lunedì 26 agosto 2024

Bioregionalismo e naturalismo - La Natura è la matrice universale...

 

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Ai primordi della cultura umana la differenza fra Natura e “divinità” era impercettibile, la speculazione filosofica non era arrivata a presupporre un creatore separato, in quanto autore della creazione. Infatti nella antica tradizione matristica e panteistica la Natura coincideva con la Madre Universale, la quale da se stessa ed in se stessa produce tutti i fenomeni, manifestando tutte le forme. In questa visione non vi è alcuna separazione o differenza fra la Matrice e le sue emanazioni, viventi o amorfe che siano. Animali, piante, montagne, corsi d’acqua, mari, cielo stellato, luna, esseri umani… tutto compartecipa ed è espressione dell’atto creativo, parte indivisibile di un Unicum. La creazione in questa ottica è vista come qualcosa di spontaneo e naturale, una ricorrenza ciclica che sorge dalla terra, sulla terra insiste ed alla terra ritorna, in un continuo ripetersi senza un “oltre”. Tutto è presente nel Tutto, nell’eterno qui ed ora. Questa beata visione non si è esaurita con il trascorrere delle generazioni, essa è durata a lungo, ed ancora permane nelle menti illuminate. Il suo procedere ellittico conserva il sapore dell’eternità.
Eppure qualcosa nel corso del tempo è cambiato, l’eterno è stato virtualizzato e trasferito in un ipotetico aldilà. Un aldilà per il quale occorre guadagnarsi il passaggio, pena l’estinzione o la dannazione.
La beatitudine dell’appartenere al Tutto si offuscò nel momento in cui l’uomo cominciò a separare se stesso dal Tutto, allorché in lui nacque il senso dell’io e del mio. Forse corrisponde al momento in cui egli scoprì la sua funzione “seminativa” nella riproduzione. Questo fatto lo rese arrogante, alimentò il concetto della sua “autorità”, nel senso che prese a considerarsi egli stesso “autore” individuale della vita. E per trasposizione virtuale immaginò un ipotetico dio creatore, a sua immagine e somiglianza. La Natura, in quanto femmina, divenne materia passiva, mentre il creatore, sia in veste di dio che di uomo, fu interpretato come “alito” fecondatore e creatore (afferma la bibbia). Avvenuta questa separazione ecco che nella religione apparve il senso del peccato, legato alla vergogna per la promiscuità ed alla opposizione verso la “materia” contrapposta all’astrazione “spirituale”, con il risultato di condurre l’uomo “religioso” a distanziarsi dalle cose del mondo, ivi compresa la sessualità.
Ma come è possibile separare la vita dalla vita? Come può sopravvivere un essere vivente senza cibo e senza calore? Non può…
Da ciò se ne deduce che, malgrado la caparbia autoaffermazione di un’entità spuria, definita “spirituale”, il processo di separazione dell’io dalla Natura non potrà mai avere compimento, resta solo una pia illusione dettata da una religione. Che prima divide e poi si arroga il diritto di “ri-unire” (religere) . La separazione fra spirito e materia, fra Natura e dio è una falsità, un’inversione nei valori naturali ed è causa di tristezza e di un insoddisfatto desiderio di compensazione.
Insomma si rinuncia alla tetta materna per attaccarsi al ciucciotto.
Migliaia di anni son trascorsi, varie civiltà sono sorte e crollate, diverse religioni teiste hanno pervicacemente tentato di separare l’uomo dalla Natura, inculcandogli l’idea del “peccato originale”, della necessità di pentirsi, di ricorrere ad un salvatore, ad un messia, di volta in volta diverso, poiché ogni messia che separa l’uomo dal Tutto non può durare, come non può durare un incubo. Perciò la religione che trascura i modi della vita, ovvero la sua capacità di perpetuarsi, non potrà mai avere una definitiva attuazione, resterà un ibrido intellettualismo malato e sofferente. E perciò l’affermazione del modello religioso patriarcale che conosciamo non potrà mai affermarsi, poiché vive di promesse immaginarie, di dogmi reiterati, di continue riaffermazioni di fede. In un certo senso succede così non solo per i teismi ma anche per la scienza e le sue leggi che non durano a lungo ma vengono continuamente sostitute da nuove e più perfezionate “scoperte”.
Natura naturans” e “Natura naturata”. Entrambe coesistono, sono intercambiabili a seconda delle situazioni e dei momenti, pur -a volte- in apparente conflitto.
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Ma torniamo alla religiosità ed all’erotismo. E scopriamo che in verità queste due proiezioni non possono essere disgiunte, come nel cervello non può essere disgiunta la funzionalità dell’emisfero destro dal sinistro, la ragione dall’intuizione, la fase logica da quella analogica, la sincronicità dalla causa/effetto. La comprensione non è mai “univoca” ma richiede un “abbraccio”, l’intelligenza è una visione avvolgente e compenetrante. Come avviene nel processo riproduttivo fra maschio e femmina.
Allora, in tempi in cui la storia non era stata ancora confermata come modello lineare di memoria, la donna e l’uomo, uniti nella consapevole reciproca appartenenza e partecipazione all’evento vitale, vissero la religiosità attraverso l’unione sessuale.
Non posso però narravi ora l’intero excursus, passando da un popolo ad un altro popolo, civiltà dopo civiltà. Non ne ho la forza, né il tempo e nemmeno la voglia. Non posso parlare della sacra prostituzione nei templi dedicati alla Dea, delle iniziazioni sessuali nelle comunità dell’Europa antica, delle tendenze promiscue e poliamorose, dei riti pagani della fertilità, del Cantico dei cantici o delle strofe volgari del Risus Paschalis….
Ma, almeno per cominciare, posso aprire una fessura, uno spiraglio minuto su alcuni aspetti dell’induismo, una religione che ha conservato a tutt’oggi molte forme di religiosità erotica. Gli episodi sono tanti, non basterebbe un’intera biblioteca a narrarli tutti. Mi limiterò quindi a descriverne alcune pagine, aperte quasi alla rinfusa. Voglio partire da un racconto mitologico in cui aneddoticamente si lascia intravvedere in che modo erotismo e religione abbiano trovato un punto d’incontro.
