giovedì 30 ottobre 2025

Giuliano Flavio, l'ultimo vero imperatore romano...

 


Notizie storiche: Flavio Claudio Giuliano, fu imperatore romano dal 361 al 363 d.C. Egli fu osteggiato dai cristiani per la sua posizione religiosa sincretica e pluralista, una concezione filosofica che considera la realtà costituita da una molteplicità di principi.   Fu l'ultimo imperatore romano a non aderire al cristianesimo e si distinse come  intellettuale, filosofo e abile condottiero.  

Origini e educazione: Nacque a Costantinopoli nel 331 d.C. e fu nipote di Costantino il Grande. Sopravvisse alle stragi familiari del 337 e si dedicò a una vita di studi e reclusione, durante la quale si avvicinò alla filosofia neoplatonica.


Giuliano Flavio voleva restituire la libertà di religione ai popoli dell'Impero, scampato da ragazzo miracolosamente alla persecuzione cristiana (il fratello maggiore, Gallo, venne decapitato senza scrupoli). Giuliano Flavio (331-363), il più grande di tutti gli Imperatori Romani, fu etichettato dalle sette cristiane del tempo con l'appellativo di 'apostata'. In realtà i veri apostati erano coloro che avevano abbandonato il sincretismo e l'atavica 'Religione dei Padri', infatuati da un nuovo credo medio-orientale settario, poi definito  "cristianesimo", frazionato in diverse correnti, ferocemente antagoniste tra loro e desiderose di prendere il sopravvento. 

E da uno di questi “cristiani” invasati l'imperatore Giuliano, mentre guidava le legioni contro l'esercito  Parsi, venne colpito alle spalle e spirò, martire del sincretismo, alla giovane età di 32 anni mentre, in prima fila, combatteva in una spedizione che avrebbe sicuramente cambiato il quadro geopolitico ed avrebbe anche chiuso una certa parentesi storica. 


Una volta ucciso subì  l'etichettatura di "apostata", non avendo potuto esserlo per il fatto che mai aderì al cristianesimo  ed ebbe solo maestri laici e sincretici.

Resta incorrotta la  grandezza di  Giuliano Flavio, ultimo imperatore filosofo, il quale  individuava nel cristianesimo una delle cause principali della decadenza dell’Impero sotto molti punti di vista, incluso quello sociale.  Trovava infatti riprovevole che una setta giudaica, emarginata dagli stessi giudei, si arrogasse il diritto di disprezzare la cultura atavica, fautrice dell’unità del mondo classico e responsabile del buon funzionamento dell’Impero.  

Giuliano rimase sempre profondamente diffidente nei confronti dei cristiani perché  "è a causa della loro demenza che tutto è stato sovvertito" e pagò con la vita la fedeltà ai valori della libera espressione religiosa e spirituale.    
 
Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica

domenica 26 ottobre 2025

IA and the story DNA tells us... - AI e la storia che il DNA ci racconta...

 

"We cannot know anything external to ourselves without going beyond ourselves. The Universe is the mirror in which we can contemplate only what we have learned to know within ourselves." (Italo Calvino)

"Only if we can see the Universe as a whole, in which each part reflects the totality and in which the great beauty lies in its diversity, will we begin to understand who we are and where we are. Otherwise, we will only be like the frog in the Chinese proverb who, from the bottom of a well, looks up and believes that what he sees is the entire sky." (Tiziano Terzani)


Why is a child born of a woman more alive than a golem? The question is easy to answer: because a child is a natural, growing organism that adapts to its environment and is able to respond to its demands, even modifying its structure when necessary to accommodate a necessary change. While a "golem" (an AI device), or an artificial organism built in a laboratory, lacks this ability. It is a seemingly living structure that cannot respond to stimuli other than those to which it was designed.

For this reason, it is preferable for genetic modifications to occur in a context of natural and spontaneous manifestations, as has occurred in the evolutionary process of all living organisms since the beginning of life on the planet.

If, however, an arbitrary modification is made to the genetic heritage (implemented by humans for the hypothetical improvement of "performance" or "immediate results") of certain organisms "useful" to the development of their economy, the risk is that this modification will lead to a disruption in the global responses of all other life forms (since everything is connected), with the consequent possibility of the collapse of the Earth's ecosystem.

