lunedì 31 agosto 2020

The true Guru and the play of Consciousness - Il vero Guru ed il gioco della Coscienza

Riciclaggio della memoria: "Il Gioco della Coscienza" di Swami Muktananda -  Recensione
“The  inner  Self is the true Guru”.  Contrariwise separating himself and seeng the Guru as “other” is the entertainment of the ego. 
The mere intellectual understanding of this process separative, which is illusory, however, is not sufficient. As long as the ego is not obliterated is not appropriate to deal with the Guru like any other. Please note, we are talking of the external Guru, as this attitude would tend not to respect or disregard his teachings. 

Then you need to know that the Guru is the true Self while outwardly you relate to him as if he were the Supreme Teacher, with respect and devotion. This attitude is then reflected towards your Self, your inner Guru, and then you “surrender” to his Grace. Knowing that no personal effort can obliterate the sense of separativeness but this can only be removed by the Grace of the Guru (who is the Self). 

For this it is said to behave equally and with detachment with all beings in the world with the exception of the Guru, which is the inner “awakener” of the self.

The moment that the Guru make one realize the Self all distinction disappears .. remains, however, in modes of expression, a constant form of devotion and respect for the Guru, who at that point is actually experienced as one’s Self, inwardly. 

But outwardly still the game of “diversity” continues to unfold.

Paolo D’Arpini

Liberarsi dai meccanismi mentali - Cultura - SPIRITUAL


Testo Italiano:


"Il Sé interiore è il vero Guru". Al contrario, considerararsi separati e vedere il Guru come "altro" è l'intrattenimento dell'ego. La mera comprensione intellettuale di questo processo separativo, che è illusorio, tuttavia, non è sufficiente. 

Finché l'ego non viene cancellato non è appropriato trattare il Guru come chiunque altro,  qui  stiamo parlando del Guru esterno, poiché questo atteggiamento porterebbe a non rispettare o ignorare i suoi insegnamenti.
Allora  occorre sapere che il Guru è il vero Sé mentre esteriormente ti relazioni con lui come se fosse il Maestro Supremo, con rispetto e devozione. Questo atteggiamento si riflette poi verso il tuo Sé, il tuo Guru interiore, e poi ti “arrendi” alla sua Grazia. Sapendo che nessuno sforzo personale può cancellare il senso di separatività che  può essere rimosso solo dalla Grazia del Guru (che è il Sé).
Per questo si  consiglia  che  ci si comporti allo stesso modo e con distacco con tutti gli esseri del mondo ad eccezione del Guru, che è il “risvegliatore” interiore del sé.
Nel momento in cui il Guru fa realizzare il Sé, tutta la distinzione scompare... rimane, tuttavia, nei modi di espressione, una forma costante di devozione e rispetto  verso il Guru, che a quel punto è effettivamente sperimentato come il proprio Sé, interiormente. 
Ma esteriormente il gioco della "diversità" continua a svolgersi. 
Paolo D'Arpini

sabato 29 agosto 2020

Destiny is the memory of what will come ... - Destino è la memoria di ciò che verrà...


La chiave dei ricordi – maoelucubrazioni

At the base of this story I place my experience, implanted in the memory, of the moment in which the consciousness was illuminating the formation of a body in my mother's womb, this individual consciousness being called "soul", in which I clearly perceived the karmic course that that psychophysical form (that myself) was destined to accomplish. I saw his propensities, his genetic roots, innate tendencies, destined events, difficulties, glory, sacrifice, in short, everything that had to be done through that specific human individual.

Well, in perceiving all this clearly I felt a certain reluctance to face the trials, better to say to testify them, or to make them possible through the conscious presence that I am. Yet, the outlining of incipient destiny in the mirror of the mind, which recorded it and then stored it as a film that would then be projected in the course of life, involved a semblance of free will in accepting fate or rejecting it. Of course this feeling of acceptance or rejection was totally subjective and could not in any way change the course of preordained events, but it could have left a trace in the form of dissatisfaction and rejection, with the consequences you can imagine in the unfolding of life that was about to manifest itself. ...

But here we need clarification. The mechanism of the appearance of thoughts seems to come from a source. I define it as a source because we constantly think even when we dream. Yet in deep sleep and nirvikalpa samadhi the flow of thoughts is interrupted, but awareness is always present. Which proves that the thoughtless mind exists. But it's not really that important whether the thoughts are there or not.

Pursuing thoughts is slavery to observe them with detachment is liberation. During the detachment phase, one realizes that things, like thoughts, happen by themselves. So you don't need to worry about it. From this we can deduce that even the projection of a hypothetical destiny is only a film that appears in the mind.

In Ramana Maharshi's Upadesha Saram it is said: "17. If one observes without interruption the nature of the mind, one sees that indeed the mind does not exist. This is for all the direct way. 18. The mind is but a collection of thoughts, the first of which, the root of all thoughts, is the thought 'I'. Therefore the mind is only the thought 'I'. 19. When one looks within for the source from which this 'I' comes, it disappears. This is the search for the Self. 20. Where the 'I' disappears, there the One shines, undivided and infinite. This is the true Self. "

Paolo D'Arpini

Rubrica natalizia: 31 dicembre - LeccoOnline


Testo Italiano:

Alla base di questo racconto  pongo la mia esperienza, impiantata nella memoria, del momento in cui la coscienza stava illuminando la formazione di un corpo nel grembo di mia madre, essendo questa coscienza individuale denominata “anima”, in cui percepii chiaramente il decorso karmico che quella forma psicofisica (quel me stesso) era destinata a compiere. Vidi le sue propensioni, le sue radici geniche, le tendenze innate, le vicende destinate, le difficoltà, la gloria, il sacrificio, insomma tutto quel che doveva essere compiuto attraverso quello specifico individuo umano. 

Ebbene nel percepire tutto ciò chiaramente sentivo una certa riluttanza ad affrontare le prove, meglio dire a testimoniarle, o renderle possibili attraverso la presenza cosciente che io sono. Eppure, il delinearsi del destino incipiente nello specchio della mente, che lo registrava e quindi lo immagazzinava come una pellicola che poi sarebbe stata proiettata nel corso della vita, comportava una parvenza di libero arbitrio nell’accettare il fato o nel rifiutarlo. Certo questa sensazione di accettazione o rifiuto era totalmente soggettiva e non poteva in alcun modo modificare il corso degli eventi preordinati, ma avrebbe potuto lasciare una traccia sotto forma di insoddisfazione e rifiuto, con le conseguenze che potete immaginare nel dispiegamento della vita che stava per manifestarsi...
Ma qui occorre un chiarimento.  Il meccanismo della comparsa dei pensieri  sembra provenire da una fonte. La definisco fonte perché pensiamo in continuazione anche quando sogniamo.  Eppure nel sonno profondo e nel nirvikalpa samadhi il flusso dei pensieri si interrompe, ma la consapevolezza è sempre presente. Il che dimostra che la mente senza pensieri esiste. Ma non è poi così importante che i pensieri ci siano o non ci siano. 