Si narra che in un tempo lontano in una foresta viveva una comunità di dotti rishi. Questi bramani era adepti in riti sacrificali, attraverso i quali avevano ottenuto grandi poteri psichici. Tutto il giorno essi offrivano sacrifici ed abluzioni agli dei ripetendo mantra vedici, mentre le loro mogli si occupavano delle faccende domestiche. I poteri occulti così ottenuti aveva fatto crescere la loro supponenza ed arroganza facendoli sentire superiori alla natura stessa. A quel punto il signore Shiva (spesso individuato con il nostro Dioniso), in qualità di compensatore e detentore dell’energia naturale, volle impartir loro un insegnamento. In compagnia di Vishnu, conservatore e rifugio di ogni creatura, che prese la forma di una irresistibile donna, Shiva apparve nella foresta in costume adamitico e con attributi sessuali notevoli bene in vista. Egli con la sua prestanza e fascino tentò e sconvolse le spose dei bramani che lo seguirono abbandonando i loro doveri familiari. Allo stesso tempo i bramani furono distratti dai loro riti dalla concupiscente Mohini (Vishnu), che con la sua andatura lasciva li aveva attirati a sé. Così la comunità dei rishi perse la sua determinazione nel perseguire “tapasya” a fini di potere. Ma ad un certo punto, sempre così va a finire, alcuni di quei sacerdoti si avvidero della “caduta nel peccato” e richiamarono all’ordine i colleghi, accusando Shiva di aver ordito un complotto ai loro danni. Essi decisero quindi di vendicarsi e avendo attizzato un grande fuoco sacrificale si posero attorno ad esso declamando mantra e formule magiche, e riuscirono così a materializzare una feroce e possente tigre che immediatamente fu scatenata contro Shiva. Ma egli, per nulla turbato, la uccise senza fatica con il suo tridente e della pelle ne fece una veste che pose attorno ai fianchi. I bramani inviperiti pomparono ancora più ghee (burro fuso) e mantra attorno al fuoco dal quale si levò un nugolo di serpenti velenosi che furono lanciati come frecce contro Shiva. Ma al contatto con il suo santo corpo i serpenti non lo scalfirono affatto, anzi benevolmente gli leccarono la pelle e si disposero come ornamenti e come cinture sul suo collo e sulla veste. I bramani sentendosi umiliati nel loro orgoglio decisero di concentrare tutte le loro facoltà ed evocarono il demone del loro stesso ego, che sorse dal fuoco nella forma di un mostruoso nano nero, dotato di forza diabolica. L’immondo essere si avventò contro Shiva con l’intento di distruggerlo ma egli con un semplice gesto del piede lo atterrò e lo tenne immobile per terra. A quel punto i bramani capirono di aver a che fare con un potere più grande e sentendosi confusi, con l’ego piegato dalla grazia di Shiva, si gettarono ai suoi piedi e l’implorarono di accettarli come suoi devoti e parte di sé. E così, da allora, l’erotismo entrò a far parte integrante della religione.
Infatti bisogna tener presente che l’induismo non separa spirito e materia, che sono ritenuti indivisibili, e chiede ai praticanti che tutti i precetti siano presi seriamente anche quando si tratta di rapporti sessuali, come descritti nel Tantra. Così vediamo che alcune celebrazioni si risolvono in orge vere e proprie in cui vengono cantate canzoni ed effettuate danze di grande suggestione erotica.
Nel culto shivaita ed in quello della Dea Parvati, sua sposa, esistono numerosi racconti a sfondo religioso (purana) che narrano le loro avventure e piaceri sessuali, con descrizioni da far invidia ai manuali dell’amore (kamasutra). Tra l’altro nell’iconografia classica Shiva è raffigurato con una immagine inequivocabile. Trattasi del Linga-Yoni, una struttura in pietra, od altri materiali, che raffigura un fallo eretto fissato su una piattaforma che rappresenta la vagina della sua sposa Parvati. L’adorazione di questo simbolo è considerata una cosa normalissima. Anche le giovani ragazze venerano Shiva in quanto Linga. Egli rappresenta il maschio ideale, amante ardente ma tenero e premuroso verso la sua sposa, alla quale impartisce anche lezioni di religione, trattandola alla pari.
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Questa visione non è peculiare del solo shivaismo, è noto che nell’induismo sono contenuti molti elementi erotici. Anche nel Rig Veda vengono descritti particolari molto crudi. Ma è soprattutto nel culto tantrico della Dea Madre Kali o Durga che le relazioni sessuali fra uomini e donne son diventate parte integrante del rituale. La descrizione particolareggiata dei suoi rapporti amorosi avviene pure in alcuni purana dedicati a Krishna. Tra l’altra parecchie figure erotiche, altamente espressive, appaiono in numerosi templi. Queste sculture debbono essere considerate esattamente per quello che sono . Gli antichi indù, infatti, non avevano bisogno di ricorrere a sotterfugi. A dimostrare che l’adorazione della divinità non viene mai disgiunta da quelle che sono le forme normali della vita, in un qualsiasi tempio si seguiva (ed in parte ancora si segue) una routine giornaliera che molto somiglia alla routine di un monarca. La mattina bagno rituale, offerte di cibo, ricevimento dei devoti, e la sera intrattenimento con musica e danze eseguite da “etere” specializzate, chiamate devadasi, che all’occorrenza soddisfacevano anche sessualmente i devoti, come atto traslato dal dio.
Gli antichi poeti e narratori epici non hanno mai provato alcun imbarazzo nel combinare le descrizione erotiche con gli insegnamenti religiosi. In una iscrizione apposta in un tempio risalente al IV secolo d.C. Si dice che il tempio era stato costruito “..nella stagione in cui i giovani, ubbidendo al desiderio erotico, abbracciano le prosperose, dritte e lunghe cosce, i seni ed il ventre, delle loro amanti e non si curano del freddo e del gelo..” (L’Induismo – Nirad Caudhuri)
Forse questa propensione alla sessualità, come parte del rituale religioso, trova una sua esasperazione in una aspetto ossessivo del tantrismo definito della via sinistra, il cosiddetto Vamachara, che consiste nell’indulgere ritualisticamente ai 5 M., ovvero i Pancha Makara, e precisamente: madya (alcol), mamsa (carne), matsya (pesce), mudra (gesti con le mani) e maithun (coito). Ma basti sapere che gli stessi indù vedono di mal occhio queste attitudini combinate, tant’è che i praticanti, ipocritamente, fanno di tutto per nascondere le loro pratiche.
Alcuni studiosi si interrogano sulle origini dell’erotismo tantrico nell’induismo. Talvolta si vuole far risalire questa tendenza ai costumi libertini importati dai greci venuti al seguito di Alessandro Magno. In diverse parti tra l’attuale Afganistan e Pakistan sono state rinvenute antiche statue raffiguranti scene erotiche, come il ratto di Dafne, gli amplessi di Leda con il cigno, nudi di Venere, etc. ma questa opinione convince poco anche perché lo stesso Alessandro restò meravigliato da alcune abitudini osservate negli yogi erranti da lui incontrati in India. C’è poi l’ipotesi di una influenza taoista ma anche questa è difficilmente accettabile considerando che i taoisti avevano quattro norme per i rapporti sessuali: massimo contatto, minima emissione di seme, cambiare la donna di frequente, rapporto con vergini. Queste norme avevano una loro logica, infatti se l’uomo doveva acquistare vitalità nel rapporto sessuale, a discapito della donna, l’avere rapporti con donne esperte o con donne con le quali si era creata una familiarità, portava ad un lasciarsi andare che non era consono ai dettami. Essi dicevano: “Avvertendo prossimo l’orgasmo frenatevi. Risparmiate il vostro seme ed allungherete la vostra vita”. Ma questa attitudine non è certa consona agli indù, per i quali abbandonarsi a una donna durante il rapporto sessuale rappresenta il massimo della felicità. E dopo tutto gli indù sono indoeuropei e si rifiutano di ridurre la donna al ruolo di schiava sessuale, come spesso avviene sia in Cina che presso tutti i popoli semitici.

