Ante scriptum - Ricordo una divertente storiella zen in cui si narra di un contadino che chiamò un prete per svolgere una cerimonia di benedizioni alla sua famiglia. Il monaco stava per iniziare il rito quando l’uomo gli chiese se ne avrebbe avuto beneficio anche la sua consorte che era deceduta qualche tempo prima.. “Certamente –assicurò il prete- tutti gli esseri senzienti vivi o morti ne trarranno beneficio” – “Tutti .. proprio tutti?” Indagò ancora il contadino, ed il monaco: “Tutti gli esseri condividono la natura di Buddha e quindi tutti saranno beneficiati e ricordati nella funzione” – Ed il contadino: Ma... veramente vorrei che almeno fosse escluso il mio vicino che mi sta molto antipatico…”
Da ciò se ne deduce che il nostro osservare il mondo, sia interiore (delle emozioni) che esteriore (degli oggetti), non è quasi mai “pulito”, privo cioè di interpretazione e concettualizzazione.
Siamo avvezzi a giudicare quel che osserviamo attraverso il filtro della memoria e delle sensazioni collegate alle trascorse esperienze. Anche nel caso di eventi “nuovi” o di idee precedentemente non considerate non facciamo a meno di cercare di “comprendere” e misurare sulla base del nostro conosciuto. Ecco questa “preconoscenza” è la nostra “schiavitù” ma se potessimo lasciarci andare sino al punto di poterci osservare mentre si innesca il meccanismo del “pre-giudizio” e capire il suo funzionamento… potremmo già considerare questa “attenzione” come una prima forma di meditazione e distacco dal processo appropriativo in corso.
Facciamo un’analogia pratica, per esemplificare questo tentativo di spostare l’attenzione dall’io giudicante alla capacità testimoniale della pura coscienza, analizzando il funzionamento del sogno. Quando sogniamo tutto avviene in modo apparentemente costruito e definito mentre allo stesso tempo gli avvenimenti del sogno mantengono il senso dell’imponderabilità. Il personaggio specifico del nostro sogno, nel quale noi ci identifichiamo, è esso stesso una semplice componente inscindibile dalla complessità del sogno, in cui i vari attori, figure, oggetti ed eventi sono un tutt’uno. La “farsa” del sogno mostra un’apparente finalità e significato agli occhi del personaggio di sogno nel quale ci identifichiamo. Vediamo che egli infatti compie gesti deliberati e verosimili sforzi di volontà per raggiungere i suoi fini di sogno, rapportandosi inoltre con gli altri personaggi del sogno come “diversi” da sé.
Può ciò corrispondere a verità?
Tutti gli aspetti del sogno sono prodotti dalla stessa mente e non sono in alcun modo controllabili e gestibili da alcun personaggio o situazione del sogno. Essendo ognuno di questi elementi semplici componenti “passive” immaginate nella mente del sognatore. Dal punto di vista dell’esperienza “empirica” nello stato di veglia si può dire che il processo di “creazione” sia praticamente il medesimo. Tutti gli oggetti ed i soggetti che reciprocamente si percepiscono (essendo ognuno contemporaneamente soggetto ed oggetto nella percezione altrui) scaturiscono dalla stessa “Mente”, o Coscienza, e si dipanano sullo schermo concettuale degli eventi spazio-temporali.
In effetti, in questo funzionamento totale, non può esistere alcuna volizione o finalità personale, poiché (come nel sogno) ogni cosa si svolge indipendentemente dall’intenzione di qualsiasi dei personaggi sognati. Pur che apparentemente essi assumono su di sé il senso dell’affermazione o della negazione di una loro “volontà”, ma questo avviene solo conseguentemente alla considerazione effettiva degli eventi già vissuti. Ovvero dopo aver “giudicato” i fatti accaduti ed averli assunti come propri (attraverso il senso di identificazione) e quindi definiti come positivi o negativi (ai fini del personaggio).
Da ciò, per estensione, arriviamo all’identità dello stato di veglia e scopriamo che -come nel sogno- a manifestare la vita e le sue componenti non sono i singoli esseri bensì la Coscienza stessa, impegnata com’è nell’opera di vivificazione delle sue emanazioni e manifestazioni, che sono possibili solo per suo tramite.
Per questa ragione è detto che “quando il me scompare l’Io si manifesta” (Ramakrishna Paramahansa), ovvero quando l’identificazione individuale cessa automaticamente la Coscienza impersonale emerge. Si dice che “emerge” in quanto tale pura Coscienza è già insita nell’individuo stesso (come la mente è presente nel personaggio sognato) che la “sostanza” non appartiene alla sembianza mutevole ma è l’essenza che la anima.
Ovviamente in caso di “risveglio” al puro Io il senso di identità individuale “muore” ma questo non implica l’automatica scomparsa della sua “sembianza” apparente, che continuerà a restare nella percezione degli “altri” osservatori, ma svuotata al suo interno di ogni identificazione oggettiva, essendo il risvegliato pura e semplice “soggettività” (Consapevolezza priva di attributi).