Paolo D'Arpini - Committee for Lay Spirituality









Testo Italiano: 

"Non possiamo conoscere nulla d'esterno a noi scavalcando noi stessi. L'Universo è lo specchio in cui possiamo contemplare solo ciò che abbiamo imparato a conoscere in noi" (Italo Calvino)

“Solo se riusciremo a vedere l’Universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove siamo. Altrimenti saremo solo come la rana del proverbio cinese che, dal fondo di un pozzo, guarda in su e crede che quel che vede sia tutto il cielo”. (Tiziano Terzani)


Perché un bambino nato da donna è più vivo di un golem? Alla domanda è facile rispondere: perché un bambino è un organismo naturale in crescita che si adatta all’ambiente ed è in grado di rispondere alle sue sollecitazioni persino modificando, ove necessario, la sua struttura in funzione di un necessario cambiamento, mentre un “golem” (un  apparato AI) ovvero un organismo artificiale  costruito in laboratorio è mancante di questa capacità, esso è una struttura apparentemente viva ma che non sa rispondere a sollecitazioni diverse da quelle a cui è stata predisposta. 

Per questa ragione è preferibile che le modificazioni genetiche avvengano in un contesto di manifestazioni naturali e spontanee, come è accaduto nel processo evolutivo di tutti gli organismi viventi dall’inizio della vita sul pianeta. 

Se invece viene eseguita una modificazione arbitraria sul patrimonio genetico (attuata dall’uomo in funzione di un ipotetico miglioramento di “prestazioni” o “risultati immediati”) di alcuni organismi “utili” allo sviluppo della sua economia il rischio è che questa modificazione porti ad uno sconvolgimento nelle risposte globali di ogni altra forma di vita (poiché tutto è collegato), con conseguente possibilità di tracollo dell’ecosistema della Terra.  

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica

venerdì 24 ottobre 2025

Prana, vital energy according to Wilhelm Reich, Ramana Maharshi, and Patanjali... - Prana, energia vitale secondo Wilhelm Reich, Ramana Maharshi e Patanjali…

 


Each of us has experienced that in strong emotions or when our concentration is heightened, the flow of breath automatically stops—"we run out of breath," as the popular saying goes. This "run out of breath" is also an aspect of yoga pranayama, which seeks to gain control over mental wanderings.

Even great masters like Ramana Maharshi, who taught the path of self-investigation as a method for finding the Self, recommended a kind of pranayama for those who felt unprepared for the direct investigation of "who I am." He recommended "antha pranayama" (the internal regulation of breath), accompanying the various phases of breathing with the following states of consciousness, or thoughts: "During inhalation: (Koham?) who am I? – During retention of the breath: (Soham) I am Consciousness – During exhalation: (Naham) I am not the body or mind." By doing this, the flow of thoughts is automatically controlled, but—let us remember—according to the Maharshi and every other great master, the most effective method was communion with a fully realized Being, being "in the company of saints." But even here, aside from the associated spiritual implication, it presupposes (in some way) a sharing of the same air; the breath that enters and exits the saint is retransmitted to those around him, evidently imbued with the saint's state of consciousness.

We know that in the Jewish and Christian religions, when life is infused from God into Man, it is referred to as the transmission of the "vital breath." Breath is primary energy; among other things, it is connected to smell, the most ancient sense, the one that puts us in direct contact with external reality. Even though breathing has become an automatic function, barely noticed by the conscious mind, it remains the primary connection with life until our last breath...

Evidently, breathing not only absorbs "air" into the body but—as taught in various esoteric disciplines—also "vital energy." This was also the research undertaken by a contemporary psychologist, Wilhelm Reich, who conducted numerous experiments and studies in this regard. He defined breath not only as air but as "orgone energy" (the same thing is called "prana" in India). Reich states that air is only a container, but it contains a power called "orgone" (or "elan vital" according to other French researchers). For this reason, Osho said, when you are admitted to a hospital you feel particularly stressed and tired, because there is a frantic search for vital energy. Another example is the sense of unease and oppression felt when standing in a crowd and feeling sucked in. Some people experience this even when in a small, enclosed space, like an elevator, with other people.

These states of unease are likely due to a psychic weakness that prevents one from "protecting" one's vital space. But "prana" or "orgone" is not only present outdoors or in the air; it is everywhere, even where air cannot penetrate. Here we report the experiences of several yogis who, while remaining buried for very long periods in a state of suspended animation, in samadhi, without breathing or blood circulation, managed to maintain life by firmly retaining the pranic energy within the body.