Paolo D'Arpini

lunedì 19 agosto 2024

The Bhagavad Gita in the Lay Spiritual View - La Bhagavad Gita nella visione spirituale laica



“Considering your dharma, you should not waver. For a warrior, there is nothing better than fighting evil. The warrior who faces such a war should be happy, Arjuna, for it presents itself as an open gate to heaven. But if you do not participate in this battle against evil, you will suffer disgrace, violating your dharma and your honor.” (Bhagavad Gita II, 31-33)

It is often asked whether and how the teaching of Advaita (non-dual), the spearhead of Indian philosophy, can be of advantage, or simply received by Western minds that are extremely speculative and devoted to dualistic empiricism. In fact, only some seekers of truth, who sanctify their existence in search of the Self, are truly interested in the Knowledge and Awareness of the unity and inseparability of life, manifested in its single parts (individuals) as in a sort of hologram that repeats in each of its fractions the knowledge of the whole.

Yet in the Hindu tradition there is a scripture of non-dualistic matrix that seeks to integrate a teaching of
dharmic implementation (carrying out one's duties in harmony between innate propensities and the evolutionary drive) with the theory of the Absolute that contains everything and in which everything manifests itself by its spontaneous emanation. This text is the Bhagavad Gita, the most spiritual part of the epic poem the Mahabharata.

In the Bhagavad Gita it is equally stated that "All is One" and that the Atman (the Absolute Self) is already perfect in itself and is present, as an intimate nature, in each of us, but at the same time advice (or instructions) is given on how to realize this truth. In a certain sense in the text the sage Krishna,
metaphorically addressing Arjuna, his disciple, incites him to act, as if the small self (ego), which he recognizes as his self, were real. At the same time he instructs him not to consider the advantages or disadvantages of his actions as his own but as a simple consequence of a dharmic fulfillment.

This inner attitude of acting with "detachment" is also considered in the Buddhist doctrine of anatman, according to which man is devoid of any "I" and even of the Self, but it warns the seeker about such teachings that can, if disseminated indiscriminately and interpreted inappropriately, produce decidedly deleterious results. Nagarjuna himself, a great Buddhist logician and founder of Vacuism or the Middle Way (Madhyamaka), warns: "Emptiness, misunderstood, ruins the man of short-sightedness, just like a snake badly grasped or a magic formula badly applied". For this reason, Krishna's teaching contains apparently conflicting indications, sometimes the Absolute is indicated as the only reality, other times it is urged to carefully consider the conveniences and opportunities of dharmic action.

Perhaps this swing between freedom and justice is what is really necessary for the Western mentality, whose direct proceeding in a straight line, essentially justified by contingent and utilitarian reasons (also defined as scientific to give them a complete sense) has made individuals lose the capacity for
personal discernment and discrimination.

But truth is not something that can be transmitted as a common knowledge of external things, as a process. Truth is the quality of Being and can only be experienced directly and not told.

The great mysteries based on silence are not profaned with impunity. Approaching them lightly or believing that they can be transmitted without the necessary qualifications exposes one to serious risks: first of all, madness and loss of orientation. The language commonly used (vaikhari) possesses only a quarter of the power of the word; the Vedic rishis maintained that it cannot describe the trace left by a bird in the air. Hence the need to perceive one's true Essence through empathic communion with a true Master who has realized the Truth in Himself.

From this it can be deduced that even the most refined scripture, such as the Bhagavad Gita (not to mention inferior scriptures such as the Bible, the Gospels or the Koran) cannot transmit Knowledge,
it can only awaken an interest in research on the part of the reader genuinely interested in the Truth.

This is totally contrary to the dictates of religions that are based on the "book", the so-called "revealed" dogmatic texts that lead to the exasperation of the conflict between man and nature of Judeo-Christian origin, to the nihilism and materialism implicit in a certain ritualistic Buddhism and to the dualism disguised as non-dualism arising from the misunderstanding of the advaita doctrine in a certain new age – which considers the phenomenal world a sort of
appearance that is neither real nor unreal (maya). These obscurantist positions have favored the development of pernicious forms of scientism that reduce the person to a mere biological mechanism.

And it is in the Bhagavad Gita that it is possible to find some very explanatory sentences on the subject, that is, on the meaning of acting in the world and the formation of individual karma, which obviously must be read with the understanding that even such teachings are an ignorance (disguised as knowledge) to erase other ignorance
(which we call empirical knowledge). Because... spirituality is something that concerns the interiority of the individual and cannot be learned from any book. And this is exactly what we Westerners would need, imbued as we are with scientistic or religious dogmatism.

Paolo D'Arpini



Testo Italiano:

“Tenendo conto del tuo dharma, non devi tentennare. Per un guerriero,
non c’è niente di meglio che combattere il male. Il guerriero che
affronta una guerra siffatta dovrebbe essere contento, Arjuna, perché
essa si presenta come un cancello aperto per il cielo. Ma se non
partecipi a questa battaglia contro il male, subirai l’onta, violando
il tuo dharma e il tuo onore.” (Bhagavad Gita II, 31-33)

Spesso ci si chiede se e come l'insegnamento advaita (non-duale),
punta di diamante della filosofia indiana, possa essere di vantaggio,
o semplicemente recepito dalle menti occidentali estremamente
speculative e dedite all'empirismo dualistico.  In effetti solo alcuni
cercatori di verità, che santificano la loro esistenza alla ricerca di
Sé,  sono veramente interessati alla Conoscenza ed alla Consapevolezza
della unitarietà e inscindibilità della vita, manifestata nelle sue
singole parti (individui) come in una sorta di ologramma che ripete in
ogni sua frazione la conoscenza dell'intero.