L'inseguire i pensieri è schiavitù osservarli con distacco è liberazione. Durante la fase del distacco ci si rende conto che le cose , come i pensieri, avvengono da sé. Quindi non serve preoccuparsene. Da ciò se ne può dedurre che anche la proiezione di un ipotetico destino è solo un film che appare nella mente.

Nell'Upadesha Saram di Ramana Maharshi è detto: "17. Se si osserva senza interruzione la natura della mente, si vede che invero la mente non esiste. Questa è per tutti la via diretta. 18. La mente non è che un insieme di pensieri, il primo dei quali, la radice di tutti i pensieri, è il pensiero 'io'. Dunque la mente è solo il pensiero 'io'. 19. Quando si cerca all'interno la fonte da cui proviene questo 'io', esso scompare. Questa è la ricerca del Sé. 20. Dove l''io' scompare, là risplende l'Uno, indiviso e infinito. Questo è il vero Sé".

Paolo D'Arpini

venerdì 28 agosto 2020

Emotional and archetypal psychology and innate drives - Psicologia emozionale e archetipale e pulsioni innate


La paura del rifiuto può essere la nostra peggior nemica o la migliore  alleata - La Mente è Meravigliosa
Che cos'è l'intelligenza emotiva? - Psicologia a pezzi

Once a friend told me that in her opinion, experiencing life in a material body represents, for a human being, a continuous possibility of learning and evolution. But the choice of experiences is not accidental: we move and act driven by "forces and drives" which, in their complex variety of names and appellations, do nothing but determine the "movement" in our personality in everyday life.

Personally I believe that the different psychic aspects we embody and the energies of the elements that distinguish us form a kind of "grid" through which we are able to perceive the external world and situations on the basis of the harmony (or opposition) encountered. Where this "grid", our perceptive way, does not adhere to the different situations and emotions that come to us from others, we automatically feel a form of repulsion.

Our sympathy and antipathy and the kind of empathic relationships that can be established with the people with whom we come in contact depends only on the configuration of the inner filter of innate predispositions. But, at the same time, the understanding that every aspect of the psyche or of the colors of the energies (elements) depends on the movement in the kaleidoscope of the mind of something undifferentiated that is at the root of the mind itself, is very important in recognizing the common matrix.

The different aspects arise from the primordial separation, Yin and Yang, and from the consequential movements of propensities and from the grouping into cantons of acceptance and repulsion on the basis of the specific aspect embodied by us in which we recognize ourselves. The oppositions, however, are only completions of the same archetypal energy, for which misunderstandings and understandings are only a "modus operandi" of the mind and a way of recognizing affinities or differences, the purpose of the evolved consciousness is however to bring everything back to unit.

Paolo D'Arpini


Altra Calcata… altro mondo: Paolo D'Arpini - Riflessioni spirituali davanti  al camino acceso di Treia


Testo Italiano

Una volta  un'amica  mi disse che secondo lei sperimentare la vita in un corpo materiale, rappresenta, per un essere umano, una continua possibilità di apprendimento e di evoluzione. Ma la scelta delle esperienze  non è casuale: ci muoviamo ed agiamo spinti da “forze e pulsioni” che, nella loro complessa varietà di nomi e appellativi, non fanno altro che determinare il “movimento” nella nostra personalità nel vissuto quotidiano.

Personalmente  ritengo che i diversi aspetti psichici da noi incarnati e le energie degli elementi che ci contraddistinguono formino una specie di “griglia” attraverso la quale noi riusciamo a percepire il mondo esterno e le situazioni sulla base della sintonia (od opposizione)  incontrata. Ove questa “griglia”,  il nostro modo percettivo,  non aderisce con le situazioni e le emozionalità diverse che ci giungono dagli altri automaticamente sentiamo una forma di repulsione.

La nostra simpatia ed antipatia  ed il genere dei rapporti empatici che possono essere instaurati con le persone con le quali veniamo in contatto dipende solo dalla configurazione del filtro interiore delle predisposizioni innate. Ma, allo stesso tempo, la comprensione che ogni aspetto della psiche o dei colori delle energie (elementi)  dipende dal movimento nel caleidoscopio della mente di un qualcosa di indifferenziato che è alla radice della mente stessa, è importantissimo per riconoscere la comune matrice.

I diversi aspetti nascono in seguito alla separazione primordiale,  Yin e Yang, e  dai movimenti consequenziali delle propensioni e dal raggruppamento in cantoni di accettazione e repulsione sulla base dello specifico aspetto da noi incarnato in cui ci riconosciamo. Le opposizioni sono però solo completamenti della stessa energia archetipale, per cui  le incomprensioni e comprensioni sono solo un “modus operandi” della mente ed un modo di riconoscere  le affinità o le differenze,   il fine della coscienza evoluta è comunque quello di riportare tutto all’unità.

Paolo D'Arpini




mercoledì 26 agosto 2020

Lay spirituality. The way back to what we already are! - Spiritualità laica. La via del "ritorno" a ciò che siamo!



The "recognition" of our true nature occurs as in the passage from dream to wakefulness, it is natural and intrinsic in each of us. When we dream we are immersed in the dream and that is the only reality for us ... When the moment of awakening comes, there are signs that make us perceive the imminent change of state. As if to say, we have an inkling of the imminent exit from the illusion of the dream. Of course this is a simple analogy since in dreaming and waking, which are mental conditions, there is no true enlightenment and realization. That "awakening" I am talking about is the intimate indivisible essence, unapproachable by the mind, but its reality is intuitable and can be experienced in the state of pure awareness.

Various miracles and mysterious changes take place in the return process that propels each and every being towards that pure awareness. Adaptation to new states of consciousness always and in any case involves the entire mass body of the species, but in our human dimension we are used to locomotive functioning, that is, two steps forward and one backward, also called growth by trial and error. For this reason it seems that evolution lacks linearity and continuity. In our civilization we have experienced various moments that seemed heavenly, but which lacked a holistic understanding. A bit like it happens in the animal world where spontaneity reigns supreme but consciousness is lacking in self-awareness and reason.

In short, we must be able to integrate intuition and reason into our functioning and this done we can proceed to forget the experimental process in order to fully experience the experience in itself. Observer and observed cannot be separated.

To obtain this result, religions recommend the way "of loving your neighbor as yourself" while the Gnostic philosophies point towards self-knowledge.

Let's not split these two ways, let's keep them tight like two oars of our boat that help us to get out of the quagmire of "dualism".
 
After all, how can we consider that something is outside of ourselves?

Paolo D’Arpini


retebioregionale | Il Cannocchiale blog


Testo Italiano:

Il  "riconoscimento" della nostra vera natura avviene come nel passaggio dal sogno alla veglia, è naturale ed  intrinseco in ognuno di noi. Quando sogniamo siamo immersi nel sogno e quella è per noi la sola realtà… Quando giunge il momento del risveglio ci sono delle avvisaglie che ci fanno percepire l’imminente cambiamento di stato. Come dire, abbiamo sentore dell’imminente uscita dall’illusione del sogno. Certo questa è semplice analogia poiché nel sogno e nella veglia, che sono condizioni mentali, non vi è vera illuminazione e realizzazione. Quel “risveglio” di cui parlo è l’intima essenza indivisibile, inavvicinabile dalla mente, ma la sua realtà è intuibile e sperimentabile nello stato di pura consapevolezza.