Clearly, this ability to keep vital energy "stable" is linked to willpower. A highly concentrated thought projection performs various miracles, and we observe this through increasingly advanced studies on the power of thought: telekinesis, telepathy, telephoresis, etc. The fact is that even the classical yoga system, that of Patanjali, linked such mental powers to the practice of breath control, especially in the prolonged phase of "kumbaka" (retention), in which the state of consciousness is strong and determined, due to the pressure felt in the suspended vital state.

But from the perspective of mental stillness, saints like Ramana Maharshi recommend regular breathing, with retention limited to the awareness of "Soham" (see above). Indeed, in labored breathing, whether in pleasure or fear or in other altered mental states, the mind is never serene and the body convulses in paroxysmal agony.

Paolo D’Arpini - Committee for Lay Spirituality




Testo Italiano:

Ognuno di noi ha provato che nella forte emozione o quando la nostra concentrazione è più elevata automaticamente si interrompe il flusso del respiro “si resta senza fiato” si dice popolarmente. Questo “restare senza fiato” è anche un aspetto dello yoga pranayama in cui si cerca di ottenere il controllo sulle divagazioni mentali.

Persino grandi maestri come Ramana Maharshi, che insegnava la via dell’autoinvestigazione come metodo per la ricerca del Sé, raccomandava una sorta di pranayama per coloro che non si sentivano pronti all’indagine diretta sul “chi sono io”. Egli consigliava l’ “antha pranayama” (la regolazione interna del respiro) accompagnando le varie fasi del respiro con i seguenti stati di coscienza, o pensieri:   “Durante l’inalazione: (Koham?) chi sono io? – Durante la ritenzione del respiro: (Soham) io sono la Coscienza – Durante l’esalazione: (Naham) io non sono il corpo o la mente”. Facendo così il flusso dei pensieri ne risulta automaticamente controllato ma –ricordiamolo- secondo il Maharshi ed ogni altro grande maestro il più effettivo metodo era la comunione con un Essere pienamente realizzato, lo stare “in compagnia con i santi”. Ma anche qui, a parte l’implicazione spirituale annessa e connessa, si presuppone (in qualche modo) una condivisione della stessa aria, il respiro che entra ed esce dal santo viene ri-trasmesso a chi gli sta d’appresso, evidentemente impregnato dello stato coscienziale del santo.

Sappiamo che nella religione ebraica e cristiana quando viene infusa la vita da Dio all’Uomo si parla di trasmissione del “soffio vitale”. Il respiro è energia primaria, tra l’altro esso è collegato all’olfatto che è il senso più antico, quello ci che pone direttamente in contatto con la realtà esterna. Anche se la respirazione è divenuta una funzione automatica, di cui la mente cosciente a malapena tien conto, essa resta pur sempre la principale connessione con la vita sino “all’ultimo respiro”….

Evidentemente con il respiro non si assorbe solo “aria” nell’organismo ma –come viene insegnato in varie discipline esoteriche- anche “energia vitale”. Questa fu anche la ricerca intrapresa da uno psicologo contemporaneo, Wilhelm Reich, che fece molti esperimenti e studi in tal senso. Egli definì il respiro non solo aria ma “energia orgonica” (la stessa cosa in India è chiamata “prana”). Reich afferma che l’aria è solo un contenitore ma in essa è contenuto un potere chiamato “orgone” (o “elan vital” secondo altri ricercatori francesi). Per questa ragione, diceva Osho, quando si viene ricoverati in un ospedale ci si sente particolarmente stressati e stanchi, poiché lì c’è una ricerca spasmodica di energia vitale. Altro esempio è quello del senso di disagio e oppressione che si prova quando si staziona in mezzo ad una folla e ci si sente risucchiati, alcuni provano questa esperienza anche stando in un piccolo spazio chiuso, come un ascensore, con altre persone….

Probabilmente questi stati di disagio sono dovuti ad una debolezza psichica in cui si è capaci di “proteggere” il proprio spazio vitale. Ma il “prana” od “orgone” non è presente solo all’aperto o nell’aria esso è ovunque anche dove l’aria non può penetrare, e qui si riportano le esperienze di diversi yogi che restando sepolti per lunghissimi periodi in stato di animazione sospesa, in samadhi, senza respirazione né circolazione sanguigna, riuscivano a mantenere la vita trattenendo saldamente l’energia pranica nel corpo.

Chiaramente questa capacità di mantenere “stabile” l’energia vitale è legata alla volontà. Una proiezione di pensiero fortemente concentrata compie diversi miracoli e questo lo osserviamo anche attraverso gli studi sempre più evoluti sulla forza del pensiero: telecinesi, telepatia, teleforesi, etc. Il fatto è che già secondo il sistema yoga classico, quello di Patanjali, si collegavano tali poteri mentali alla pratica del controllo del respiro. Soprattutto nella fase prolungata di “kumbaka” (ritenzione) in cui lo stato di coscienza è forte e determinato, per la pressione percepita allo stato vitale in sospensione.