Eppure nella tradizione induista esiste una scrittura di matrice
non-dualistica che cerca di integrare un insegnamento di attuazione
dharmica (espletamento delle proprie mansioni in armonia tra le
propensioni innate e la spinta evolutiva) con la teoria dell'Assoluto
che tutto contiene ed in cui tutto si manifesta per sua spontanea
emanazione. Questo testo è la Bhagavad Gita, la parte più spirituale
del poema epico il  Mahabharata.

Nella Bhagavad Gita viene affermato egualmente che "Tutto è Uno" e che
l'Atman (L'IO Assoluto) è già perfetto in se stesso ed è presente,
come intima natura, in ognuno di noi, ma allo stesso tempo vengono
impartiti dei consigli (od istruzioni) sul come realizzare questa
verità. In un certo senso nel testo  il saggio Krishna rivolgendosi
metaforicamente ad Arjuna,  il suo discepolo, lo incita ad agire, come
se il piccolo io (ego), che egli riconosce come il suo sé, fosse
reale. Allo stesso tempo lo istruisce a non considerare come propri i
vantaggi o gli svantaggi del suo agire ma come semplice conseguenza di
un espletamento dharmico.

Questo atteggiamento interiore di agire con  "distacco" è considerato
anche  nella dottrina buddhista dell’anatman, secondo la quale l’uomo
è privo di ogni “io” e persino del Sé,  mettendo però in guardia il
cercatore su tali  insegnamenti che possono, se divulgati
indiscriminatamente e interpretati in modo non appropriato, produrre
risultati decisamente deleteri. Nagarjuna stesso, grande logico
buddhista e fondatore del Vacuismo o Via di Mezzo (Madhyamaka),
avverte: «La vacuità, male intesa, manda in rovina l’uomo di corto
vedere, così come il serpente male afferrato o una formula magica male
applicata».

Per questo, l'insegnamento di Krishna contiene indicazioni
apparentemente contrastanti, a volte viene indicato l'Assoluto come
unica realtà, tal altra si incita a considerare accuratamente le
convenienze e le opportunità dell'agire dharmico.


Forse questo altalenare fra la libertà e la giustizia è ciò che
veramente è necessario alla mentalità occidentale, il cui procedere
diretto  in una linea retta, essenzialmente giustificato da ragioni
contingenti ed utilitaristiche (definite anche scientifiche per dare
loro un senso compiuto) ha fatto perdere agli individui la capacità di
personale discernimento e discriminazione.

Ma la verità non è qualcosa che può essere trasmessa come una comune
conoscenza delle cose esteriori, come un processo. La verità è la
qualità dell'Essere e può essere sperimentata solo  direttamente e non
raccontata.

I grandi misteri imperniati sul silenzio non si profanano impunemente.
Accostarsi ad essi con leggerezza o credere di poterli trasmettere
senza le dovute qualificazioni espone a gravi rischi: in primis la
follia e la perdita dell’orientamento. Il linguaggio comunemente usato
(vaikhari) possiede solo un quarto del potere della parola; i rishi
vedici sostenevano che esso non può descrivere la traccia lasciata da
un uccello nell’aria. Da ciò la necessità di percepire la propria vera
Essenza attraverso la comunione empatica con un vero Maestro che ha
realizzato in Sé la Verità.

Da ciò se ne deduce che anche la più raffinata scrittura, come può
esserlo la Bhagavad Gita (per non parlare di scritture inferiori come
la bibbia, i vangeli od il corano) non può trasmettere la Conoscenza,
può solo risvegliare un interesse verso la ricerca da parte del
lettore genuinamente interessato alla Verità.

Cosa questa  totalmente contraria ai dettami  delle religioni che si
basano sul "libro", i cosiddetti testi  dogmatici "rivelati" che
portano all’esasperazione del conflitto tra uomo e natura di matrice
ebraico-cristiana, al nichilismo e materialismo impliciti in un certo
buddhismo ritualistico e al dualismo camuffato da non-dualismo
scaturente dalla cattiva comprensione della dottrina advaita in certa
new age – che ritiene il mondo fenomenico una sorta di apparenza né
reale, né irreale (maya). Queste posizioni oscurantiste  hanno
favorito lo sviluppo di forme perniciose di scientismo riducenti la
persona ad un mero meccanismo biologico.

Ed  è nella Bhagavad Gita che è possibile trovare alcune frasi molto
esplicative sull’argomento, ovvero sul significato dell’agire nel
mondo e della formazione del karma individuale, le quali  ovviamente
vanno lette nella comprensione che anche tali insegnamenti sono
un’ignoranza (mascherata da conoscenza) per cancellare altra ignoranza
(che chiamiamo conoscenza empirica). Poiché…la spiritualità è qualcosa
che riguarda l’interiorità dell’individuo e non può essere appresa da
un qualsiasi libro. E questo è esattamente ciò di cui noi occidentali
avremmo bisogno, impregnati come siamo di dogmatismo scientista o
religioso.


Paolo D'Arpini



sabato 17 agosto 2024

Considerations on peaceful bioregional coexistence... - Considerazioni sulla coesistenza pacifica bioregionale...

 


Dear friends of the Italian Bioregional Network, we are still entangled in an internal diatribe on some divisive issues. Maybe we start from fanciful arguments, such as the development of the attack on the Twin Towers..., to then get down to ways of life: return to live in the countryside or stay in the city? Become vegan or adapt to a frugivorous diet? Retire into a hermitage or stay in society? Use modern technology to communicate or limit yourself to notes? Hope for a return to primitivist survival or seek balance in today's society? Etc. etc.

But -in my opinion- these doubts about alternatives to life are only a corollary of the different experiences lived by each of us. In bioregionalism, as well as in deep ecology or secular spirituality, there are no sacred books or dogmas to refer to, our journey proceeds without maps, we navigate by sight (as they say in sailors' jargon), the important thing is discrimination and detachment based on the recognition of common belonging.

There is an old adage that says "Don't put your finger between husband and wife", but this is not a case of a fight between two spouses, it is much worse and yet much better. It all depends on the circumstances. Because these are what qualify existence on the basis of a "choice" that can never be definitive. For example, we cannot consider a priori indispensable the adhesion to a specific pacifist, environmentalist political movement, which, nominally, is trying with little force to counter a very powerful mechanism such as that of profit and war interests (which we all know are preponderant and condition every policy).