Nel processo di ritorno che sospinge ogni singolo essere verso quella pura consapevolezza avvengono vari miracoli e misteriosi cambiamenti. L’adattamento ai nuovi stati di coscienza coinvolge sempre e comunque tutto il corpo massa della specie, ma nella nostra dimensione umana noi siamo abituati al funzionamento a locomotiva, ovvero due passi avanti ed uno indietro, anche definito crescita per tentativi ed errori. Per questa ragione sembra che l’evoluzione manchi di linearità e continuità. Nella nostra civiltà abbiamo vissuto vari momenti che sembravano paradisiaci, che mancavano però di una comprensione olistica. Un po’ come avviene nel mondo animale in cui la spontaneità  regna sovrana ma la coscienza è carente nella auto-consapevolezza e nella ragione.

Insomma dobbiamo poter integrare l’intuizione e la ragione  nel nostro funzionamento e ciò fatto possiamo procedere a dimenticare il processo sperimentale per poter vivere integralmente l’esperienza in se stessa. Osservatore ed osservato non possono essere separati.

Per ottenere questo risultato le religioni consigliano la via “dell’amare il prossimo tuo come te stesso” mentre le filosofie gnostiche indirizzano verso l’auto-conoscenza.

Non scindiamo queste due vie, teniamole strette come due remi della nostra barca che ci aiutano ad uscir fuori dal pantano del “dualismo”.
  
In fondo, come possiamo considerare che qualcosa sia al di fuori di noi stessi? 

Paolo D’Arpini

sabato 22 agosto 2020

Analysis on the nature of the mind from a lay spiritual point... - Analisi sulla natura della mente in chiave di spiritualità laica…


These 3 basic principles will help you light anything - DIY ...

Light and reflected light share the same fundamental nature, as existence and consciousness, spirit and matter, are one thing. The mind is a mirror that reflects the inner light to direct it towards external objects, these objects are identified through the emission capacity and intensity of the mirror. As a child I loved playing with a mirror stolen from my mother, with it I captured the sunlight and directed it, through a window, into a dark cellar. Only what was illuminated by the light beam was visible while the rest of the walls and things piled on the floor remained obscure, exactly the same way the mind works, which illuminates the outside world.

By analogy we see that the source of light, the sun, is like the supreme awareness while the mirror is the mind. But the mind itself is actually conscious, it is the reflective aspect of consciousness. I say "reflective" to indicate its propensity to turn towards the outside. The mind is nothing but the capacity of consciousness to externalize itself.

We can observe this projective process during the dream, in which the mind by itself and in itself creates an entire world, with various entities in relation to each other including a character identified by the dreamer as himself. This is the game of the mind that makes the form of the self and the other appear. At this point the doubt arises "how is it possible that awareness can be trapped and limited by the mind?". In truth, the limitation of consciousness is not real, in the same way that sunlight is not compromised or impaired by the mirror, likewise pure awareness is intact and not divided by the imaginary work of the individual mind.

Where are they internal and external for the supreme consciousness that both penetrates and surpasses them? In reality the very idea of ​​such a separation is unthinkable in the source of light which alone is. Take for example the dreamer who is not crippled or compromised by his dream, being himself everything projected into the dream and at the same time having none, likewise the individual consciousness and pure awareness are placed in the same terms of relationship.

Once, in response to the question "what prevents the undifferentiated light of consciousness from revealing itself directly to the individual who ignores it", the sage Ramana Maharshi replied "as water in a pot reflects the sun within the narrow limits of the container, thus the latent tendencies (mental predispositions), which act as a reflecting medium, capture the omnipervading and infinite light of consciousness presenting themselves in the form of the phenomenon called mind ”. This essay's answer makes us perceive that the mind is nothing more than an agglomeration of thoughts, in which the thought "I" stands out from which the false notion of a separate individual arises, which in reality is as illusory as the alleged separation of a dreamed character compared to the dreamer.

Attention, however, we consider that the attempt to understand this process intellectually is only one aspect of the "dream" and not the truth. In fact, the sages indicate the truth as ineffable and incomprehensible to the mind (meaning the separative and externalized mind), as much as the image reflected in the mirror cannot understand or replace the person who is reflected in it. A reflection is only a reflection is not substance.

So how is it possible to reach the "substance" that we are?

The observer, being consciousness in himself, can never become an "object". Objectification is a component of the externalized dualism: "knower, known". But this duality can be recomposed into a "unicum" in which, with the disappearance of diversification (ie the reflective element aimed at exteriorization), simple "knowledge" remains. This is the undifferentiated awareness to obtain which Ramana Maharshi advises: "When the I (ego or mind) turns its attention to its source, the accumulated mental tendencies or predispositions are extinguished and in the absence of these (which are the reflecting medium ) also the phenomenon originated by "reflection", that is the mind, disappears and is absorbed in the Light of the Reality alone (the Heart) ".

Yet despite being basically simple and direct, self-knowledge remains an alien examination to most. People refuse to know each other, they prefer mystery and ignorance, evidently due to those famous mental tendencies accumulated by the mind, crammed into memory and imagination.

Paolo D'Arpini

Paolo D'Arpini: Ebrei - Uscire dal concetto di "razza"


Testo Italiano:

Luce e luce riflessa condividono la stessa natura fondamentale, come esistenza e coscienza, spirito e materia, sono un’unica cosa. La mente è uno specchio che riflette la luce interiore per dirigerla verso gli oggetti esterni, questi oggetti vengono identificati tramite la capacità di emissione ed intensità dello specchio. Da bambino adoravo giocare con uno specchietto rubato a mia madre, con esso catturavo la luce solare e la dirigevo, attraverso una finestrella, dentro una cantina buia. Solo ciò che era illuminato dal fascio luminoso era visibile mentre il resto delle pareti e delle cose accatastate sul pavimento restava oscuro. Esattamente allo stesso modo funziona la mente, che illumina il mondo esterno.

Per analogia vediamo che la sorgente di luce, il sole, è come la consapevolezza suprema mentre lo specchietto è la mente. Ma la mente stessa, in effetti, è cosciente, essa è l’aspetto riflettente della coscienza. Dico “riflettente” per indicare la sua propensione a rivolgersi verso l’esterno. La mente non è altro che la capacità della coscienza di esteriorizzare se stessa.

Questo processo proiettivo lo possiamo osservare durante il sogno, in cui la mente da se stessa ed in se stessa crea un intero mondo, con varie entità in rapporto fra loro incluso un personaggio identificato dal sognatore come se stesso. Questo è il gioco della mente che fa apparire la forma dell’io e dell’altro. A questo punto il dubbio sorge “com’è possibile che la consapevolezza possa venire intrappolata e limitata dalla mente?”. In verità la limitazione della coscienza non è reale, allo stesso modo in cui la luce del sole non risulta compromessa o menomata dallo specchio, parimenti la pura consapevolezza è intonsa e non divisa dall’operato immaginario della mente individuale.