La spontaneità è la caratteristica “comportamentale” del risvegliato, quando spontaneità significa semplice capacità di risposta, adeguata e consona, alle situazioni in cui egli si imbatte. In un tale essere non permane alcuna ombra di intenzionalità o di giudizio, di desiderio o repulsione, la sua “volontà” corrisponde esattamente agli eventi vissuti senza che lui lo ricerchi. Possiamo definire questo stato: Libertà.
Per significare la vera natura dell’essere ed il “ritorno” all’intrinseca consapevolezza che gli è propria, ammettendo che tale natura è la stessa per ognuno di noi, mi piace riportare una frase di Nisargadatta Maharaj, che disse: “Non importa ciò che fai o ciò che non fai se hai realmente percepito quello di cui sto parlando. Diversamente, non importa nemmeno se tu non hai capito quel di cui sto parlando..” Il che significa che in entrambi i casi la realtà intrinseca non cambia… e quel che è destinato ad avvenire avviene per conto suo….
Succede però che questo discorso, pur essendo a volte intellettualmente accettato, necessiti spesso una digestione ed assimilazione, deve insomma essere fatto “nostro”. Ciò può avvenire attraverso la riflessione, la rielaborazione e il riconoscimento al nostro interno di tale verità.
Ora in qualche modo ci sembra di aver compreso ma dobbiamo disintossicarci dalla tendenza speculativa e dall’identificazione con il personaggio incarnato.
A tal fine, non per ottenere la condizione che è già nella nostra natura ma allo scopo di scongiurare l’imbroglio della mente, consiglio la lettura ripetuta e la ponderazione sulle immagini contenute nel Libro dei Mutamenti, un compendio di esempi archetipali psicosomatici, descrivente cioè i diversi modelli comportamentali, basati sulle variegate capacità espressive della mente nello svolgimento degli eventi spazio-temporali.
Per mezzo dell’analisi sarà possibile riconoscere le multicolori forme che la mente può assumere in questo mondo di apparenze, essendo le sue trasformazioni semplici risultanze, risonanze e adattamenti alle condizioni che si trova ad affrontare. Questa è una risposta automatica allo svolgimento delle continue mutazioni e mescolamenti degli elementi basilari della vita.
Ovvio che tali mutazioni sono praticamente infinite ma nel Libro dei Mutamenti si esaminano 64 aspetti/madre, in forma di esagrammi in cui ogni linea è una componente costitutiva con propri significati. Essendo questo testo il risultato di un antichissimo e costante studio ed osservazione di fenomeni naturali e sociali, interpretati e visti sia con la ragione che con l’intuizione, esso si presenta come un complesso integrato dei diversi modi espressivi analitici ed analogici della mente.
“Conoscere la mente per non farsi imbrogliare dalla mente..” Affermava Ramana Maharshi.
E nel Libro dei Mutamenti si può dire che vengono fusi sia gli aspetti filosofici speculativi e metafici che quelli analitici ed empirici (Taoismo e Confucianesimo), perciò la prassi è quella di osservarne le immagini senza volerne assumere i concetti, un buon metodo per avvicinarsi alla corrispondente spontaneità comportamentale del saggio, basata sulla capacità di immediata risposta comportamentale nelle varie situazioni incontrate nella vita, anche in considerazione delle peculiari caratteristiche da ognuno incarnate e nella posizione e condizione in cui siamo. Insomma, conoscere il mezzo per affrontare adeguatamente il percorso.
Siccome la lettura del testo non è immediatamente chiara e assimilabile è consigliabile una ripetizione continuata, ma senza sforzi interpretativi, in modo da sospingere pian piano la nostra mente verso quel necessario “distacco” da finalità precostituite, tralasciando quindi il tentativo di comprensione dei significati razionali e lasciando che le immagini evocate trovino corrispondenza nel nostro inconscio.
Paolo D’Arpini
English translation:
Ante scriptum - I remember a funny Zen story which tells of a farmer who called a priest to perform a blessing ceremony for his family. The monk was about to begin the rite when the man asked him if his wife who had died some time before would also benefit from it. "Certainly - the priest assured - all sentient beings, living or dead, will benefit from it" - " Everyone… really everyone? " The farmer and the monk again investigated: "All beings share the Buddha nature and therefore everyone will be benefited and remembered in the function" - And the farmer: But ... really I would like at least my neighbor who is very close to me to be excluded unpleasant…"
Our observing the world, both internal (of emotions) and external (of objects), is almost never "clean", that is, devoid of interpretation and conceptualization.