At the same time, if we let ourselves be carried away by ideology, we remain entangled in a dispute based on conjectures and opinions relating to facts on which we cannot intervene or establish. I would not like "crimes of opinion" to enter our assembly. It often happens, in small groups, that when we cannot intervene directly to change the dramatic course of things and situations, in which we objectively find ourselves, then we argue about "possible solutions or past situations", in alternatives that are in any case not feasible or verifiable.

We must be firm in our thoughts and determination to pursue the common cause but light in supporting our point of view on topics over which we have no real control or whose truthfulness or justice we cannot actually establish.

If our "battle" for ecological survival and coexistence can have any hope of success, it is above all in the unquestioned adherence to the "common good" and in the continuation of the path begun together and continued together. Alchemy succeeds when, even though there are elements that do not coincide with each other directly, they can be made to coincide in an indirect and kinetic way. For this reason, the alchemical elements are always three... for a search for balance between the components, to prevent the opposition between the two from leading to the deflagration of what has just been aggregated. I thank you for the patience shown so far... and good continuation of profitable "work" to all of us...

Paolo D'arpini - Italian Bioregional Network




Testo Italiano:

Care, cari, amiche ed amici della Rete Bioregionale Italiana,  siamo ancora impelagati in una diatriba interna su alcuni temi divisivi.  Magari si parte da argomenti fantasiosi, come lo  svolgimento dell'attentato alle Torri Gemelle..., per poi scendere ai modi di vita: tornare a vivere in campagna o restare in città? Diventare vegani o adattarsi ad una dieta frugivora?  Ritirarsi in eremitaggio o restare nella società? Utilizzare la tecnologia moderna per comunicare o limitarsi ai pizzini? Auspicare un ritorno alla sopravvivenza primitivista o cercare un equilibrio nella società attuale? Ecc. ecc.  

Ma -secondo me- questi dubbi sulle alternative di vita sono solo un corollario delle diverse esperienze da ognuno di noi vissute.  Nel bioregionalismo, come pure nell'ecologia profonda o nella spiritualità laica, non ci sono libri sacri  ne dogmi ai quali far riferimento, il nostro viaggio procede senza mappe,  navighiamo a vista (si dice in gergo marinaro), l'importante è la discriminazione ed il distacco basati sul riconoscimento della comune appartenenza.  

C'è un vecchio adagio che dice "Fra moglie e marito non mettere il dito", ma questo non è un caso di lite fra due coniugi, è molto peggio eppure molto meglio. Tutto dipende dalle circostanze.  Perché sono queste che  qualificano  l'esistenza  sulla base di una "scelta" che non può comunque  mai essere definitiva.  Ad esempio non possiamo considerare a priori indispensabile l'adesione  ad uno specifico  movimento politico  pacifista, ambientalista,  che, nominalmente,  sta cercando con poche forze di contrastare un meccanismo potentissimo com'è quello del guadagno  e degli interessi bellici (che tutti sappiamo preponderanti e condizionanti ogni politica).

Allo stesso tempo, se ci lasciamo trascinare dall'ideologia,  restiamo impigliati  in una  diatriba basata su congetture e opinioni relative a fatti sui quali non possiamo comunque intervenire o stabilire. Non vorrei che anche i "reati di opinione" entrassero nel nostro consesso. Spesso succede, in piccoli gruppi, che quando non si può intervenire direttamente per cambiare il corso drammatico delle cose e delle situazioni, in cui oggettivamente ci si trova, allora si litighi sulle "possibili soluzioni o situazioni pregresse", in alternative comunque non attuabili o appurabili. 

Bisogna essere saldi nel pensiero e nella determinazione a perseguire la causa comune ma leggeri nel sostenere il proprio punto di vista su argomenti sui quali non abbiamo un reale controllo o dei quali non possiamo effettivamente stabilire la veridicità o la giustizia.

Se la nostra "battaglia"  per la sopravvivenza e coesistenza ecologica   può avere qualche speranza di riuscita è soprattutto nell'adesione indiscussa al "bene comune" e nella prosecuzione del percorso iniziato assieme ed assieme proseguito. L'alchimia riesce quando pur essendoci elementi che non collimano fra loro in modo diretto si riesce a farli collimare in modo indiretto e cinetico. Per questo gli elementi alchemici sono sempre tre... per una ricerca di equilibrio fra le componenti, per evitare che l'opposizione fra i due conduca alla deflagrazione di quel che è appena aggregato. Vi ringrazio per la pazienza sin qui dimostrata... e buona continuazione di proficuo "lavoro" a noi tutti...

Paolo D'arpini - Rete Bioregionale Italiana


martedì 13 agosto 2024

The difference between experimenting and learning... - La differenza tra sperimentare ed apprendere...



There is a substantial difference in the inner attitude if we believe we have chosen to carry out a certain action (or course of actions) or if we simply feel we are facing contingencies (that is, if we respond to the stimulus of ongoing events). In the first case we feel responsible and have precise expectations regarding the results of our actions, in the second we know that our energy moves in harmony with the conditions in which we find ourselves and we do not calculate that we have to fulfill a specific purpose.

It is evident that in the first case we experience a sense of constraint, disappointment or hope, while in the second our behavior is very similar to a child's game. We know that detachment and inner peace are an important factor for success, so much so that when it comes to passing an exam we do everything to feel relaxed, even if - in truth - the effort to relax itself does not produce the desired effect... And yet, in the world we talk about "success" in very different terms and we always try to emphasize our "personal effort".

But let's go back to consider the first case, in which we define our actions as a "free choice", acting like bulldozers and following precise self-imposed or suffered rules, stating "this is our decision" and following it with blind faith. Maybe we are not aware that in the second case we could easily float - or swim - following the current and that our will would spontaneously correspond to our innate disposition.

Now we see that the results obtained in the first case are for us the fruit of worry and discouragement while in the second case, sailing by sight, every result is a discovery, every landing an enrichment. But – strangely enough – we hear people say in the world "…that is a successful, self-made man who fought tooth and nail…" and on the other hand "…that person is a simpleton who lives in blissful innocence, without interests and doesn't even know what is good and what is bad…".

And at this point I would like to ask you, weren't Adam and Eve expelled from the earthly paradise precisely for having tasted the fruit of good and evil? And yet, of all of Genesis, this, which seems to me to be the most significant passage, is often described as a fable… in reality it is an allegory of the exit from the harmony of primordial unity and the entrance into the hell of difference, dualism and separation.