Dove sono interno ed esterno per la coscienza suprema che entrambi li compenetra e li supera? In realtà la sola idea di una tale separazione è impensabile nella sorgente di luce che unicamente è. Prendiamo ad esempio il sognatore che non viene menomato o compromesso dal suo sogno, essendo lui stesso ogni cosa proiettata nel sogno ed allo stesso tempo non essendone alcuna, parimenti la coscienza individuale e la pura consapevolezza si pongono negli stessi termini di relazione.

Una volta, in risposta alla domanda “cosa impedisce all’indifferenziata luce della coscienza di rivelarsi direttamente all’individuo che l’ignora”, il saggio Ramana Maharshi rispose “come l’acqua in una pentola riflette il sole nei limiti ristretti del contenitore, così le tendenze latenti (predisposizioni mentali), che agiscono da mezzo riflettente, catturano l’onnipervadente ed infinita luce della coscienza presentandosi nella forma del fenomeno chiamato mente”. Questa risposta del saggio ci fa percepire come la mente non sia altro che un agglomerato di pensieri, in cui primeggia il pensiero “io” dal quale sorge la falsa nozione di un individuo separato, che in realtà è illusorio tanto quanto la presunta separazione di un personaggio sognato rispetto al sognatore.

Attenzione, consideriamo però che il tentativo di comprendere intellettualmente questo processo è solo uno degli aspetti del “sogno” e non la verità. Infatti i saggi indicano la verità come ineffabile ed incomprensibile alla mente (intendendo la mente separativa ed esteriorizzata), tanto quanto l’immagine riflessa nello specchio non può capire o sostituirsi alla persona che vi si riflette. Un riflesso è solo riflesso non è sostanza.

E dunque com’è possibile giungere alla “sostanza” che noi siamo?

Colui che osserva, essendo in se stesso coscienza, non può mai divenire un “oggetto”. L’oggettivazione è una componente del dualismo esternalizzato: “conoscitore, conosciuto”. Ma questa dualità può essere ricomposta in un “unicum” in cui, scomparendo la diversificazione (ovvero l’elemento riflettente rivolto all’esteriorizzazione) permane la semplice “conoscenza”. Questa è la consapevolezza indifferenziata per ottenere la quale Ramana Maharshi consiglia: “Quando l’io (ego o mente) rivolge la propria attenzione alla sua sorgente, le tendenze o predisposizioni mentali accumulate si estinguono ed in assenza di queste (che sono il mezzo riflettente) anche il fenomeno originato dalla “riflessione”, ossia la mente, scompare e viene assorbito nella Luce della sola Realtà (il Cuore)”.

Eppure malgrado sia in fondo semplice e diretta l’auto-conoscenza resta un esame alieno ai più. La gente rifiuta di conoscersi, preferisce il mistero e l’ignoranza, evidentemente a causa di quelle famose tendenze mentali accumulate dalla mente, stipate nella memoria e nell’immaginazione.

Paolo D’Arpini



martedì 18 agosto 2020

From sensory communication to virtual transmission - Dalla comunicazione sensoriale alla trasmissione virtuale  


According to the Chinese elemental system, communication is possible at every elemental level, that is, you can communicate with the Earth, with Metal, with Water, with Wood and with Fire.

The communicative ways pass through the various senses that are connected to these elements. For example, you can communicate (in the same order mentioned above) with the sense of smell, hearing, taste, touch and sight. I even want to be clearer, through smells immediately, both for animals and for humans who are themselves animals, the sensation and the lived condition are transmitted; by listening to the sounds emitted (a sort of radar process) we are immediately aware of the type of information connected to them; with taste we make the other our own, consider for example licking and kissing; with touch we transform our emotions into physical and solid “contacts”, love (caresses) hate (punches) and the whole range of feelings; with sight we communicate through images. The latter is the most current method, also due to the writing not only of the images themselves. The gaze is a direct and unequivocal form of communication.

The word, or the language as we define it today, was born through a mixture of all these communicative ways…. Think about it well and at this point you will understand that between us and other living beings there is no elaborative difference in expressing even abstract concepts. In fact, returning to the description of the Chinese elemental system or the Indian system of direct communication between sentient beings, in the West we also have the example of St. Francis, it is clear that communication cannot be achieved exclusively with words.

Speech is a way to convey thoughts, but these thoughts must be "cogitated" and visually concretized within the mind, otherwise they are not transmissible. Proof of this is that when we speak in vain, the listener does not receive the message and remains in a state of "mental absence" (speaking in vain is typical of those who have nothing to say: politicians, lecturers, talkers, etc. ).

But before concluding this discussion, I insert some clarifying notes below, the first is specific on the evolution of articulated language in man and the second is an investigation on "communicating .. how?" more focused on virtual communication.

Evolution: the word to the monkeys.

The Word, or articulated language as we understand it at the grammatical level, is characteristic of man. It is one of the main features that distinguish us from the rest of the animal kingdom. But this distance is getting shorter and shorter with recent discoveries. Last among these is the confirmation that not only are monkeys to a certain extent capable of interpreting a verbal message, but they go further: they are able to identify a grammatically malformed word.

The experiment was conducted by accustoming a particular type of monkey to a certain pattern of word formation. Such as the composition of words with a prefix (eg DIS-pleasure or RE-knowing) or a suffix (natural-MIND or gio-OSO). After exposing them to correct language, the researchers tried to use nonsense words by mixing prefixes and suffixes in the wrong places. And they deserved some perplexing looks from primates like "What are you saying?" The reactions are unmistakably recognizable.

All this makes us think that the complex dynamics of the formation of a language are not so far from the minds of our quadruman cousins, and sheds new light on the mystery of how the word has evolved over time.

Communicate… communicate…. Such as?

It begins with the first cry, continues with the sticks and the study of the abbecedary, but we don't know how it ends .... Human communication is an endless mystery. Since man discovered the use of fire, thus extending his day, he began to tell in a convivial way, to transmit to other men, experiences and impressions, from which language and culture were born.

In fact, if during the day a few grunts were enough to indicate contingencies or objects, when at night primitive men remembered their adventures to communicate them they had to make the expression penetrating, intelligible without the use of concrete examples, using only images and thought forms. 

Thus was born the great miracle of "communication" but its development is not yet concluded…. Today, leaving aside pen and inkwell, books and newspapers, you communicate with the internet, the words are perhaps the same (even if you are really already using a new slang) but to ensure that your messages are received in the virtual jungle you need develop new capacities of attraction, calling the reader to an unusual attention. In this field no one is a teacher, there are no universities capable of transmitting this new "art" of communication, times have been too short and today everyone tries to get by as best he can. Some do it with spam, others with cookies, still others develop innovative graphics and settings, almost all use the multiplicity and the so-called "copy-cut-paste" method….

But all this is not enough, it is evident that in the telematic jungle if you want the message, your call, to be perceived, you cannot use only screams or exaggerated gestures, you need to refine the language once again and this is the new lexical revolution to which we are called.

