiama Paolo D’Arpini, lo conosci?”.

In verità  identificarsi con uno specifico nome forma non corrisponde assolutamente al vero ed inoltre se ci si identifica con la “persona” non si può fare a meno di assumerne i pregi ed i difetti, di accogliere le sue sfumature e macchie, ma siamo noi Arlecchino e Pulcinella? Per questo dicevo che “io” (in quanto coscienza) lavoro per quel personaggio Paolo D’Arpini, il quale solo attraverso la mia osservazione consapevole, in quanto coscienza,   può manifestarsi e compiere le nefandezze a cui è avvezzo. Allo stesso tempo gli voglio bene come voglio bene a chiunque mi si presenti davanti, che entra nella mia sfera cosciente. 

Ho scoperto, rileggendo diverse storie su questo sito, che sovente, soprattutto in questa rubrica, vengono descritti momenti di trascendenza e flash di realizzazione. L’esperienza dello stato ultimo, della coscienza libera da identificazione, è esposta in varie scuole spirituali come: Satori, Spirito Santo, Samadhi, Shaktipat, etc.

Di solito si intende che questa “esperienza” del Sé sia conseguente ad una particolare condizione di apertura in cui la “grazia” può manifestarsi ed impartire la conoscenza di quel che sempre siamo stati e sempre saremo. 

Purtroppo dovuto all’accumulo di tendenze mentali  “vasana” non sempre l’esperienza vissuta si stabilizza in permanente realizzazione. Il risveglio quindi non corrisponde alla realizzazione (oppure solo in rari casi di piena maturità spirituale).  E qui ci troviamo di fronte ad un paradosso, da un lato c’è la consapevolezza inequivocabile dello stato ultimo che non può mai più essere cancellata, dall’altro un oscuramento parziale di tale verità in seguito all’attività residua delle vasana che continuano ad operare nella mente del cercatore…

A questo punto trovo necessario riportare una risposta  data da Ramana Maharshi su questo argomento.

D. “Può la conoscenza essere persa una volta che è stata ottenuta?”

R.  “La conoscenza una volta rivelata prende tempo per  stabilizzarsi. Il Sé è certamente  all’interno dell’esperienza diretta  di ognuno, ma non come uno può immaginare, è semplicemente quello che è. Questa “esperienza” è chiamata samadhi. Ma dovuto alla fluttuazione delle vasana, la conoscenza richiede pratica per stabilirsi perpetuamente. La conoscenza impermanente non può impedire la rinascita. Quindi il lavoro del cercatore consiste nell’annichilazione delle vasana.  E’ vero che in prossimità di un santo realizzato le vasana cessano di essere attive, la mente diventa quieta e  sopravviene il samadhi. In questo modo il cercatore ottiene una corretta esperienza alla presenza del maestro.  Per  mantenere stabilmente questa esperienza un ulteriore sforzo è necessario. Infine egli conoscerà la sua vera natura anche nel mezzo della vita di tutti i giorni. C’è uno stato che sta oltre il nostro sforzo o la mancanza di sforzo ma finché esso non viene realizzato lo sforzo è necessario.  Ma una volta assaggiata la “gioia del Sé”  il cercatore non potrà fare a meno di rivolgersi a questa ripetutamente cercando di riconquistarla. Una volta sperimentata la gioia della pace nessuno vorrà indirizzarsi verso qualche altra ricerca”  (Talks). 

E con questa promessa-condanna vi saluto    amichevolmente. 

Paolo D’Arpini 


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