Ma dal punto di vista della quiete mentale i santi, come Ramana Maharshi, raccomandano una respirazione regolare, con ritenzione limitata alla consapevolezza del “Soham” (vedi sopra). Infatti nel respiro affannoso, sia nel piacere che nella paura od in altri stati mentali alterati, la mente non è mai serena ed il corpo sussulta in agonia parossistica.

Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica

martedì 21 ottobre 2025

La meta non è lontana... è nel momento presente!

 


Il Risveglio  non può essere indotto negli altri con le parole, quel Risveglio  in cui il “se stesso” si  riconosce in Se stesso, l’essere come veramente è, completo, puro, reale, perfetto, senza paure e senza desideri.
 
Ma il “tendere verso” non può essere “aiutato”  reprimendo il compimento del proprio "dharma" (dovere morale o giusto percorso). La scomparsa di paure e desideri deve avvenire spontaneamente, quando scoprendo e amando il nostro vero Sé, non abbiamo più paura di nulla e non abbiamo più desideri.

Così  senza sostenere prove o sentirci stressati possiamo seguire le due vie:  quella dell’amore verso l’esterno e quella della conoscenza verso l’interno. Che poi sono una sola. 

Accompagnandoci lungo il percorso con “gli altri”, tutti gli altri, che  fanno parte di noi.  Capendo noi stessi e conoscendoci conosciamo e capiamo gli altri, e conoscendo gli altri capiamo noi stessi, nei momenti bui e in quelli luminosi, e possiamo rifletterci e far “riflettere” gli altri in noi.

Ad ognuno compete la sua parte nel gioco della Coscienza.

E quando arriviamo a conoscerci e accettarci completamente, le nostre azioni sono consone alle circostanze ma non hanno finalità particolari, non abbiamo bisogno di combattere contro qualcuno, possiamo amare indefinitamente e senza condizioni noi stessi come il resto del mondo.
 
Manifestando le nostre vere  qualità, senza timore delle conseguenze e senza aspettative di risultati.  La vita è un gioco in cui  recitare la propria parte è essenziale.

L’evoluzione procederebbe così e può procedere così non tanto o non solo per tentativi ed errori, ma tramite quella consapevolezza intuitiva, che tira l’intero corpo cellulare e mentale in avanti... 
 
La complementarietà porta all’equilibrio, alla visione chiara dei due aspetti, allo spirito e alla materia, al buio e alla luce, al moto e all’inerzia, nella comprensione che siamo tutti uniti e, come disse il saggio Nisargadatta Maharaj:  “Dolore e piacere sono le creste e gli avvallamenti nell’oceano della beatitudine. In profondità c’è la pienezza assoluta”  
 
Caterina Regazzi e Paolo D’Arpini
 

Post Scriptum  "Ad esempio anche Rama e Krishna, due incarnazioni divine, erano consapevoli dell’Unità ma non si tirarono indietro quando dovettero partecipare ad una guerra che ritenevano giusta. Certo all’inizio fecero di tutto per evitare uno scontro diretto ma poi presero parte a quello che ritenevano il compimento di un loro dovere". 

lunedì 20 ottobre 2025

Ecco, U.G. (per gli amici)… - Ovvero "L'inganno dell'illuminazione"...

 

Uppaluri Gopala Krishnamurti

Sto cercando di rimettere in sesto e riorganizzare la memoria che ho di Roma. Questo perché ritengo che -essendo nato e vissuto per lunghi anni in questa città- sia doveroso per me  fissarne le immagini. Non dispongo di alcun album fotografico, solo i miei ricordi ed ovviamente i ricordi che più facilmente vengono a galla son quelli che mi riportano in linea con la spiritualità laica…


Mi considero fortunato di aver potuto conoscere negli anni trascorsi a Roma  alcuni dei maestri che oggi sono universalmente riconosciuti come Mahatma ovvero i  “grandi dello spirito”.   Di qualcuno ho già raccontato le sensazioni vissute durante l’incontro, come ad esempio  quella volta con il 16° Karmapa, di altri debbo ancora meditare sul significato ed il valore.  Oggi vorrei però raccontare un’importante “tete à tete” che  ebbi con un “personaggio” anomalo della conoscenza, un maestro -non maestro. Un saggio che rifiutava la saggezza come percorso  affermando che  “è la vita stessa che si prende cura di tutto, non c’è bisogno di interferire con l’intenzione di raggiungere la conoscenza, la conoscenza è la nostra vera natura e non può essere ottenuta attraverso processi mentali od una volontaria (ipoteticamente volontaria) ricerca…”. 


Insomma si trattava di un saggio che secondo i nostri canoni potremmo chiamare “nichilista”, ma anche  Buddha fu definito tale e tanti altri “conoscitori del Sé”  che oggi son rispettati come maestri dell’umanità…


L’incontro con questo “ribelle della saggezza”  avvenne chiaramente nel modo più banale possibile, nel tran tran di una normalissima giornata a Roma, una giornata tiepida d’autunno,  con il sole in cielo e  la città sbrilluccicante di specchi e vetrate riflettenti la luce.   Anche Uppaluri Gopala Krishnamurti (questo il nome canonico del “saggio”) rifulge ora nella mia mente come quel giorno di sole…

   

Ecco,  U.G. ( per gli amici)….


La mia sadhana (pratica spirituale) procedeva  retta, vivevo a Roma,  la mia vita leggera e scandita da molteplici esperienze. Nel corso del tempo avviai una sorta di comunione sincretica con  altri cercatori sul cammino, avevo frequentato e conosciuto tutti i gruppi che  operavano a quel tempo in città. Incontrai Baktivedanta Prabupada (il fondatore degli Hare Krishna), Raphael Lacquiniti (fondatore dell’Ashram Vidya),  Satyananda (discepolo di Ananda Moy Ma)  e diversi altri luminari dello spirito, oltre  a conoscere i vari devoti e seguaci di Maharishi Mahesh Yogi, Guru Maharaji, Bagawan Rajneesh, Ananda Marga, etc.  ed anche vari maestri anomali  e cultori di strane sette, come i  “rinomati” Bambini di Dio… etc.


Insomma facevo come Narada che andava da un ashram all’altro a cantare i nomi del Signore (nelle varie forme) confrontandosi con i devoti di diverse  religioni, demoni e dei. Ovviamente avevo notato come ognuno dei “religiosi” incontrati cercasse di tirare l’acqua al proprio mulino.  Quasi tutti  volevano convincermi del loro credo, alcuni arrivando  a dirmi che se non avessi accettato la loro fede era inutile che li frequentassi.  


Mi restavano pochi amici laici, liberi e seriamente consapevoli dell’Unità dietro il nome e la  forma, una di questi era Marisa Saetti, persona squisita che di tanto in tanto andavo a visitare nella  sua casa antica, vicino alla sede del Partito Radicale, in pieno centro storico di Roma.


Un giorno Marisa mi disse: “Sai viene a trovarmi un Jnani (uomo di conoscenza), che vive in Svizzera ma di tanto in tanto passa  da queste parti, si chiama Krishnamurti – ma non è quell’anti maestro dei teosofi-   è  Upalluri Gopala Krishnamurti, detto U.G.  uno che sta per conto suo, sarà qui a pranzo da me domani, perché non vieni anche tu a farci compagnia?”.


Accettai l’invito e l’indomani mi ritrovai sulla  grande terrazza, noi tre soli, Marisa, U.G. ed io, come ad un incontro fra persone  qualsiasi, magari un po’ borghesi. 


Osservavo U.G. con la coda dell’occhio,  un uomo di mezza età che poteva  essere un impiegato di Bombay, vestito come un indiano occidentalizzato, pantaloni scuri, camicia bianca sbottonata sul collo e  mi pare anche una giacca.  Dopo le presentazioni alquanto formali ognuno pareva interessato agli affari suoi, io gironzolavo sulla terrazza, Marisa preparava il pranzo, U.G. se ne stava seduto in silenzio. 


Non volevo assolutamente affrontare alcun discorso spirituale   e perciò mi guardavo bene dall’attaccar bottone, ma con mia meraviglia mi avvidi che U.G. sembrava ancor meno di me interessato a chiacchierare, anzi non mi guardava nemmeno. Ad un certo momento notai persino che sparì all’interno della casa. Memore di come fossi stato importunato in passato da tutti quei “maestri” e discepoli incontrati, che volevano trasmettermi i loro sublimi messaggi, restai un po’ perplesso dall’atteggiamento di Uppaluri Gopala.


Nel frattempo Marisa annunciò che il pranzo era pronto, chiedo di lavarmi le mani e Marisa mi indica il bagno,  vi entro e mi accorgo che era già occupato da Uppaluri Gopala, mi sento un po’ in imbarazzo e faccio per uscire, vedo però che  lui resta immobile, come in catalessi… Non avevo suscitato in lui  alcuna reazione,  non stava facendo nulla di speciale, era lì in piedi che guardava fissamente la vasca da bagno…  a quel punto  ritorno verso il lavello e mi lavo le mani con noncuranza, nel frattempo anch’egli  sembrò uscire da quello  “stato di sconnessione”  e viene a sedersi a tavola. 


Pranzo molto inglese, non per il cibo -ottimo- cucinato da Marisa,  ma per l’aria distaccata di tutti noi che mangiavamo con sussiego scambiando solo parole necessarie, tipo “vuoi ancora? – qui c’è l’acqua, etc.”. Decisamente sembrava che U.G. non volesse  “convertirmi”  a nulla, la mia curiosità  verso quest’insolito maestro era stata risvegliata ma non “abbastanza”  da fargli qualsivoglia domanda “spirituale”. In fondo di fronte ad un Jnani (un saggio) cosa si può dire se non parole vuote per lui e fuorvianti per noi?   


Solo anni dopo, leggendo la sua biografia mi accorsi che quello era esattamente ciò che aveva voluto comunicarmi:

Sto parlando? Sto dicendo qualche cosa? E’ come l’ululato dello sciacallo, l’abbaiare di un cane o il raglio di un asino. Se riuscite a porre quello che dico allo stesso livello e sentire solo le vibrazioni  siete fuori dall’inganno e  non andrete mai più a sentire nessuno. Finito. Non si dovrebbe parlare di autorealizzazione. Voi realizzerete che non c’è la realizzazione, questo è tutto.  Non  esiste un centro, giusto c’è  la vita che sta lavorando in un modo straordinario…”. 

    

Paolo D’Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica





Racconto tratto da: 


mercoledì 15 ottobre 2025

Spiritual seeking liberates... - La ricerca spirituale libera...

 


Spirituality does not belong to any religion; it is the true nature of man. The spirit is present in all that exists; it cannot therefore be reached through a specific path, since it is already there even in the attempt to pursue it.

Laity is the state of absolute "freedom" from all established thought forms, be they ideological or religious. "Laikos," in Greek, means one who is outside of any social and religious context, meaning one who does not belong to any social or religious order.

Spiritual seeking does not mean pursuing a codified path, a set of rules of faith, or belonging to a creed; the spiritual seeker is simply one who looks within himself, one who recognizes the Whole in himself and himself as the Whole.

From this perspective, spiritual seeking can be considered a strictly personal matter, so the true spiritual seeker is absolutely secular, while at the same time recognizing what is within him as present in everything else. Reconciling one's personal path with that of anyone else means knowing how to flow without obstruction, learning and transmitting without demands; in short, it's about making peace with ourselves and with others.

This absolute freedom also includes absolute love and respect, as there are no preconceived notions or absolutist references to a specific path.

Lay Spirituality is a path where there can be no dogma or religious guidelines. This is the path where no path is followed. The path is completely absent; in lay spirituality, what matters is simple presence to oneself, and this cannot be a path but simply a focus on one's current state.

Consciousness is aware of consciousness.

And this is normal, since lay spirituality cannot be anything new but only a "descriptive way" of something that already exists. If that something weren't already there, what would be the point of being "aware" of it?

Therefore, Lay Spirituality and Awareness are one and the same. But we know that pure self-awareness is unfortunately often tainted by superimposed images, created by our mind; these images are what we imagined spirituality to be.

Accepting oneself as something completely unfathomable and unknowable, not referable to any ideological or religious axiom, means remaining suspended in the void, being empty. It is impossible to discern the boundaries of one's being. This lack of identification with any structural form (of thought or otherwise) is simultaneously also the "strength" of spiritual laity.

There are no safe harbors, no boat, no sea, no one and nothing to search for... only the current of life, of consciousness, only the sense of being present. In this lack of conditions, it is possible to feel our ego surrender, our mind dissolve, thus discovering the "Center" which in truth is not a center because it is all that is, without center or periphery.

The feeling of lay spirituality is comparable to the feeling of deep ecology. Indeed, both share the full awareness of belonging to an "inseparable whole." Deep ecology focuses more on the external aspect of this "whole," while lay spirituality focuses on the internal aspect. Through this external-internal integration, we fill a huge gap in our thinking and action.

Everything around us and we ourselves are one and the same; we are immersed in ourselves like water in water, yet we continue to behave as if we were separate, treating what we believe to be "outside us" as if it were "other" than us. Is there a greater wonder than this?

Paolo D'Arpini - Committee for Lay Spirituality




Testo Italiano: 

La spiritualità non appartiene ad alcuna religione; essa è la vera natura dell’uomo. Lo spirito è presente in tutto ciò che esiste, non può quindi essere raggiunto attraverso uno specifico sentiero, poiché esso è già lì anche nel tentativo di perseguirlo.

La laicità è la condizione di assoluta “libertà” da ogni forma pensiero costituita, sia essa ideologica o religiosa. “Laikos”, in greco, sta a significare colui che è al di fuori di ogni contesto sociale e religioso, ovvero non appartiene ad alcun ordinamento sociale o confessionale.

Quando si parla di ricerca spirituale non si intende il perseguire un sentiero codificato, una normativa fideistica, un’appartenenza ad un credo; il cercatore spirituale è semplicemente colui che guarda sé stesso, colui che riconosce il Tutto in sé stesso e sé stesso come il Tutto.

Da questo punto di vista la ricerca spirituale può essere considerata un fatto strettamente personale, quindi il vero cercatore spirituale è assolutamente laico, allo stesso tempo riconosce ciò che è in lui come presente in ogni altra cosa. Conciliare la propria via personale con quella di chiunque altro significa saper fluire senza ostruire, apprendere e trasmettere senza pretendere, insomma si tratta di fare la pace con noi stessi e con gli altri.

Questa assoluta libertà comprende anche assoluto amore e rispetto, non essendoci assunzioni di posizioni precostituite e riferimenti assolutistici ad uno specifico sentiero.

La Spiritualità Laica è una via in cui non possono esserci dogmi o indicazioni religiose. Questa è la via in cui non si segue nessuna via. Il percorso è completamente assente, nella spiritualità laica ciò che conta è la semplice presenza a se stessi e questo non può essere un percorso ma una semplice attenzione allo stato in cui si è.

La coscienza è consapevole della coscienza.

Ed è normale che sia così poiché la spiritualità laica non può essere nulla di nuovo ma solo un “modo descrittivo” di un qualcosa che c’è già, infatti se quel qualcosa non ci fosse già che senso avrebbe esserne “consapevoli”?

Perciò Spiritualità Laica e Consapevolezza sono la stessa identica cosa. Ma noi sappiamo che la pura consapevolezza di sé è purtroppo spesso macchiata da immagini sovrimposte, create dalla nostra mente, queste immagini sono ciò che noi abbiamo immaginato possa essere la spiritualità.

Accettare se stessi come qualcosa di completamente insondabile ed in conoscibile, non riferibile ad alcun assioma di derivazione ideologica o religiosa, significa restare sospesi nel vuoto essendo vuoto. Impossibile poter scorgere i confini del proprio essere.  Questa mancanza di identificazione in qualsiasi forma strutturale (di pensiero e non) è contemporaneamente anche la “forza” della laicità spirituale. 

Non vi sono porti sicuri di approdo, non vi è barca, non c’è un mare, nessuno e nulla da ricercare… solo la corrente della vita, della coscienza, solo il senso di essere presenti. In questa mancanza di condizioni è possibile sentire il nostro io arrendersi, la nostra mente sciogliersi, scoprendo così il "Centro" che in verità non è un centro perché è tutto ciò che è, senza centro né periferia.

Il sentire della spiritualità laica è equiparabile al sentire dell'ecologia profonda. Anzi entrambi condividono la piena consapevolezza di appartenere ad un "tutto inscindibile". L'ecologia profonda prende maggiormente in esame l'aspetto esterno di questo "tutto" mentre la spiritualità laica si occupa dell'aspetto interiore. Attraverso questa integrazione esterno-interno riempiamo una falla enorme nel pensiero e nell'azione.

Tutto quel che ci circonda e noi stessi siamo la stessa identica cosa, siamo immersi in noi stessi come acqua nell'acqua eppure continuiamo a comportarci come fossimo separati, disponendo di ciò che riteniamo "sia al di fuori di noi" come  fosse "altro" da noi. C'è una meraviglia più grande di questa?

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualià Laica 

martedì 14 ottobre 2025

I had a dream too... - Anch'io ho fatto un sogno...



...I saw that a small group of friends had gathered to decide how to save the world. At first, we were just a handful, as they say, then gradually other people of all races arrived: Middle Eastern, Chinese, African, and so on. The goal wasn't so much to find solutions to avoid what seemed inevitable, but rather to maintain an intelligence, a seed, for the continuation of the human species.

Finally, we had to prepare for a final war, and the expert's advice was: "To survive a war, you must not let yourself be overwhelmed by emotions, but rather try to fulfill what is necessary without worrying about the consequences." I agreed with him... And aren't we today on the verge of a global war for the survival of humanity? What can we solve with our chatter and our small actions to save the world?

Remaining firm without being swept away by "sensations," living in the present moment, facing whatever lies before us without projecting a purpose or a reason...

Planet Earth has experienced many other dramatic situations. What matters is maintaining intelligence and the ability to survive, and this ability, as we saw on Bikini Island, site of French nuclear tests, has unimaginable strength.

In fact, where death was expected, an exceptionally vital and prosperous ecosystem has been discovered, especially in the "absence" of man.

Life's capacity to elaborate will mock "scientific" arrogance, and despite apparent blindness, man will not be able to destroy life (of which he himself is an emanation). And this, despite the sterile human collection of information, which has prevailed over the ability to rediscover the freshness of life day by day, the capacity for self-preservation will ultimately "assert itself."

I see it in what happens in the cracks of the asphalt, amid the garbage, among the most pestilential poisons of this opulent and somewhat stupid society... Yet man is the sum of a complicated network of complexes, psychoses, neuroses, instincts, fixations, and intuitions!

No living thing is capable of leading an existence detached from the rest of existence. But in nature, "everything has its place, and every place has its thing." Therefore, I maintain the position of a non-interventionist observer. The ability to survive in any environmental condition will ensure the maintenance of existence, that's for sure...

Paolo D'Arpini - Italian Bioregional Network



Testo Italiano: 

...Ho visto che un piccolo gruppo di amici si era riunito per decidere come salvare il mondo. All’inizio eravamo quattro gatti come suol dirsi poi a mano a mano giungevano altre persone di tutte le razze: mediorientali, cinesi, neri, etc. Lo scopo non era tanto quello di trovare soluzioni per evitare ciò che appariva inevitabile bensì di riuscire a mantenere un’intelligenza, un seme, per la continuazione della specie umana. 

Infine dovevamo prepararci ad una guerra finale e il consiglio dell’esperto era: “Per sopravvivere ad una guerra occorre non lasciarsi travolgere dalle emozioni cercando bensì di adempiere a quanto necessario senza preoccuparsi delle conseguenze”. Ero anch’io d’accordo… E non siamo forse oggi in procinto di una guerra globale per la sopravvivenza dell’Umanità? Cosa possiamo risolvere con le nostre chiacchiere e le nostre piccole azioni per salvare il mondo?

Restare saldi senza farsi trascinare dalle “sensazioni”, vivere nel momento presente affrontando quel che ci si para d'innanzi senza proiettare un fine, una ragione...

Di situazioni drammatiche il pianeta Terra ne ha vissute ben altre. Quello che conta è il mantenimento dell’intelligenza e della capacità di sopravvivenza e tale capacità, come abbiamo visto accadere nell’isola di Bikini, sede degli esperimenti nucleari francesi, ha una forza inimmaginabile.

Infatti lì dove ci si aspettava la morte si è invece scoperto un ecosistema eccezionalmente vitale e prospero, soprattutto in “assenza” dell’uomo.

 La capacità elaborativa della vita si farà beffe dell’arroganza “scientifica” e, malgrado l’apparente cecità, l’uomo non potrà distruggere la vita (di cui egli stesso è emanazione). E questo nonostante la sterile raccolta umana di informazioni, che ha preso il sopravvento sulla capacità di riscoprire giorno per giorno la freschezza della vita, alla fine la capacità di conservazione saprà “affermarsi”.

Lo vedo in quel che succede negli interstizi dell’asfalto, in mezzo alle immondizie, tra i veleni più pestilenziali di questa società opulenta ed un po’ tonta… Eppure l’uomo è la somma di una complicata rete di complessi, psicosi, nevrosi, istinti, fissazioni e intuizioni!

Nessuna cosa viva è in grado di condurre in se stessa un’esistenza distaccata dal resto dell’esistente. Ma in natura “ogni cosa ha il suo posto ed ogni posto ha la sua cosa” Perciò mantengo una posizione di osservatore non interventista. La capacità di sopravvivenza in qualsiasi condizione ambientale provvederà al mantenimento dell'esistenza, questo è certo...

Paolo D’Arpini - Rete Bioregionale Italiana