After the circle around the fire (the first socialization) we are in the enlarged circle (on the net) in front of the computer ... Yet the need to relay our sensations, memories and experiences is even stronger. What was poetry, as a maximum refinement, has now become "poetronic"….

And maybe all taken by this "boxed" communication in front of the small screen we omit to talk to the neighbor, we abandon the sauce on the fire to scorch, we forget to call or write a love letter to our girlfriend .... (Yes, it happens to me too .. mea culpa mea culpa mea maxima culpa!)

Paolo D’Arpini

Sensory & Communication | Beacon Hill


Testo Italiano

Secondo il sistema elementale cinese la comunicazione è possibile ad ogni livello elementale, ovvero si può comunicare con la Terra, con il Metallo, con l’Acqua, con il Legno e con il Fuoco.

I modi comunicativi passano attraverso i vari sensi che sono collegati a questi elementi. Ad esempio si può comunicare (nello stesso ordine sopra menzionato) con l’olfatto, con l’udito, con il gusto, con il tatto e con la vista. Voglio persino essere più chiaro, attraverso gli odori immediatamente, sia per gli animali che per gli umani che sono essi stessi animali, si trasmette la sensazione e la condizione vissuta; con l’ascolto dei suoni emessi (una sorta di processo radar) immediatamente siamo consapevoli del tipo di informazione ad essi connessa; con il gusto facciamo nostro l’altro, considerate ad esempio la leccatura ed il bacio; con il tatto trasformiamo le nostre emozioni in “contatti” fisici e solidi, amore (carezze) odio (pugni) e tutta la gamma dei sentimenti; con la vista comunichiamo attraverso le immagini. Quest’ultimo è il metodo più attuale, anche per via della scrittura non soltanto delle immagini in se stesse. Lo sguardo è una forma diretta ed inequivocabile di comunicazione.

La parola, od il linguaggio come oggi lo definiamo, è nata attraverso una mistura di tutti questi modi comunicativi…. Pensateci bene ed a questo punto capirete che fra noi e gli altri esseri viventi non c’è differenza elaborativa nell’esprimere anche concetti astratti. Infatti, ritornando alla descrizione del sistema elementale cinese od a quello indiano della comunicazione diretta fra esseri senzienti, in occidente abbiamo anche l’esempio di San Francesco, è evidente che la comunicazione non è attuabile esclusivamente con la parola.

La parola è un modo per trasmettere i pensieri, ma questi pensieri debbono essere “cogitati” e concretizzati visivamente all’interno della mente, altrimenti non sono trasmissibili. Prova ne sia che quando si parla a vuoto, l’ascoltatore non recepisce il messaggio e resta in uno stato di “assenza mentale” (il parlare a vuoto è tipico di chi non ha nulla da dire: politici, conferenzieri, logorroici, etc.).

Ma prima di concludere questo discorso inserisco qui di seguito alcune note chiarificatrici, la prima è specifica sull’evoluzione del linguaggio articolato nell’uomo e la seconda è un'indagine sul “comunicare.. come?” più centrata sulla comunicazione virtuale.

Evoluzione: la parola alle scimmie.

Il Verbo, o il linguaggio articolato per come lo intendiamo a livello grammaticale, è caratteristica dell’uomo. E’ uno dei tratti principali che ci distinguono dal resto del regno animale. Ma questa distanza si accorcia sempre più con le recenti scoperte. Ultima tra queste è la conferma che non solo le scimmie sono in una certa misura capaci di interpretare un messaggio verbale, ma arrivano più in là: riescono a individuare una parola malformata a livello grammaticale.

L’esperimento è stato condotto abituando un tipo particolare di scimmie a un certo modello di formazione delle parole. Come la composizione di parole con un prefisso (ad es. DIS-piacere o RI-conoscere) o un suffisso (natural-MENTE o gioi-OSO). Dopo averle esposte a un linguaggio corretto, i ricercatori hanno provato a utilizzare parole prive di senso mescolando prefissi e suffissi al posto sbagliato. E si sono meritati delle occhiate perplesse dai primati del tipo “Ma cosa stai dicendo?”. Le reazioni sono inequivocabilmente di riconoscimento.

Tutto questo ci fa pensare che la complessa dinamica della formazione di un linguaggio non sia poi così lontana dalla mente dei nostri cugini quadrumani, e getta nuova luce sul mistero di come si sia evoluta nel tempo la parola.

Comunicare… comunicare…. Come?

Inizia con il primo vagito, prosegue con le asticciole e lo studio dell’abbecedario ma non si sa come finisce…. La comunicazione umana è un mistero senza fine. L’uomo da quando scoprì l’uso del fuoco, allungando così la sua giornata, cominciò a raccontare in forma conviviale, a trasmettere ad altri uomini, le esperienze vissute e le impressioni, da ciò è nato il linguaggio, la cultura.

Infatti se durante la giornata bastavano pochi grugniti per indicare le contingenze o gli oggetti, quando la notte gli uomini primitivi ricordavano le proprie avventure per comunicarle dovevano rendere penetrante l’espressione, intelligibile senza l’uso di esempi concreti, utilizzando solo immagini e forme pensiero.

Così è nato il grande miracolo della “comunicazione” ma il suo sviluppo non è ancora concluso…. Oggi, lasciati da parte penna e calamaio, libri e giornali, si comunica con internet, le parole forse son le stesse (anche se veramente si sta già utilizzando un nuovo slang) ma per far sì che i propri messaggi vengano recepiti nella giungla virtuale occorre sviluppare nuove capacità di attrazione, richiamando il lettore ad una attenzione inusitata. In questo campo nessuno è maestro, non vi sono università in grado di trasmettere questa nuova “arte” della comunicazione, i tempi sono stati troppo brevi ed oggi ognuno cerca di arrangiarsi come può. Alcuni lo fanno con lo spam, altri con i cookies, altri ancora sviluppano grafiche e impostazioni innovative, quasi tutti usano la molteplicità ed il cosiddetto metodo del “copia-taglia-incolla”….

Ma tutto ciò non è sufficiente, è evidente che nella giungla telematica se si vuole che il messaggio, il proprio richiamo, venga percepito non si possono usare solo le urla od una gestualità esagerata, occorre affinare ancora una volta il linguaggio e questa è la nuova rivoluzione lessicale alla quale siamo chiamati.

Dopo il cerchio attorno al fuoco (la prima socializzazione) siamo al cerchio allargato (in rete) davanti al computer… Eppure la necessità di ritrasmettere le nostre sensazioni, ricordi ed esperienze è ancora più forte. Quel che era la poesia, come massimo affinamento, ora è diventato “poetronica”….

E magari tutti presi da questa comunicazione “inscatolata” davanti al piccolo schermo omettiamo di parlare con il vicino, abbandoniamo il sugo sul fuoco a bruciacchiarsi, dimentichiamo di telefonare o scrivere una letterina d'amore alla nostra fidanzata....
(Ebbene sì, succede anche a me.. mea culpa mea culpa mea maxima culpa!)

