La posizione assunta nella società -umana od animale che sia- di noi bioregionalisti della Rete Bioregionale Italiana è basata sulla nonviolenza. Il che non vuol dire accettare e subire passivamente il male. In passato di tanto in tanto si son venute a creare delle differenze d'opinione all'interno della Rete, soprattutto riguardo alla alimentazione nonviolenta od alla protesta attiva nei confronti della società consumista. Alcuni di noi si sentivano più "bombaroli" altri preferivano ritirarsi in baite di montagna a fare gli eremiti.
Come al solito mi son trovato a percorrere una via di mezzo. Ho cercato di influire sulla società, soprattutto con l'esemplificazione od anche attraverso azioni e proposte politiche in sintonia con l'ecologia profonda, ho cercato di rappresentare un modello di vita che fosse congeniale con il criterio bioregionale, certo non un modello "forzato" bensì un semplice adeguamento alle circostanze in termini nonviolenti ed ecologisti. Non ho trascurato momenti di convivialità ed incontro per condividere esperienze e tramandi, senza pretenziosità. Questo -ad esempio- facciamo da molti anni in occasione del Collettivo Bioregionale Ecologista del solstizio estivo.
Fare la parte del "gandhiano" passivo non mi è congeniale ma nemmeno fare il guerrigliero è nella mia natura. Ho la pretesa di credere che una tale via di mezzo "bioregionale" tenga conto della sopravvivenza reciproca di tutti gli elementi in gioco. Con ciò ha fatto arrabbiare parecchi miei compagni di viaggio, oltre che le parti avverse cioè tutto l'establishment ed i benpensanti.
La nonviolenza - diceva l'amico Piero- dovrebbe essere attiva e sincera, coinvolgendo l'ambiente in cui la si pratica, la sua possibilità di risonanza e testimonianza ma anche, da un altro lato, i convincimenti e la forza personale, che sono cose distinte dalle prime (una persona può agire in modo nonviolento anche se nessuno lo verrà a sapere; ovvero, la testimonianza nonviolenta può anche essere totalmente personale, non pubblica.
Insomma la nonviolenza di carattere bioregionale non può essere una professione, come quella praticata da certi bioregionalisti d'oltre oceano, propensi a cantare la natura e gli animali, contemporaneamente andando nei parchi a caccia, oppure protestare per i giochi olimpici invernali in Italia, come fonte d'inquinamento, senza curarsi delle distruzioni e avvelenamenti della terra da parte dei loro stessi governi. Purtroppo l'ipocrisia piace al sistema, le belle prediche trovano spazi sui media di sistema, il bioregionalismo "geografico" viene esaltato persino su wikipedia, mentre il "vero" bioregionalismo, quello pratico del vivere bioregionalmente nel luogo in cui si vive, e non "altrove", vi trova poco spazio.
L'amica bioregionalista vegetariana Marinella Correggia, con tutte le sue azioni di sensibilizzazione sociale, si poneva il problema di come strappare la bandiera della nonviolenza dalle mani del "nemico". Quel nemico gradito al sistema. In cui troppo spesso ai "ma" seguono i "sì" per onorare una certa coerenza di facciata ed allo stesso tempo aderire alle scelte dello "sviluppo" sostenibile.
Il bioregionalismo e la nonviolenza sono una contraddizione attiva, la loro attuazione è immersa nella contraddizione, altra cosa è la "coerenza formale"... quella formalità descrittiva, che si adegua alle esigenze della "crescita" e delle consuetudini consolidate.
Per questo in alcune occasioni definisco i veri bioregionalisti "ribelli e precursori", cioè quel che noi stessi siamo. Anche se alcuni nostri detrattori dicono che siam solo sessantottini non pentiti, oppure inveterati illusi, poiché il nostro voler cambiare il mondo si risolve in un nulla. Sarà così, ma almeno stiamo cercando di farlo cominciando dal cambiare noi stessi, decidendo per noi stessi quei comportamenti necessari a creare una nuova civiltà umana. Perciò ci definiamo "precursori e ribelli” e non “rivoluzionari” poiché, come disse Osho, il rivoluzionario appartiene ad una sfera terrena mentre il ribelle e la sua ribellione sono sacri.
Paolo D'Arpini
Rete Bioregionale Italiana
English Reddition
The position taken by us bioregionalists of the Italian Bioregional Network in society - whether human or animal - is based on nonviolence. This does not mean accepting and passively suffering evil. In the past, from time to time, differences of opinion have arisen within the Internet, especially with regard to non-violent nutrition or active protest against consumer society. Some of us felt more "bombers" others preferred to retire to mountain huts to be hermits.
As usual, I found myself walking a middle ground. I tried to influence society, above all with the exemplification or also through actions and political proposals in harmony with the deep ecology, I tried to represent a model of life that was congenial with the bioregional criterion, certainly not a "forced" model but a simple adaptation to circumstances in nonviolent and ecological terms. I have not neglected moments of conviviality and meeting to share experiences and bequeathed, without pretentiousness. For example, we have been doing this for many years on the occasion of the Bioregional Ecologist Collective of the summer solstice.
Playing the part of the passive "Gandhian" is not congenial to me but not even being a guerrilla is in my nature. I pretend to believe that such a "bioregional" middle ground takes into account the mutual survival of all the elements at stake. With this he angered many of my traveling companions, as well as the adverse parties that is the whole establishment and right-thinking people.
Nonviolence - said his friend Piero - should be active and sincere, involving the environment in which it is practiced, its possibility of resonance and testimony but also, on the other hand, beliefs and personal strength, which are things distinct from the former (a person can act in a nonviolent way even if no one will find out; that is, nonviolent testimony can also be totally personal, not public.
In short, bioregional nonviolence cannot be a profession, like the one practiced by certain bioregionalists from overseas, inclined to sing about nature and animals, while going hunting in parks at the same time, or protesting for the Olympic winter games in Italy, such as source of pollution, regardless of the destruction and poisoning of the earth by their own governments. Unfortunately, the system likes hypocrisy, beautiful sermons find space in the system media, "geographical" bioregionalism is even exalted on wikipedia, while the "real" bioregionalism, the practical one of living bioregionally in the place where one lives, and not "elsewhere", there is little space.
The vegetarian bioregionalist friend Marinella Correggia, with all her social awareness actions, was asking herself the problem of how to snatch the flag of nonviolence from the hands of the "enemy". That enemy pleasing to the system. In which too often the "but" are followed by the "yes" to honor a certain coherence of the facade and at the same time adhere to the choices of sustainable "development".
Bioregionalism and nonviolence are an active contradiction, their implementation is immersed in contradiction, another thing is "formal coherence" ... that descriptive formality, which adapts to the needs of "growth" and consolidated customs.
For this reason, on some occasions I define true bioregionalists as "rebels and precursors", that is, what we ourselves are. Even if some of our detractors say that we are only unrepentant sixty-eight, or inveterate deluded, since our wanting to change the world ends up in nothing. It will be so, but at least we are trying to do it starting by changing ourselves, deciding for ourselves those behaviors necessary to create a new human civilization. Therefore we define ourselves as "precursors and rebels" and not "revolutionaries" because, as Osho said, the revolutionary belongs to an earthly sphere while his rebel and his rebellion are sacred.
Paolo D'Arpini
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