Luckily we don't have to wait long (not many... and not even a lifetime, just a moment) to understand the trick of illusion, of dual egoic projection, since unity in consciousness has never failed, it is right here and now... and not then or tomorrow... Heaven and hell are only paradigms of the mind, in becoming.

Eric Fromm asked himself: "to be or to have?"

Paolo D'Arpini - spiritolaico@gmail.com





Testo Italiano:

C’è una sostanziale differenza, nell’atteggiamento interiore, se noi crediamo di aver scelto il compimento di una determinata azione (o corso di azioni) oppure se noi semplicemente sentiamo di star affrontando delle contingenze (se rispondiamo cioè allo stimolo degli eventi in corso). Nel primo caso ci sentiamo responsabili ed abbiamo precise aspettative verso i risultati del nostro agire, nel secondo sappiamo che la nostra energia si muove in sintonia con le condizioni in cui ci troviamo e non calcoliamo di dover adempiere ad un preciso fine.

E’ evidente che nel primo caso sperimentiamo un senso di costrizione, delusione o speranza, mentre nel secondo il nostro comportamento molto somiglia ad un gioco infantile. Sappiamo bene che il distacco e la quiete interiore sono un fattore importante per la riuscita, tant’è che al momento di superare un esame facciamo di tutto per sentirci rilassati, anche se –in verità- lo sforzo stesso di rilassarci non produce l’effetto desiderato…..Eppure, nel mondo parliamo di "riuscita" in ben altri termini e cerchiamo sempre di porre l’accento sul nostro "sforzo personale".

Ma torniamo a considerare il primo caso, in cui definiamo il nostro agire una "libera scelta", agendo come bulldozers e seguendo regole precise auto-imposte o subite, affermando "questa è la nostra decisione" e seguendola con fede cieca. Magari non siamo consapevoli che nel secondo caso potremmo facilmente galleggiare -o nuotare- seguendo la corrente e che la nostra volontà corrisponderebbe spontaneamente alla nostra disposizione innata.

Vediamo ora che i risultati ottenuti nel primo caso sono per noi frutto di preoccupazione e sconforto mentre nel secondo caso, navigando a vista, ogni risultato è una scoperta, ogni approdo un arricchimento. Ma –stranezza del caso- sentiamo affermare nel mondo "…quello è un uomo tutto d’un pezzo e di successo che si è fatto da sé lottando con le unghie e coi denti…" e per contro "…quella persona è un sempliciotto che vive in beata innocenza, senza interessi e non sa nemmeno cosa è bene e cosa è male…".

Ed a questo punto vorrei chiedervi, non furono cacciati Adamo ed Eva dal paradiso terrestre proprio per aver assaggiato il frutto del bene e del male? Eppure di tutta la Genesi questo, che mi sembra il passaggio più significativo, viene spesso descritto come una favola… in realtà è un’allegoria dell’uscita dall’armonia dell’unità primigenia e l’entrata nell’inferno della differenza, del dualismo e della separazione.

Per fortuna non dobbiamo aspettare molto (né tante .. e neppure una vita, basta un momento) per capire il trucco dell’illusione, della proiezione egoica duale, giacché l’unità nella coscienza non è mai venuta meno, è proprio qui ed ora… e non allora o domani… Paradiso ed inferno son solo paradigmi della mente, nel divenire.

Si chiedeva Eric Fromm: "essere o avere?"

Paolo D’Arpini - spiritolaico@gmail.com




lunedì 12 agosto 2024

Diet and spiritual research... - Dieta alimentare e ricerca spirituale...

 


The sage Ramana Maharshi, when asked what was the simplest way to "achieve" Self-awareness (in the sense of self-realization), recommended self-investigation, through questioning "who am I". And if someone insisted on having external norms of behavior then he recommended eating only "sattvic" food and in moderate quantities.

"Sattvic" food is in fact the so-called vegetarian diet, the one closest to man's natural diet. Man was born a frugivore, his anatomical conformation is similar to that of other frugivores: pigs, anthropoid monkeys, etc. These animals, as it should be for man, feed essentially on seeds, vegetable proteins, vegetables, fruit, tubers, breast milk, integrating everything - from time to time - with some other product of animal origin, such as the milk of other mammals, small quantities of honey, eggs and the like. Exceptionally and for integrative purposes they also use moderate quantities of fish or meat. Obviously, in the “satvic” diet, recommended to spiritual researchers, meat is not included, since the corpse, being a putrefying organic compound, is considered a “tamasic” (darkening) food for the mind. Among other things, animals are considered to be equipped with a “soul” and therefore seen as spiritual beings similar to humans. Eating them is therefore considered a form of “cannibalism”.

The philosophy of the Vedas – writes Steven Rosen in his enlightening book Vegetarianism and the World Religions – fully recognizes the ability of animals to reach states of elevated spirituality. It is a religious tradition that not only promotes vegetarianism, but also the spiritual equality of all living beings. Vegetarianism is in fact nothing more than the confirmation of this awareness: all living beings are spiritually equal. Incidentally, Hinduism also gives other reasons why it is necessary to abstain from eating dead bodies because in the act of eating other people's flesh, a karmic bond with violence and death is created.

Although there are indications of bloody sacrifices to be performed once or twice a year, even the Koran extols the compassion and mercy of Allah — called al-Raham, or "the infinitely merciful" — towards all beings created by him, without exception. The prophet Muhammad himself, who was supposedly a vegetarian and loved animals, said: "He who is good to God's creatures is good to himself."

As far as Judaism is concerned, in Genesis the diet prescribed for man is clearly vegetarian: "Behold, I have given you every plant yielding seed, which is on the face of all the earth, and every tree in which is fruit yielding seed; they shall be your food" (1:29). And again in Genesis we read: "You shall not eat flesh, with its life, which is the blood." And in fact, according to biblical legends, the people of Israel remained vegetarian for ten generations, from Adam to Noah. Only after the universal flood had destroyed all vegetation, it is said that God gave "his" people temporary permission to eat meat. Then, to re-establish a vegetarian diet, when the Israelites left Egypt, God made manna fall, a vegetable food suitable for nourishing them during their arduous journey. But, because the Israelites continued to insistently ask for meat, God granted it to them, but with a fatal plague that struck all who ate it.