Paolo D’Arpini

venerdì 14 agosto 2020

The meaning of Divya Diksha - Il significato di Divya Diksha


Baba Muktananda in Rome in 1970

My Master Baba Muktananda's Divya Diksha occurred on 15 August 1947 (received by His Guru Nityananda ). Obviously, even this year I will remember the event with a song dedicated to the Guru, Arati, which I will hold at midday in Treia, in the meditation room, and later  in the evening, Caterina and I, we will be in Macerata with some devoted friends, for a sharing of Prasad. And now a few words about the meaning of Divya Diksha (spiritual initiation) by recounting the experience I lived with my Master Baba Muktananda.

How could I describe the encounter I had with myself, how could I describe the I in front of the I? This recognition of the Self occurs as destined to be. For me it happened when I stood before my Guru Muktananda. But to define a "someone" Guru is an offense to the truth, since Guru is not simply a person but the Consciousness that animates and manifests each person. That same Consciousness that I am.

But before reaching this "experience" I would have to go a long way back in time, in telling clips and clips of my dream, of my identification with the spurious "I" that I thought I was for a long time. This metaphysical discourse is somewhat strange, there is no other than "I" and yet when we talk about "I" the mind automatically produces a subject that is prefigured as a user of every lived experience, it is an identity reflected in the mirror of consciousness, it is a mirror image that can never be the real "I" and yet it represents its characteristics ... like any mirror image ...

I leave aside any clumsy attempt to describe the indescribable and dwell on the referable aspect of that encounter with the Self, that moment of realization and of absolute freedom and presence that took place ... present now as then and as always will be ... .. But that wonderful "re-union" could only happen at the time established by fate, it could not happen for example in 1970 when Swami Muktananda visited Rome and stayed in a simple house on Via Trionfale with a simple family of any Italians, the family of Giacomo and Giovanna Pozzi. At that time I was living in Verona and I was still enjoying the absolute creativity of my little self, the imaginary Max Paolo D’Arpini. 

I had to take off those clothes by means of a backward journey, in the abandonment of identification, a journey that physically took me to cross all of equatorial Africa, until I lost all desire to be someone or something and finally delivered me in front of myself, and at the exact same moment in front of Swami Muktananda in Ganeshpuri. It happened  at the end of June 1973.  But how can something that always is and always will be  happen?

Paolo D’Arpini

Paolo D'Arpini: gennaio 2011
The author in the Temple of the Spirituality of Nature in Calcata

Connected  post:  

https://bioregionalismo.blogspot.com/2020/08/spiritual-awakening-and-self.html


Testo Italiano:

Il 15 agosto ricorre  Divya Diksha del mio Maestro Baba Muktananda (ricevuta da Nityananda il 15 agosto 1947). Ovviamente anche quest'anno ricorderò l’evento con una canto dedicato al Guru, l’Arati, che terrò verso mezzogiorno a Treia nella sala di meditazione, e  la sera verso le ore 19, Caterina ed io,  saremo a Macerata presso alcuni amici devoti, per una condivisione di Prasad. Ed ora alcune parole sul significato del Divya Diksha (iniziazione spirituale) raccontando l'esperienza da me vissuta con il mio Maestro Baba Muktananda. 

Come potrei raccontare l’incontro avuto con me stesso, come potrei descrivere l’io dinnanzi all’Io? Questo riconoscimento del Sé avviene come stabilito dal destino. Per me accadde allorché mi trovai dinnanzi al mio Guru Muktananda. Ma definire un “qualcuno” Guru è un’offesa alla verità, poiché Guru non è  semplicemente  una persona ma  la Coscienza che anima e manifesta ogni persona. Quella stessa Coscienza che io sono. 

Ma prima di giungere a questa “esperienza” dovrei fare molta strada indietro nel tempo, nel raccontare spezzoni e spezzoni del mio sogno, della mia identificazione con lo spurio “io” che ho creduto di essere per tanto tempo. Questo discorso metafisico è alquanto strano, non c’è altri che “Io” eppure quando si parla di “io” automaticamente la mente produce un soggetto che si prefigura come usufruitore di ogni esperienza vissuta, è un’identità riflessa nello specchio della coscienza, è un’immagine speculare che non potrà mai essere il vero “Io” eppure ne rappresenta le caratteristiche… come ogni immagine speculare…

Lascio da parte ogni tentativo goffo di descrivere l’indescrivibile e mi soffermo sull’aspetto riferibile di quell’incontro con il Sé, quel momento di realizzazione e di assoluta libertà e presenza che avvenne… presente ora come allora e come sempre sarà… Ma quella meravigliosa “ri-unione” non poteva avvenire che nel momento stabilito dal fato, non poteva succedere ad esempio nel 1970 allorché Swami Muktananda visitò Roma e soggiornò in una semplice casa di Via Trionfale presso una semplice famiglia di italiani qualsiasi, la famiglia di Giacomo e Giovanna Pozzi.

In quel tempo vivevo a Verona e  stavo ancora godendo dell’assoluta creatività del mio piccolo io, l’immaginario Max Paolo D’Arpini. Dovevo spogliarmi di quelle vesti per mezzo di un viaggio a ritroso, nell’abbandono dell’identificazione, un viaggio che fisicamente mi portò ad attraversare tutta l’Africa equatoriale, sino a perdere ogni voglia di essere qualcuno o qualcosa ed infine mi consegnò davanti a me stesso, ed allo stesso identico momento di fronte al  Swami Muktananda in Ganeshpuri. Accadde –ma come può accadere una cosa che sempre è e sempre sarà?-  alla fine di  giugno del 1973.


Paolo D’Arpini


Articolo collegato:   https://bioregionalismo.blogspot.com/2020/08/spiritual-awakening-and-self.html



mercoledì 12 agosto 2020

Spiritual awakening and Self-realization... - Il risveglio spirituale e la realizzazione del Sé


Spiritual Awakening in Recovery | Top of the World Ranch, Ft ...

Once we have obtained the spiritual awakening, and had an experience of the Self, what happens is that our spirit (or Consciousness) perceives the truth about its own being. This shining moment of enlightenment, if it happens in a mind totally purified from innate tendencies and regressed desires and fears, leads the ego back to the Self and to the overcoming of all dualism: "I am what I am and always have been and always will be" . This experience, if definitive, can be called “Realization” and we can have a concrete example of it by reading what happened to Ramana Maharshi, when he was permanently merged in the Self.

If the mind of the seeker - on the other hand - still retains layers of hidden ignorance, vasanas and unspoken samskaras, then with the Awakening a process of expulsion of these obscuring factors begins. We cannot know how they are embedded in our soul and how much it is necessary to dig into the unconscious to be able to bring them to the surface and then eliminate them, but rest assured that this happens spontaneously, following the "Grace received".

This process can be painful at times and may well be called "the dark night of the Soul". But if you do not lose confidence in yourself, in your Master, and persevere in the search with constancy, sincerity and honesty, then the process will be like any other "nuttata, which has as its past" ... and therefore it is not so serious. Love and devotion to the ideal offer great help.

