In the Declaration of Independence of the United States in 1776, a group of men seized by philosophical and civil "enthusiasm" conceived a right never affirmed before: the right to happiness. “Man has the right to happiness, it is one of those epigraphs written in the heavens, a cry of freedom destined to echo forever in the universal concert of human history", wrote an idealist. This goes hand in hand with the solemn chanting of the French revolutionaries of 1789 calling for "Liberty, Equality and Fraternity".
However, every ideally sanctioned right has meaning if it can be exercised in total freedom. Yet Goethe said "No one is more of a slave than he who considers himself free without being so." This statement by the greatest German philosopher and poet should make us reflect on the axionic "freedom and right to happiness".
To begin with, we need to ask ourselves what happiness is and what freedom is. These two concepts often occur in Eastern philosophy but take on different meanings than those assigned by Western rationalistic thought. In Eastern philosophies, happiness is seen as the consequence of achievement or prolonged enjoyment, mental satisfaction, a state of well-being linked to the psychophysical condition. In fact, true joy, without attributes or causes, is called "ananda" in India.
Ananda, in terms of intensity and duration, is much superior to happiness, it is the state in which the self recognizes itself within itself, it is therefore not the result of conditioning or pursuit but represents the continuous persistence of consciousness/awareness of one's own intimate nature. The Western term closest to this state is "bliss", which emerges spontaneously when our divine nature is realized.
Therefore happiness, which is spoken of in the US Declaration of Independence, is simply a social right, the affirmation of being able to pursue fulfillment, a wealthy condition, seeking satisfaction in every way through actions in accordance with those legitimate stimuli and desires that distinguish us. This right is placed on a slightly higher level than the search for "pleasure" but always falls within the sphere of what can be pursued through effort and with a precise mental determination.
But from the "spiritual" or self-knowledge point of view such pursuit of happiness can even be seen as an impediment to the arising of "true joy". Happiness is useless, it depends on unhappiness, while joy transcends it, being beyond the duality of being happy or unhappy.
From the Buddhist point of view we never talk about the pursuit of happiness but rather about the extinction of suffering. That is, the attention is directed towards the cancellation of the mental structure (ego) which is the cause of human suffering. In the formulation of the Four Noble Truths it is said: «O monks, the Tathāgatha, the Venerable, the Perfectly Awakened, has set in motion the incomparable wheel of the Law, that is, the annunciation, the exposition, the declaration, the manifestation, the determination, clarification, detailed exposition of the Four Noble Truths. And which four? Of the noble truth of pain, of the noble truth of the origin of pain, of the noble truth of the cessation of pain, of the noble truth of the path that leads to the cessation of pain." (Buddha Shakyamuni. Saccavibhaṅga Sutta, Majjhima Nikāya).
Even in the Taoist vision it is said that "the Tao that can be announced (pursued) is not the principle that has always been". In Lao Tzu's maxims on the practical conduct of life, the main objective is to re-establish harmony with the Principle through a return to the original state, to a primordial condition so to speak, and through the liberation of natural spontaneity and instinctivity. Furthermore, the idea of man's reintegration into the cosmic order did not remain limited to the followers of Taoism, but influenced the entire Chinese culture. Fundamental ideas of Taoist mysticism are: the return to natural spontaneity, the ethics of acting without acting, the mystical union with the world and its immanent order. As well as a complex of concepts that are the basis of Taoist techniques for internal discipline: stillness, the absence of desire, disinterest, oblivion.
Only in a collateral branch of Taoism, the cynical and hedonistic one, taught by a certain "master Lie", is the satisfaction of desires recommended, in a sort of "carpe diem", as a consequence of the impermanence of life. In this vein, the influences of later Taoist alchemy already shine through, on the search for a long life in good health and on the ability to manifest occult powers, a narrative heritage imported from the Indian yoga system.
As regards the concept of "freedom", the discussion becomes even more tangled since we should examine the two lines of thought, that of "free will" and that of "destiny". Perhaps, in order not to confuse the reader's ideas too much, it will be better to leave this topic to a later disquisition.
Paolo D'Arpini - spiritolaico@gmail.com
Testo Italiano:
Nella Dichiarazione d’Indipendenza degli Stati Uniti del 1776 un gruppo di uomini presi da “entusiasmo” filosofico e civile, concepirono un diritto mai affermato prima: il diritto alla felicità. “L’uomo ha diritto alla felicità, è una di quelle epigrafi scritte nei cieli, un grido di libertà destinato ad echeggiare per sempre nel concerto universale della storia umana", scrisse un idealista. La cosa fa il paio con l'inneggiare solenne dei rivoluzionari francesi del 1789 che chiedevano "Libertà, uguaglianza e fraternità".
Ogni diritto idealmente sancito ha però un senso se può essere esercitato in totale libertà. Eppure Goethe disse “Nessuno è più schiavo di chi si ritiene libero senza esserlo”. Questa affermazione del massimo filosofo e poeta tedesco dovrebbe farci riflettere sull'assiona "libertà e diritto alla felicità".
Tanto per cominciare occorre chiedersi cosa sia la felicità e cosa sia la libertà. Questi due concetti ricorrono spesso nelle filosofia orientali ma assumono significati diversi rispetto a quelli che vengono assegnati dal pensiero razionalistico occidentale. Nelle filosofie orientali la felicità è vista come la conseguenza di un ottenimento o di un godimento prolungato, una soddisfazione mentale, uno stato di benessere comunque legato alla condizione psicofisica. Infatti la vera gioia, priva di attributi o cause, in India è chiamata "ananda".
Ananda, come intensità e durata è di molto superiore alla felicità, è lo stato in cui il sé riconosce se stesso in se stesso, non è quindi il risultato di un condizionamento o di un perseguimento ma rappresenta il continuo permanere della coscienza/consapevolezza della propria intima natura. Il termine occidentale più prossimo a questo stato è la "beatitudine", che emerge spontaneamente allorquando si realizza la nostra natura divina.
Ma dal punto di vista "spirituale" o dell'auto-conoscenza tale ricerca della felicità può persino essere vista come un impedimento al sorgere della "vera gioia". La felicità è inutile, dipende dall’infelicità, mentre la gioia la trascende, essendo al di là della dualità dell’essere felice o infelice.
Dal punto di vista buddista non si parla mai di ricerca della felicità bensì di estinzione della sofferenza. Ovvero l'attenzione è rivolta verso la cancellazione della struttura mentale (ego) che è causa della sofferenza umana. Nella formulazione delle Quattro nobili verità è detto: «Oh monaci, il Tathāgatha, il Venerabile, il Perfettamente risvegliato, ha messo in moto l'incomparabile ruota della Legge, cioè l'annunciazione, l'esposizione, la dichiarazione, la manifestazione, la determinazione, la chiarificazione, l'esposizione dettagliata delle Quattro nobili verità. E di quali quattro? Della nobile verità del dolore, della nobile verità dell'origine del dolore, della nobile verità della cessazione del dolore, della nobile verità della via che porta alla cessazione del dolore.» (Buddha Shakyamuni. Saccavibhaṅga Sutta, Majjhima Nikāya).
Anche nella visione taoista è detto che "il Tao che può essere annunciato (perseguito), non è il principio che è stato da sempre". Nelle massime sulla condotta pratica di vita di Lao Tzu l'obiettivo principale è quello di ristabilire l'armonia col Principio attraverso un ritorno allo stato originario, a una condizione per così dire primordiale, e attraverso la liberazione della spontaneità e dell'istintività naturali. L'idea di una reintegrazione dell'uomo nell'ordine cosmico del resto non è rimasta circoscritta ai seguaci del taoismo, ma ha improntato tutta la cultura cinese. Idee fondamentali della mistica taoista sono: il ritorno alla spontaneità naturale, l'etica dell'agire non agire, l'unione mistica con il mondo e con il suo ordine immanente. Nonché un complesso di concetti che sono alla base delle tecniche taoiste per la disciplina interiore: la quiete, l'assenza di desiderio, il disinteresse, l'oblio.
Solo in un ramo collaterale del Taoismo, quello cinico ed edonista, insegnato da un certo "maestro Lie", si consiglia la soddisfazione dei desideri, in una sorta di "carpe diem", in conseguenza dell'impermanenza della vita. In questo filone traspaiono già le influenze dell'alchimia taoista più tarda, sulla ricerca di una lunga vita in buona salute e sulla capacità di manifestare poteri occulti, un patrimonio narrativo importato dal sistema yoga indiano.
Per quanto riguarda poi il concetto di "libertà" il discorso si fa ancora più ingarbugliato poiché dovremmo esaminare i due filoni di pensiero, quello del "libero arbitrio" e quello del "destino". Forse per non confondere troppo le idee del lettore sarà meglio che lasciamo questo argomento ad una successiva disquisizione.
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