We are used to judging what we observe through the filter of memory and sensations related to past experiences. Even in the case of "new" events or ideas previously not considered, we do not fail to try to "understand" and measure on the basis of our known. Here is this "foreknowledge" is our "slavery" but if we could let ourselves go to the point of being able to observe ourselves while the "pre-judgment" mechanism is triggered and understand its functioning ... we could already consider this "attention" as a first form of meditation and detachment from the ongoing appropriation process.
Let's make a practical analogy, to exemplify this attempt to shift the attention from the judging self to the witness capacity of pure conscience, analyzing the functioning of the dream. When we dream, everything happens in an apparently constructed and defined way while at the same time the events of the dream maintain the sense of imponderability. The specific character of our dream, in which we identify ourselves, is itself a simple component that is inseparable from the complexity of the dream, in which the various actors, figures, objects and events are one. The "farce" of the dream shows an apparent purpose and meaning in the eyes of the dream character with whom we identify. We see that he in fact makes deliberate gestures and probable efforts of will to achieve his dream goals, also relating to the other characters of the dream as "different" from himself.
Can this be true?
All aspects of the dream are produced by the same mind and are in no way controllable and manageable by any dream character or situation. Each of these elements being simple "passive" components imagined in the dreamer's mind. From the point of view of the "empirical" experience in the waking state, it can be said that the process of "creation" is practically the same. All objects and subjects that mutually perceive each other (being each subject and object at the same time in the perception of others) spring from the same "Mind", or Consciousness, and unfold on the conceptual screen of space-time events.
In fact, in this total functioning, there can be no personal volition or purpose, since (as in the dream) everything takes place regardless of the intention of any of the dreamed characters. While apparently they assume upon themselves the sense of affirmation or denial of their "will", but this only happens as a result of the effective consideration of the events already experienced. That is, after having "judged" the events that have occurred and have assumed them as one's own (through the sense of identification) and then defined as positive or negative (for the purposes of the personage).
For this reason it is said that "when the me disappears the ego manifests itself" (Ramakrishna Paramahansa), or when individual identification automatically ceases, impersonal Consciousness emerges. It is said that "emerges" as such pure Consciousness is already inherent in the individual himself (as the mind is present in the dreamed character) that the "substance" does not belong to the changing appearance but is the essence that animates it.
Obviously in the case of "awakening" to the pure ego the sense of individual identity "dies" but this does not imply the automatic disappearance of its apparent "semblance", which will continue to remain in the perception of the "other" observers, but emptied within it of every objective identification, being the awakened pure and simple "subjectivity" (Awareness devoid of attributes).
Spontaneity is the "behavioral" characteristic of the awakened person, when spontaneity means simple ability to respond, adequate and in keeping with the situations in which he encounters. In such a being there remains no shadow of intentionality or judgment, desire or repulsion, his "will" corresponds exactly to the events he experienced without him seeking it. We can define this state: Freedom.
To signify the true nature of being and the "return" to the intrinsic awareness that is proper to it, admitting that this nature is the same for each of us, I like to quote a phrase by Nisargadatta Maharaj, who said: "It does not matter what what you do or what you do not do if you have really perceived what I am talking about. Otherwise, it doesn't even matter if you don't understand what I'm talking about .. ”Which means that in both cases the intrinsic reality doesn't change… and what is destined to happen happens on his behalf….
It happens, however, that this discourse, although sometimes intellectually accepted, often needs digestion and assimilation, in short, it must be made "ours". This can happen through reflection, re-elaboration and recognition of this truth within us.
Now somehow we seem to have understood but we must detoxify ourselves from the speculative tendency and from the identification with the embodied character.
To this end, not to obtain the condition that is already in our nature but in order to avoid the cheating of the mind, I recommend repeated reading and pondering on the images contained in the Book of Changes, a compendium of psychosomatic archetypal examples, that is, describing the different behavioral models, based on the variegated expressive capacities of the mind in the development of space-time events.
By means of analysis it will be possible to recognize the multicolored forms that the mind can take in this world of appearances, its transformations being simple results, resonances and adaptations to the conditions it faces. This is an automatic response to the unfolding of the constant mutations and mixing of the basic elements of life.
Obviously these mutations are practically infinite but in the Book of Changes 64 aspects / mother are examined, in the form of hexagrams in which each line is a constitutive component with its own meanings. Since this text is the result of an ancient and constant study and observation of natural and social phenomena, interpreted and seen both with reason and with intuition, it appears as an integrated complex of the different analytical and analogical expressive modes of the mind.
"Knowing the mind so as not to be fooled by the mind .." Ramana Maharshi affirmed.
And in the Book of Changes it can be said that both the speculative and metaphysical philosophical aspects as well as the analytical and empirical ones (Taoism and Confucianism) are merged, so the practice is to observe the images without wanting to assume the concepts, a good method to approach the corresponding behavioral spontaneity of the essay, based on the capacity for immediate behavioral response in the various situations encountered in life, also in consideration of the peculiar characteristics embodied by each and in the position and condition in which we are. In short, knowing the means to adequately address the path.
Paolo D’Arpini
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