 Identifying oneself with a specific shape name does not correspond absolutely to the truth and moreover if one identifies with the "person" one cannot help but assume its strengths and weaknesses, to welcome its nuances and spots, but  are we Harlequin or Pulcinella?

In truth "I" (as consciousness) I observe the character who can manifest himself only through my conscious observation. I don't judge him, I love him as I love anyone who comes into my conscious sphere.

The experience of the ultimate state, of consciousness free from identification, is exhibited in various spiritual schools such as: Satori, Holy Spirit, Samadhi, Shaktipat, etc. It is usually understood that this experience of "awakening" to one's nature is consequent to a particular condition of openness in which the "grace" of the Self (pure Awareness) can manifest itself and impart the knowledge of what we have always been and always will be.  Unfortunately, due to the accumulation of "vasana" mental tendencies, the lived experience does not always stabilize in permanent realization.

Therefore awakening does not correspond to realization (or only in rare cases of full spiritual maturity). And here we are faced with a paradox, on the one hand there is the unequivocal awareness of the ultimate state which can never be canceled again, on the other hand a partial obscuring of this truth following the residual activity of the vasanas that continue to operate in the mind of the seeker...

Knowledge once revealed takes time to stabilize. The Self is certainly within the direct experience of everyone, but not as one can imagine, it is simply what it is. This "experience" is called samadhi. But due to the fluctuation of the mind, knowledge takes practice to stabilize. So the seeker's job consists in eliminating the vasanas. A great help in this cleansing work - as Ramana Maharshi stated - results in being in proximity to a realized saint, so the vasanas cease to be active, the mind becomes quiet and samadhi occurs. In this way the seeker gets a correct experience in the presence of the teacher.

One practice to keep awareness fixed on the Self (Noumenon or real subject) is the questioning of "who am I?", And if thoughts arise during self-inquiry, one should ask "to whom do these thoughts arise?" . In this way it will be possible to remain as long as possible on the sense of presence, without giving an objective identification to this pure subjective identity.

To keep this experience stably, an effort is necessary and finally the seeker will know its true nature even in the midst of everyday life. this is the state that lies beyond our effort or lack of effort.

From here we understand the importance of "awakening" for which, once the "joy of the Self" has been tasted, the seeker cannot help but turn to it repeatedly trying to regain it. Once the joy of peace has been experienced, no one will want to turn to some other research.

Paolo D'Arpini

Dogmatismo religioso o spiritualità laica...? - Religious ...

Testo Italiano:

Una volta ottenuto il risveglio spirituale, ed avuta un'esperienza del Sé, quel che accade è che il nostro spirito (o Coscienza) percepisce la verità sul proprio essere. Questo fulgido momento d'illuminazione se avviene in una mente totalmente purificata dalle tendenze innate e dai desideri e paure regressi riconduce l'io al Sé ed al superamento di ogni dualismo: “Io sono quel che sono e che sempre sono stato e sempre sarò”. Questa esperienza se definitiva può essere chiamata “Realizzazione” e possiamo averne un esempio concreto leggendo quanto avvenne a Ramana Maharshi, nel momento in cui egli stabilmente si fuse nel Sé. 

Se la mente del cercatore -invece- conserva ancora strati di ignoranza nascosta, vasanas e samskaras inespresse, ecco che con il Risveglio inizia un processo di espulsione di questi fattori oscuranti. Non possiamo sapere come essi siano incistati nella nostra anima e quanto è necessario scavare nell'inconscio per poterli portare in superficie e quindi eliminarli, ma stia tranquillo che la cosa avviene spontaneamente, in seguito alla “Grazia ricevuta”. 

Questo processo può essere a volte doloroso e può ben essere chiamato “l'oscura notte dell'Anima”. Ma se non si perde la fiducia in se stessi, nel proprio Maestro, e si persevera nella ricerca con costanza, sincerità ed onestà, allora il processo sarà come qualsiasi altra “nuttata, che ha da passà”... e quindi non è poi così grave. L'amore e la devozione all'ideale offrono un grande aiuto..

 Identificarsi con uno specifico nome forma non corrisponde assolutamente al vero ed inoltre se ci si identifica con la “persona” non si può fare a meno di assumerne i pregi ed i difetti, di accogliere le sue sfumature e macchie, ma siamo noi Arlecchino o Pulcinella?

In verità “io” (in quanto coscienza) osservo il personaggio che solo attraverso la mia osservazione consapevole può manifestarsi. Non lo giudico, gli voglio bene come voglio bene a chiunque entri nella mia sfera cosciente.

L’esperienza dello stato ultimo, della coscienza libera da identificazione, è esposta in varie scuole spirituali come: Satori, Spirito Santo, Samadhi, Shaktipat, etc. Di solito si intende che questa esperienza di "risveglio" alla propria natura sia conseguente ad una particolare condizione di apertura in cui la “grazia” del Sé (la pura Consapevolezza) può manifestarsi ed impartire la conoscenza di quel che sempre siamo stati e sempre saremo. Purtroppo dovuto all’accumulo di tendenze mentali “vasana” non sempre l’esperienza vissuta si stabilizza in permanente realizzazione.

Il risveglio quindi non corrisponde alla realizzazione (oppure solo in rari casi di piena maturità spirituale). E qui ci troviamo di fronte ad un paradosso, da un lato c’è la consapevolezza inequivocabile dello stato ultimo che non può mai più essere cancellata, dall’altro un oscuramento parziale di tale verità in seguito all’attività residua delle vasana che continuano ad operare nella mente del cercatore…

La conoscenza una volta rivelata prende tempo per stabilizzarsi. Il Sé è certamente all’interno dell’esperienza diretta  di ognuno, ma non come uno può immaginare, è semplicemente quello che è. Questa “esperienza” è chiamata samadhi. Ma dovuto alla fluttuazione della mente, la conoscenza richiede pratica per stabilizzarsi.
Quindi il lavoro del cercatore consiste nell’eliminazione delle vasana. Un grande aiuto in questo opera di pulizia - come affermò Ramana Maharshi- risulta nello stare in prossimità di un santo realizzato, così le vasana cessano di essere attive, la mente diventa quieta e sopravviene il samadhi. In questo modo il cercatore ottiene una corretta esperienza alla presenza del maestro.

Una pratica per mantenere fissa la consapevolezza sul Sé (Noumeno o soggetto reale) è l'interrogarsi su "chi sono io?", e se dovessero sorgere pensieri, durante l'auto-indagine, bisognerebbe chiedersi "a chi sorgono questi pensieri?". In tal modo si potrà restare il più a lungo possibile sul senso di presenza, senza dare un'identificazione oggettiva a questa pura identità soggettiva.

Per mantenere stabilmente questa esperienza uno sforzo è necessario ed infine il cercatore conoscerà la sua vera natura anche nel mezzo della vita di tutti i giorni. questo è lo stato che sta oltre il nostro sforzo o la mancanza di sforzo.