As for the New Testament, and therefore Christianity, the teaching of Jesus (born of Essene origin, a sect that practiced vegetarianism) has been so censored in the numerous translations and revisions of the Gospels that traces of his compassion and complete love for all living creatures have almost disappeared, which were also expressed in not eating meat of any kind, in harmony with the tradition of the Essenes. In a "Gospel according to John" handed down by the Essenes and the Christian Churches of the East but rejected by the Catholic Church, absolute non-violence towards animals is taught and it is explicitly forbidden to eat meat: "Eat everything that is on the table of God: the fruit of the trees, the grains and the herbs of the fields, the milk of the animals and the honey of the bees. Every other food is the work of Satan and leads to sin, disease and death. 

The first Christians were vegetarians. And so were the true Fathers of the Church, such as St. John Chrysostom, St. Jerome, Tertullian, St. Benedict, Clement, Eusebius, Pliny and many others. But when Christianity wanted to become the state religion of the Roman Empire, during the Council of Nicaea the original documents were radically altered. The "correctors" appointed by the ecclesiastical authorities eliminated from the Gospels any reference to not eating meat: they translated the original Greek term "food" with the term "meat" nineteen times and chose the version "of the loaves and fishes" to that, contemporary with Christ, of the miracle of the "multiplication of the loaves and fruit". Nevertheless, even later some Christian saints were vegetarians. Just think of the most famous of all, Saint Francis, who, in his love for all living creatures, nourished himself exclusively with bread, cheese, vegetables and spring water. 

The compassion that is the basis of every “faith” must be sought internally, and eating meat, said Leo Tolstoy, “is immoral because it presupposes an action contrary to moral sentiment, that of killing. By killing, man erases in himself the highest spiritual capacities, love and compassion for other creatures.” So, what is the point of justifying or preferring one religion to another? It is the people who make the difference! They are all those “compassionate” men and women who do not limit themselves to external rites but who have compassion for themselves and for all other creatures. 

In short, to recap, Hinduism, Judaism, Islam and Christianity contain the same underlying message of compassion and nonviolence, I also remember the words of the Buddha in the Dhammapada: "In the future, some fools will argue that I have given permission to eat meat, and that I myself have eaten it, but I have not allowed anyone to eat meat, I will not allow it now, I will not allow it in any form, in any way and in any place".

Paolo D'Arpini - spiritolaico@gmail.com




Testo Italiano: 

Il saggio  Ramana Maharshi a chi gli chiedeva quale fosse il modo più semplice per “raggiungere” la consapevolezza di Sé (nel senso dell’autorealizzazione) consigliava l’autoindagine, attraverso l’interrogarsi “chi sono io”. E se qualcuno insisteva per avere delle norme esteriori di comportamento allora consigliava di assumere solo cibo "sattvico" e in quantità moderata.

Il cibo "sattvico" è in effetti la cosiddetta dieta vegetariana, quella più vicina all’alimentazione naturale dell’uomo. L’uomo è nato frugivoro, la sua conformazione anatomica è simile a quella degli altri frugivori: suini, scimmie antropomorfe, etc. Questi animali, come dovrebbe essere per l’uomo, si nutrono essenzialmente di semi, proteine vegetali, verdure, frutta, tuberi, latte materno, integrando il tutto – di tanto in tanto – con qualche altro prodotto di origine animale, come ad esempio il latte di altri mammiferi, piccole quantità di miele, uova e simili. Eccezionalmente e per scopi integrativi essi fanno anche uso di moderate quantità di pesce o carne. Ovviamente, nella dieta “satvica”, consigliata ai ricercatori spirituali, la carne non è compresa, poiché il cadavere, essendo un composto organico in putrefazione, è considerato un alimento “tamasico” (oscurante) per la mente. Tra l’altro gli animali sono considerati a tutti gli effetti muniti di “anima” e quindi visti come esseri spirituali simili all’uomo. Cibarsene è considerata perciò una forma di “cannibalismo”.

La filosofia dei Veda – scrive Steven Rosen nel suo illuminante libro Il vegetarianesimo e le religioni del mondo – riconosce appieno agli animali la capacità di raggiungere stati di spiritualità elevata. Si tratta di una tradizione religiosa che non promuove soltanto il vegetarismo, ma anche l’uguaglianza spirituale di tutti gli esseri viventi. Il vegetarismo in effetti non è altro che la conferma di questa consapevolezza: tutti gli esseri viventi sono spiritualmente uguali. Tra l’altro, nell’induismo vengono indicate anche altre ragioni per cui è necessario astenersi dall’ingerire cadaveri perché nell’atto di cibarsi dell’altrui carne si crea un legame karmico con la violenza e la morte.
Malgrado vi siano indicazioni di sacrifici cruenti da compiere una o due volte all’anno persino il Corano esalta la compassione e la misericordia di Allah — chiamato al-Raham, ovvero “l’infinitamente misericordioso” — nei confronti di tutti gli esseri da lui creati, senza eccezioni. Lo stesso profeta Maometto, che presumibilmente era vegetariano e amava gli animali, disse: «Chi è buono verso le creature di Dio è buono verso se stesso».

Per quanto riguarda l’Ebraismo, nella Genesi l’alimentazione prescritta all’uomo è chiaramente vegetariana: «Ecco vi do ogni vegetale che produce seme e che è su tutta la terra e ogni albero in cui è il frutto che produce seme: saranno il vostro cibo» (1, 29). E ancora nella Genesi si legge: «Non dovreste mangiare la carne, con la sua vita, che è il sangue». E infatti, secondo le leggende bibliche, il popolo d’Israele si mantenne vegetariano per dieci generazioni, da Adamo a Noè. Solo dopo che il diluvio universale ebbe distrutto tutta la vegetazione, si narra che Dio diede al “suo” popolo il permesso temporaneo di mangiare carne. Poi, per ristabilire l’alimentazione vegetariana, quando gli israeliti lasciarono l’Egitto, Dio fece cadere la manna, un alimento vegetale adatto a nutrirli durante il loro duro viaggio. Ma, poiché gli israeliti continuavano a chiedere con insistenza la carne, Dio gliela concesse, insieme però a una peste fatale che colpì tutti coloro che ne mangiarono.