Da qui si intuisce l'importanza del "risveglio" per cui, una volta assaggiata la “gioia del Sé”, il cercatore non potrà fare a meno di rivolgersi a questa ripetutamente cercando di riconquistarla. Una volta sperimentata la gioia della pace nessuno vorrà indirizzarsi verso qualche altra ricerca.


Paolo D'Arpini

domenica 9 agosto 2020

Man is the destroyer of life on planet Earth - L'uomo è il distruttore della vita sul pianeta Terra



The human species is among the animal families that has contributed most to creating deserts on earth. I am not speaking only of the current times, in which for speculative reasons we have reduced our planet to a huge dumpster full of poisons and waste: plastic, chemicals, manure, radioactivity, GMOs, etc. The vocation to destruction has distant roots, it begins to manifest itself with the end of the Neolithic and the start of the agricultural-pastoral system. 

With agriculture, forests began to be cut and the territory dried up with pastoralism. This is not a fairy tale it is the reality of the facts!

The Sahara desert and that of Arabia and several other deserts of the Middle East were created, in addition to the lack of rain (due to the separation of the rainforest), by the transhumant pastoral system that gradually caused the vegetation to die in the arc of about 10,000 years.



The breeding of herds, especially goats, protected by shepherds against natural predators and sent to graze wherever possible has favored desertification. The goats, in fact, eat everything they find up to the roots of the plants and climb up to saturate themselves even on the branches. Slowly the plants die and new ones are not born because they are made out as soon as they sprout.

Human interventions in an attempt to "fix" the presence of the animal world have become so heavy that they put human existence itself at risk. In fact, control over other species also involves man, who is not separated from the animal world.

The rules of life are very simple, each plant and animal species has a mutualistic interrelation with its habitat and with all the species that share it. Plants need animals for their reproduction and propagation, herbivores are controlled by carnivores and thus a balance is maintained between the environment and its inhabitants.

But where man intervenes immediately, this balance has been lost. We have seen this with desertification caused by an exaggerated increase in domestic farming and transhumance. This plus the hunting habit towards species considered harmful or - on the contrary - useful to the human economy have transformed the habitat so much as to make it unrecognizable...

All of this in the past happened almost imperceptibly, since the events described above lasted for long periods of time, centuries, if not millennia, and it was quite difficult for man to recognize the effects (related to his behavior).

The current situation is quite different. Today, human intervention has an almost immediate consequence and one cannot help but consider the causes - as well as the strictly interconnected effects - of the ongoing environmental changes. Where man intervenes immediately, nature and life recede.


Even where man tries to remedy the evils of his work, even there he makes worse troubles. We have seen this, for example, with the policy of artificial restocking of faunal species that have disappeared in a given bioregion and recovered in other places on the planet to be reintroduced there, such as the Caucasian wild boars.

This policy is indeed deleterious. The damage caused to the habitat by the introduction of non-native species is enormous. In fact, from time to time, with the excuse of overpopulation, hunting parties are invented for the containment of these species.

Nature, if left to itself, always finds a way to harmonize, creating a swing of presences between predated and predatory species... but where man intervenes chaos appears... But it is impossible for nature to be left to itself, man should disappear.

Paolo D’Arpini

Paolo D'Arpini: Diminuzione del numero dei parlamentari...? Voterò ...


Testo Italiano: 

La specie umana è fra le famiglie animali quella che maggiormente ha contribuito a creare deserti sulla terra. Non parlo soltanto dei tempi attuali, in cui per motivi speculativi abbiamo ridotto il nostro pianeta ad un immane mondezzaio pieno di veleni e rifiuti: plastica, prodotti chimici, deiezioni, radioattività, ogm, etc. La vocazione alla distruzione ha radici lontane, si comincia a manifestare con la fine del neolitico e l'avvio del sistema agricolo-pastorale. Con l'agricoltura si iniziò a tagliare le foreste e con la pastorizia si inaridì il territorio. Questa non è una favola è la realtà dei fatti!   
Il deserto del Sahara e quello d’Arabia e diversi altri deserti del Medio Oriente sono stati creati, oltre che dalla carenza di piogge (dovuta alla separazione della foresta pluviale), dal sistema pastorale transumante  che pian piano ha fatto morire  la vegetazione nell’arco di circa 10.000 anni.
L’allevamento di armenti, soprattutto capre, protetti dai pastori contro i naturali predatori e mandati a pascolare ovunque possibile ha favorito la desertificazione. Le capre, infatti, mangiano tutto quel che trovano sino ad arrivare alle radice delle piante e si arrampicano per satollarsi anche sui rami. Pian piano le piante muoiono e di nuove non ne nascono perché fatte fuori appena germogliano.
Gli interventi dell’uomo nel tentativo di “aggiustare” le presenze del mondo animale sono diventati talmente pesanti da mettere a rischio la stessa esistenza umana. Infatti il controllo sulle altre specie coinvolge anche l’uomo, che non è separato dal mondo animale.
Le regole della vita sono molto semplici, ogni specie sia vegetale che animale ha una interrelazione mutualistica con il suo habitat e con tutte le specie che lo condividono. Le piante hanno bisogno degli animali per la loro riproduzione e propagazione, gli erbivori sono controllati dai carnivori  e così  si mantiene un equilibrio fra ambiente e suoi abitanti.
Ma dove l’uomo è intervento immediatamente questo equilibrio è andato perso. Lo abbiamo visto con la desertificazione causate da un esagerato incremento dell’allevamento domestico e di transumanza. Questo più l’abitudine venatoria nei confronti di specie ritenute nocive o -al contrario- utili all’economia umana hanno trasformato talmente  l’habitat da renderlo irriconoscibile… 
Tutto ciò in passato avveniva in modo quasi impercettibile, poiché gli avvenimenti sopra descritti si protraevano per lunghi periodi di tempo, secoli, se non millenni, ed era alquanto difficile per l’uomo riconoscerne gli effetti (legati al suo comportamento).
Ben diversa è la situazione attuale. Oggi l’intervento umano ha una conseguenza presso che immediata e non si può far a meno di considerare le cause -come gli effetti strettamente interconnessi-  delle mutazioni ambientali in corso.  Dove l’uomo interviene immediatamente la natura e la vita recedono.
Persino ove l’uomo cerca di rimediare ai mali del suo operato anche lì combina guai peggiori. Lo abbiamo visto ad esempio con la politica dei ripopolamenti artificiali di specie faunistiche scomparse in una data bioregione  e recuperate in altri luoghi del pianeta per esservi reimmesse, come ad esempio i cinghiali caucasici. 
Questa politica  è invero deleteria. I danni causati all’habitat dall’introduzione di specie non autoctone sono enormi. Tant’è che di tanto in tanto, con la scusa del sovrappopolamento, ci si inventa partite di caccia per il contenimento di dette specie.
La natura, se lasciata a se stessa, trova sempre il modo di armonizzarsi, creando una altalena di presenze fra specie predate e specie predatorie.. ma dove interviene l’uomo appare il caos… 
Ma è impossibile che la natura sia lasciata a se stessa, dovrebbe scomparire l’uomo.
Paolo D’Arpini