Per quanto riguarda il Nuovo Testamento, e quindi il Cristianesimo, l’insegnamento di Gesù (nato di origine essena, una setta che praticava il vegetarismo) è stato a tal punto censurato nelle numerose traduzioni e revisioni dei Vangeli che sono quasi sparite le tracce della sua compassione e del suo completo amore per tutte le creature viventi, che si esprimevano anche nel non mangiare carne di alcun tipo, in armonia con la tradizione degli Esseni. In un “Vangelo secondo Giovanni” tramandato dagli Esseni e dalle Chiese cristiane d’Oriente ma rifiutato dalla Chiesa cattolica, si insegna l’assoluta nonviolenza nei confronti degli animali ed è vietato esplicitamente di mangiare carne: «Mangiate tutto ciò che si trova sulla tavola di Dio: i frutti degli alberi, i grani e le erbe dei campi, il latte degli animali ed il miele delle api. Ogni altro alimento è opera di Satana e conduce ai peccati, alle malattie e alla morte». I primi cristiani erano vegetariani. E lo furono anche i veri Padri della Chiesa, come san Giovanni Crisostomo, San Girolamo, Tertulliano, San Benedetto, Clemente, Eusebio, Plinio e molti altri.

Ma quando il Cristianesimo volle diventare la religione di Stato dell’Impero Romano, durante il concilio di Nicea vennero radicalmente alterati i documenti originali. I “correttori” nominati dalle autorità ecclesiastiche eliminarono dai vangeli qualsiasi riferimento al non mangiare carne: tradussero con il termine «carne», per ben diciannove volte, il termine greco originale «cibo” e scelsero la versione «dei pani e dei pesci” a quella, contemporanea a Cristo, del miracolo della «moltiplicazione dei pani e della frutta”. Ciononostante anche in seguito alcuni santi cristiani sono stati vegetariani. Basti pensare al più famoso di tutti, san Francesco, il quale, nel suo amore per tutte le creature viventi, si nutriva esclusivamente di pane, formaggio, verdure e acqua di fonte.

La compassione che sta alla base di ogni “fede” va ricercata interiormente, e mangiare carne, diceva Lev Tolstoi, «è immorale perché presuppone un’azione contraria al sentimento morale, quella di uccidere. Uccidendo, l’uomo cancella in se stesso le più alte capacità spirituali, l’amore e la compassione per le altre creature». Quindi, a che serve giustificare o preferire una religione all’altra? Sono le persone che fanno la differenza! Sono tutti quegli uomini e quelle donne “compassionevoli” che non si limitano a riti esteriori ma che nutrono compassione per se stessi e per tutte le altre creature. Insomma, ricapitolando, l’Induismo, l’Ebraismo, l’Islamismo e il Cristianesimo contengono di fondo lo stesso messaggio di compassione e nonviolenza, ricordo anche le parole del Buddha nel Dhammapada: «In futuro, alcuni sciocchi sosterranno che io ho dato il permesso di mangiare carne,e che io stesso ne ho mangiata, ma io non ho permesso a nessuno di mangiare carne, non lo permetterò ora, non lo permetterò in alcuna forma, in alcun modo e in alcun luogo».

Paolo D’Arpini

giovedì 1 agosto 2024

Tao - The great flow that is continually changing... - Tao - Il grande flusso continuamente diverso...

 


"There is nothing hidden that does not become manifest and concealed that will not be revealed". 

It seems that in this ancient maxim with a religious flavor there is almost a repetition between what is hidden and becomes   manifest and what is concealed and will be revealed, but this is not the case.

There are subtleties that, in order to transmit their message, require clarifications and repeated propositions. Repetition in trying to transmit something that makes no sense except for intuition is a necessary expedient. 

In Taoism, concepts are often repeated, slightly modifying their meanings in order to strike the listener more intimately and plant a seed in his heart.

The difference between schools of thought based on ethics, and Taoism is that living consciously in the Tao is much more than simply living morally. Ethics and morality limit and bind.

Morality is not creative and is exhausted in the attempt to contain itself within its own limits, trying to respect its rules.

Morality remains limited to the concepts of good and evil, just and unjust, virtuous and vicious and cannot go beyond, because if it goes beyond it is no longer itself. Morality walks side by side with reason and the sense of judgment.

Life in the Tao, on the contrary, is not tied to any criterion of gender, it is free like a bird that flies, a fish that swims or a flower that blooms. It spontaneously remains whole in itself, therefore it is an always autonomous life.

The Tao does not judge, it takes things as they are. The wise Taoist knows to recognize in every morning a good morning, no matter how stormy.

Flowing in the Tao makes us free and creative. This, however, is not entirely correct because the Tao discriminates, it does not ignore the senses nor even the intellect. What is beautiful is beautiful, what is good is good, and what is true is true.

The Taoist sage is able to see things commonly as they present themselves, with something more: the understanding that everything moves in its own direction.

Paolo D'Arpini - Lay Spirituality Committee




Testo Italiano:

"Non vi è nulla di celato che non divenga manifesto e di nascosto che non sarà svelato". Sembra che in questa massima antica dal sapore religioso  vi sia quasi una ripetizione fra ciò che è celato e diviene manifesto e ciò che è nascosto e sarà  svelato, ma non è così. Ci sono delle sottigliezze che per trasmettere il loro messaggio   abbisognano di precisazioni e di proposizioni ripetute.

La ripetizione nel tentare di trasmettere un qualcosa che non ha senso se non per l'intuito è un espediente necessario. Nel taoismo spesso i concetti vengono ripetuti modificando appena i loro significati in modo da colpire più intimamente l'ascoltatore ed immettere un seme nel suo cuore.

La differenza fra le scuole di pensiero basate sull'etica, e il Taoismo è che il vivere consapevole nel Tao è ben più di un vivere semplicemente morale. L'etica e la morale limitano e vincolano.

La morale non è creativa e si esaurisce nel tentativo di contenersi nei suoi stessi limiti, tentando di rispettare le sue regole.

La morale resta  circoscritta ai concetti di bene e male, giusto ed ingiusto, virtuoso e vizioso e non può andare oltre, poiché se va oltre non è più se stessa.  La morale cammina fianco a fianco con la ragione ed il senso del giudizio.

La vita nel Tao, al contrario, non è legata ad alcun criterio di genere è libera come un uccello che vola, un pesce che nuota od un fiore che sboccia. Essa spontaneamente resta integra in se stessa, perciò è una vita sempre autonoma.

Il Tao non giudica, prende le cose come sono. Il saggio taoista sa riconoscere in ogni mattino un buon mattino, non importa quanto tempestoso.

Il  fluire nel Tao ci rende liberi e creativi   Questo però non è deltutto esatto perché il Tao discrimina, non ignora i sensi e neppure l'intelletto. Ciò che è bello è bello, ciò che è buono è buono e ciò che è vero è vero.

Il saggio taoista è capace di vedere le cose comunemente come esse si presentano, con un qualcosa in più: la comprensione che tutto si muove nella sua propria direzione.

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica