martedì 1 luglio 2025

L'inquinamento acustico e musicale... mette a rischio l'intelligenza umana!


                                                      Foto di Gustavo Piccinini 


Solitamente l’immagine che si ha del rumore è legata alle attività lavorative, si pensa ad un martellar di lamiere, colpi d’ascia, motori che sibilano, traffico, ululati di sirene…. Solo a pensarci ci si sente infastiditi sia nell’olfatto che nell’udito! Ma è soprattutto il “rumore da divertimento” che è irritante e dannoso anche se viene considerato fonte di delizia e di esaltazione. Mi riferisco ovviamente ai decibel delle tiritere strombazzate dalle auto in corsa, fuoriuscenti dalle porte di localacci ambigui, dalle finestre delle case con televisioni accesi giorno e notte, dagli stereo dei venditori ambulanti, dalle cadenze hard rock di discoteche e club privati, e persino all'interno delle aree protette. etc.etc.

Quali sono le conseguenze sulla mente e sul corpo umano di queste cadenze emesse senza sosta? L’elettroencefalogramma evidenzia rallentamento dei ritmi, alterazioni dell’attività elettrica delle cellule nervose, riduzione dei riflessi e della memoria, eccitabilità e mancanza di risposte adeguate alle situazioni contingenti, anche alcune forme di cefalea possono essere collegate a traumi acustici. Il sottoporsi a rumori eccessivi porta a disturbi urinari e mestruali, fertilità e libido ne risentono anch’esse.

Le persone che vivono o lavorano in ambienti rumorosi sono le più soggette a fenomeni quali l’ipertensione o l’improvvisa elevazione della pressione sanguigna, a rischio sono soprattutto le persone soggette a problemi cardiocircolatori. Alcuni test di laboratorio hanno infatti dimostrato che se sottoposti ad un rumore di 90 decibel per 10 minuti i malati presentano evidenti alterazioni nell’elettrocardiogrammma.

Insomma il rumore in eccesso è puro veleno per l’uomo!

Il rumore di fondo al quale siamo esposti non dovrebbe superare i 60 decibel ma è un limiti ampiamente superato sia in Italia che all’estero. Tutto questo baccano oltre che portare ai disturbi sopra indicati ha anche altre disagevoli conseguenze: disabitua l’orecchio all’ascolto. Infatti l’inquinamento acustico ci porta ad ignorare (nel livello cosciente) quei suoni che il nostro udito non può sopportare, che è una sorta di sordità o distrazione psicologica. Oggi per combattere l’inferno del “baccano” si contrappone la semplice diminuzione (insonorizzazione) delle emissioni ma questo è un approccio meramente negativo.

Dobbiamo invece far sì che gli studi sull’acustica ambientale abbiano un valore positivo. Quali sono i suoni che intendiamo privilegiare, conservare, moltiplicare? Per capire questo discorso dobbiamo imparare a scegliere il rumore al quale sottoporci. Possiamo cominciare discriminando fra l’ascolto volontario della nostra melodia preferita ed il martellamento della musica indiretta. Questa presa di coscienza non ci potrà certo impedire l’ascolto della musica indiretta, spesso ammannitaci nelle forme più subdole come quando si va al supermercato o si ascoltano musiche strane su internet o televisioni (e dir si voglia), ma ci consentirà comunque di abituarci al distacco ed al discernimento in modo da non cadere vittime degli incantatori pubblicitari.

Infatti la sottomissione passiva (ignorante) alla musica indiretta è fonte di stravolgimento culturale e mutazione dei costumi (esattamente ciò che vuole la pubblicità..). Se restiamo vittime di questo influsso la musica, che è l’arte più vicina alla spirito (essendo nata proprio in funzione del nutrimento spirituale) ed orgoglio della nostra tradizione millenaria, smette di essere una cosa nata per “illuminare” la mente umana, allietando il nostro vivere, ma diventa fonte di confusione ed alienazione dalla vita (cosa tanto gradita a satana).

Oggi nella società in cui tutto è consumo ed appropriazione materialistica anche la musica è una merce di cui “godere” senza ritegno sino alla nausea ed alla negazione dell’armonia. “Gli uomini, cosiddetti civilizzati, sono diventati feroci uditori ma in realtà non sanno più ascoltare! Usano il suono come una droga stordente dimenticando così di godere del significato e del valore di quanto viene ascoltato” (Walter Maioli, etnomusicologo).

Come affermavo sopra anche le culture aborigene sono minacciate dalla massificazione musicale in corso, la musica dolce e profonda dell’oriente, delle Americhe o d’Australia rischia di restare contaminata irrimediabilmente dall’ondata volgare di suoni elettronici e decadenti della musicaccia occidentale di taglio consumista. “E’ pur vero che le diverse civiltà possono crescere attraverso ibridazioni e contatti, ciò è sempre avvenuto in passato, ma dovrebbero poter continuare ad evolversi senza subire una colonizzazione assoluta e perciò inaccettabile” (Roman A. Vlad, musicista). 

Nell’ascolto non si tratta perciò di mettere in contrapposizione la musica elaborata, ricca di significati simbolici, con quella popolare e primitiva… piuttosto, ai vari livelli, di sottolineare la profonda e radicale differenza delle finalità fra un prodotto di consumo ed opere in cui la ricerca estetica continua ad essere portata avanti.

E qui torniamo al problema dell’inquinamento acustico… (e non solo nelle città, poiché ormai esso impera ovunque) per scoprire che mentre un pubblico sempre più vasto si sottopone, più o meno volontariamente, ai prodotti musicali di consumo, s’impone per “l’ascoltatore” di qualità un eccessivo sforzo discriminatorio e di pazienza per non restare coinvolto e sconvolto dal rumore della diffusione di massa.

Occorre evitare che la capacità melodica, che fece sognare l’uomo per millenni e che è ormai una componente emozionale della sua vita spirituale, cada vittima dei “petrolieri” musicali. La melodia, che ha il silenzio come base, non deve infatti soccombere ad un’era perversa e sordida frastornata da ogni rumore. Il rischio inverso, dicevo sopra, è l’assuefazione inconscia al frastuono e la perdita totale della capacità di ascolto.

E vorrei ora ricordare ai convalescenti desiderosi di cure melodiose un qualcosa che possiamo fare per recuperare l’amore per i suoni naturali. Quando ci rechiamo in campagna, sulla riva di un fiume, in qualsiasi ambito naturale, abituiamo l’orecchio al vuoto, spegniamo ogni brusio tecnologico, non parliamo, lasciamo che la natura trasmetta i suoi messaggi: il ronzio di un’ape sui fiori, il guizzo d’ala di un passero, un refolo di vento tra le foglie, il fruscio dei nostri passi sul sentiero… In tal modo sentiremo nascere dentro di noi una nuova armonia, che parte dal cuore…

Paolo D’Arpini   -  Rete Bioregionale Italiana 





lunedì 30 giugno 2025

Some considerations on the implementation of bioregional objectives... - Alcune considerazioni sull'attuazione degli obiettivi bioregionali...

 


“It is good practice, in the bioregional approach, to first of all try to understand the area in which one lives, delimiting it through the geomorphological study of the territory, flora and fauna. The bioregion is a homogeneous area defined by the interconnection of natural systems and the living beings that inhabit them. A bioregion is a set of relationships in which humans are called to live and act as part of the larger natural community that defines their life. The bioregional idea essentially consists in resuming one’s role within the larger community of living beings and in acting as part and not apart from it, correcting the behaviors induced by the affirmation of a global economic and political system, which has placed itself outside the laws of nature and is devastating, at the same time, nature itself and the human being”

“Bioregional implementation in a political key. Bioregionalism has two objectives: to recover and protect the natural environment as much as possible; to redraw new borders of the regions, finally taking into account their ethnic, environmental, linguistic, social and productive characteristics. All this in a vision of the State that "instead of administering itself, through the sole protection of the bureaucracy, (among the most backward in the world), finally and seriously deals with the great national problems and the protection of citizens"

".. the image that one wants to evoke with the word "bioregionalism" a neologism used by Peter Berg himself. Let's say that "bioregionalism" distinguishes a way of thinking that starts from the profound need to reconnect a sacred relationship with the earth. This relationship is conquered starting from the desire to understand - reinhabiting it - the place in which we live. A bioregion is not an enclosure whose boundaries are definitively established but a sort of magnetic field (aura – spiritus loci) distinguishable from neighboring fields only by the intensity of the characteristics that form its identity, just like human beings, simultaneously different and similar to each other…”

“By recognizing the existence of the different realities of our daily lives, we are able to grasp their richness and uniqueness, preserving their memory as a cultural heritage. In this way, we can grasp the soul of the place where we live, where mind and body merge in a profound act of love and gratitude towards this land that has given us life, which contains the cosmic laws. Defending it implies all this, in the full awareness that there is another very insidious reality, that of the loss of identities, of the destruction of cultures with their uniform landscapes, close to deserts..”

“The experience of vegetable gardens and urban agriculture, albeit with a few years of delay, is spreading very quickly also in Italy. If there were a mapping, we would see thousands of dots drawn on the map of Italy: self-organized groups, educational vegetable gardens, vegetable gardens on the balcony, flower beds cultivated with lettuce, synergistic vegetable gardens. Between ring roads, overpasses, bridges, traffic lights, highways, here and there a vegetable garden appears in all its beauty”

“…we cannot do without biodiversity, or the natural systems that support the survival of us all. We observe that desertification is advancing everywhere (not only drought but also loss of humus following the washing away of surface soils), deforestation, improper use of land for electricity production, soil impoverishment due to monocultures, changes in the environment and, in general, the dispersion of the biological heritage of animal and plant species, all aspects that determine a considerable economic loss also in the economy.... The only "development" that allows the life of the biosphere is a completely non-material process, something that means the evolution of culture, art, spirituality"

"Ours is the work of those who love to watch the winter end and the spring advance, to hear the woodpecker drumming, to feel the sudden rustling of flocks of finches above their heads like the wing of an angel. What economic calculation can we make of this work, which also includes the sensation of being caressed by an angel's wing? I tried to give a small and concrete example of a way of working that takes care of the earth and other beings because I would like to ask a question. Is it conceivable that a political administration - of any organizational level - legislates around this slow way of working?”

"The world is a great bioregional laboratory. Perhaps we do not need to resort to History which, with the interpretations of those who report, narrate, comment on human facts and behaviors, does not allow us to live or relive experiences that adhere to the reality of the times. Perhaps we need to turn to that great laboratory that is the world today. In fact, at this moment we can enter into history, we can look at all those populations present in the world today, who are representative of realities that range from a state that is not far from the primordial one to that which represents the most advanced state of technology. This game of nature allows us to directly observe systems of social, cultural and economic aggregation, to interpret them and to try to understand what to do to overcome old and new miseries and to be enthusiastic actors in the project of building a fair, supportive, happy world, and therefore with a future"

"LET'S PREPARE ourselves to live in a world with fewer resources, less energy, less abundance and perhaps more happiness. There have never been so many crises all together: climate, environment, energy, natural resources, food, waste, economy. And yet the threat of catastrophe does not scare anyone. What to do? We need a new collective intelligence. Stop debates between uninformed politicians or those in conflict of interest. If we wait for them, it will be too late, if we manage on our own it will be too little, but if we work together we can really change."

"We need an intellectual and loving shake-up in our attitude, we need to start a bio-reasoning within the institutions. We need to enter the deep meshes of human thought and the social context in which we live and fulfill the duty to manifest "bioregionalism", "deep ecology" and "lay spirituality" in this society, both urban and rural, technological and simplistic, complex and easy, in short, we need a leap of the kidneys and brain...!"

Thoughts collected by Paolo D'Arpini - Italian Bioregional Network



Testo Italiano: 

“E’ buona norma, nell’approccio bioregionale, prima di tutto tentare di conoscere l’ambito in cui si vive, delimitandolo attraverso lo studio geomorfologico del territorio, della flora e della fauna. La bioregione è un’area omogenea definita dall’interconnessione dei sistemi naturali e dai viventi che la abitano. Una bioregione è un insieme di relazioni in cui gli umani sono chiamati a vivere e agire come parte della più ampia comunità naturale che ne definisce la vita. L’idea bioregionale consiste essenzialmente nel riprendere il proprio ruolo all’interno della più ampia comunità di viventi e nell’agire come parte e non a parte di essa, corregendo i comportamenti indotti dall’affermarsi di un sistema economico e politico globale, che si è posto al di fuori delle leggi della natura e sta devastando, ad un tempo, la natura stessa e l’essere umano”


“L’attuazione bioregionale in chiave politica. Il Bioregionalismo ha due obiettivi: recuperare e tutelare al massimo l’ambiente naturale; ridisegnare nuovi confini delle regioni, tenendo finalmente conto delle loro caratteristiche etniche, ambientali, linguistiche, sociali e produttive. Il tutto in una visione della Stato che ”invece di amministrare se stesso, attraverso la sola tutela della burocrazia, (tra le più arretrate del mondo), si occupi finalmente e seriamente dei grandi problemi nazionali e della tutela dei cittadini”


“..l’immagine che si vuole evocare con la parola “bioregionalismo” un neologismo usato dallo stesso Peter Berg. Diciamo che il “bioregionalismo” contraddistingue un modo di pensare che muove dall’esigenza profonda di riallacciare un rapporto sacrale con la terra. Questo rapporto si conquista partendo dalla volontà di capire -riabitandolo- il luogo in cui viviamo. Una bioregione infatti non è un recinto di cui si stabiliscono definitivamente i confini ma una sorta di campo magnetico (aura – spiritus loci) distinguibile dai campi vicini solo per l’intensità delle caratteristiche che formano la sua identità, alla stessa stregua degli esseri umani, contemporaneamente diversi e simili l’uno all’altro…”


“Riconoscendo l’esistenza delle diverse realtà delle nostre quotidianità siamo in grado di coglierne la ricchezza e l’unicità, conservandone la memoria quale eredità culturale. Possiamo in tal modo cogliere l’anima del luogo dove abitiamo, ove mente e corpo si fondono in un atto profondo d’amore e di gratitudine verso questa terra che ci ha donato la vita, la quale racchiude le leggi cosmiche. Difenderla implica tutto questo, nella piena consapevolezza che esiste un’altra realtà molto insidiosa, quella della perdita delle identità, della distruzione delle culture con i loro paesaggi uniformi, prossimi ai deserti..”


“L’esperienza degli orti e dell’agricoltura urbana, seppur con qualche anno di ritardo, si sta diffondendo molto velocemente anche in Italia. Se esistesse una mappatura, vedremmo migliaia di puntini disegnati sulla cartina dell’Italia: gruppi auto-organizzati, orti didattici, orti sul balcone, aiuole coltivati a lattuga, orti sinergici. Tra tangenziali, cavalcavia, ponti, semafori, autostrade, ecco apparire qua e là un orto in tutta la sua bellezza”


“…non si può fare a meno della biodiversità, ovvero i sistemi naturali che sostengono la sopravvivenza di noi tutti. Osserviamo che ovunque avanza la desertificazione (non soltanto siccità bensì perdita dell’humus in seguito al dilavamento dei terreni di superficie), la deforestazione, l’utilizzo improprio dei terreni per produzione elettrica, l’impoverimento dei suoli dovuti a monoculture, la modifica dell’ambiente e, in generale, la dispersione del patrimonio biologico delle specie animali e vegetali, tutti aspetti che dederminano una perdita economica considerevole anche nell´economia…. L’unico “sviluppo” che consente la vita della biosfera è un processo completamente non-materiale, qualcosa che significhi l’evolversi di cultura, arte, spiritualità”


“Il nostro è un lavoro di chi ama osservare l’inverno che finisce e la primavera che avanza, sentire tamburrellare il picchio, sentire l’improvviso fruscìo degli stormi di fringuelli sopra la testa come l’ala di un angelo. Quale calcolo economico possiamo fare di questo lavoro, che faccia rientrare anche la sensazione di essere lambiti da un’ala di angelo? Ho cercato di dare un esempio piccolo e concreto di un modo di lavorare che abbia cura della terra e degli altri esseri perché vorrei fare una domanda. E’ concepibile un’amministrazione politica -di qualunque livello organizzativo- che legifera attorno a questa modo di lavorare slow?”


“Il mondo è un grande laboratorio bioregionale. Forse non abbiamo bisogno di ricorrere alla Storia che con le interpretazioni di chi riporta, narra, commenta, fatti e comportamenti umani, non ci fa vivere o rivivere esperienze aderenti alla realtà dei tempi. Forse ci dobbiamo rivolgere a quel grande laboratorio che è il mondo oggi. Di fatto, in questo momento possiamo entrare nella storia, possiamo guardare a tutte quelle popolazioni presenti oggi nel mondo, che sono rappresentative di realtà che vanno da uno stato che non si discosta molto da quello primordiale a quello che rappresenta lo stato più avanzato della tecnologia. Questo gioco della natura ci consente un’osservazione diretta di sistemi di aggregazione sociale, culturale ed economica, di interpretarli e di cercare di capire che fare per superare le vecchie e le nuove miserie e di essere attori entusiasti nel progetto di costruzione di un mondo equo, solidale, felice, e quindi con un futuro”


"PREPARIAMOCI a vivere in un mondo con meno risorse, meno energia, meno abbondanza e forse più felicità. Non ci sono mai state tante crisi tutte insieme: clima, ambiente, energia, risorse naturali, cibo, rifiuti, economia. Eppure la minaccia della catastrofe non fa paura a nessuno. Come fare? Ci vuole una nuova intelligenza collettiva. Stop a dibattiti fra politici disinformati o in conflitto d’interessi. Se aspettiamo loro sarà troppo tardi, se ci arrangiamo da soli sarà troppo poco, ma se lavoriamo insieme possiamo davvero cambiare."


“Ci vuole uno scossone intellettuale ed amorevole nella nostra attitudine, occorre avviare un bio-ragionamento all’interno delle istituzioni . Dobbiamo entrare nelle maglie profonde del pensiero umano e del contesto sociale in cui viviamo ed ottemperare al dovere di manifestare il “bioregionalismo”, “l’ecologia profonda” e la “spiritualità laica” in questa società, sia urbana che rurale, tecnologica e semplicistica, complessa e facile, insomma serve uno scatto di reni e di cervello…!”

Pensieri raccolti a cura di Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana

domenica 29 giugno 2025

Arcani. Storia e psicostoria...



Il mio primo maestro in psicostoria è stato Isaac Asimov, un docente universitario nonché scrittore di fantascienza. Proprio dai suoi libri appresi che la storia non può stare nei libri. La storia -quella vera- è presente nella psiche collettiva e nella materia coinvolta negli eventi. Ciò che viene definita “storia” è al meglio una cronaca aggiustata in funzione di soddisfare le esigenze dei potenti coinvolti negli eventi descritti oppure rispecchia le posizioni ideologiche dei narratori, che debbono in ogni caso far sempre i conti con il potere in carica... Lo vediamo anche nelle cronache attuali, quelle dei giornali, radio e tv, in cui la narrazione dei fatti è sempre aggiustata al fine di soddisfare un “potere” od un “idea”…
Isaac Asimov, come si intuisce dal nome, fu un ebreo americano di origine russa, la sua passione segreta fu quella di immaginare incredibili eventi intergalattici, mai avvenuti ma che avrebbero potuto avvenire. Insomma faceva il professore e scriveva libri scientifici ma era più conosciuto per i suoi romanzi di fantascienza.  Ed è su uno di quei romanzi che conobbi il concetto di psicostoria… Ma ovviamente quel concetto era appena abbozzato in modo da lasciare al lettore, come me, spazio per ipotizzare risvolti e significati occulti.
Beh, a questo punto non so più se nella mia mente stia seguendo le ipotesi di Asimov oppure sia subentrato una nuova ispirazione che mi consente oggi di parlare così liberamente e compiutamente di questa materia. Intanto cominciamo a stabilire cosa significhi (per me) psicostoria.
Secondo la teoria di un altro grande scienziato (anche lui di origine ebrea), Albert Einstein Una forma che si manifesta nella spazio è semplice durata nel tempo. Come dire che la proiezione energetica della forma è individuabile soltanto in rapporto con la sua prosecutio temporale. Da qui l’idea che ogni cosa ed ogni accadimento sono semplici proiezioni spazio temporali, e pertanto “immaginarie”, ovvero percepibili attraverso la coscienza, che è invero un continuum inscindibile… Solo una coscienza riflessa, quella della mente, è in grado di fermare i fotogrammi nel caotico flusso energetico spaziotemporale rendendo le forme, i fatti, insomma ciò che compone lo svolgimento dell’agire, non solo visibili ma anche consequenziali e sperimentabili sensorialmente.
Nella descrizione degli eventi, definita storia, prevale l’impressione dell’osservatore (come sopra evidenziato), questa è la caratteristica della mente individuale che, percependo attraverso la rete di sue predisposizioni, interpreta ed aggiusta i significati delle azioni vissute o riportate.
A questo punto per conoscere la “verità” storica occorre rivolgersi alla psicostoria, ovvero alla capacità di lettura della memorizzazione automatica, empirica, della registrazione contabile non percettibile, presente nell’insieme degli eventi. Per cui se vogliamo conoscere la storia, quella vera, è necessario introdursi nel magazzino akashico della funzione mnemonica vitale, che è presente in chiave olografica in ognuno di noi.
Bisogna pescare nell’inconscio, bisogna percepire quello che è presente nella mente universale in forma di traccia mnemonica psico-fisica. Bisogna comprendere gli eventi narrati non solo dal punto di vista del narratore ma di quello dei vari personaggi descritti. Bisogna sprofondare nel mondo archetipale e sapersi riconoscere in ognuno dei “modelli” evocati. Bisogna lasciar andare la ragione e l’analisi per soffermarsi sulla memoria collettiva dalla quale possono così emergere messaggi e intuizioni diverse dalle conclusioni descritte nella storia ufficiale.
Isaac Asimov si prefiggeva di arrivare a ciò attraverso l’analisi memorica residua impressa negli oggetti coinvolti negli eventi. Ad esempio se volessimo stabilire la verità sui fatti che hanno accompagnato la morte di Gheddafi, pur in assenza del suo cadavere, che ovviamente potrebbe essere il miglior trasmettitore, potremmo utilizzare un qualsiasi oggetto da lui posseduto ed usato in quei momenti fatidici,  la sua pistola d’oro? I suoi stivali? Ma io personalmente non supporto questa visione “fisicista” preferendo quella “psichica” della rielaborazione all’interno della mente, con richiami specifici all’evento, attraverso una specie di trance meditativa, un po’ quel che avviene ai medium durante le sedute spiritiche.
Con questo metodo possono aversi risultati “stravolgenti” rispetto a quelle che sono le opinioni sulle cause degli eventi storici, ad esempio nell’analisi che stabilisce i motivi della caduta dell’impero romano di solito si evidenziano sia la decadenza dei costumi, sia la calata dei barbari ma non si tiene mai conto delle conseguenze dell’affermazione cristiana, che fu veramente un fatto disgregante e distruttivo della romanità, trasformandola da civiltà politica laica in mera fondazione religiosa.
E qui mi sembra utile fare una piccola disgressione. Dopo la scoperta dei rotoli di Qumran è risultato evidente che gli insegnamenti e le cronache in essi contenuti anticipavano di fatto tutti gli insegnamenti cristiani. Solo che quei rotoli erano di molto antecedenti all’ipotetica nascita di Cristo. Dopo la distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito si intensificò la diaspora ebraica (che era già iniziata da tempo immemorabile essendo gli ebrei già presenti in moltissimi luoghi nel mondo). Fra i vari gruppi o sette ebraiche quella degli Esseni era la più spiritualmente qualificata e la meno radicata alle tradizioni rabbiniche. Gli Esseni perseguivano una filosofia “umanitaria” in cui si prefigurava già un’ideologia “universale” poi continuata dalla chiesa cristiana. Inoltre gli Esseni avevano capito una cosa, che nella immaginazione scritturale ebraica si continuava a prospettare l’arrivo di un messia, salvatore d’Israele. Ma di messia -o autodefinitisi tali- ne erano passati a decine nei secoli ed il risultato era sempre stato deludente. Per questo gli Esseni decisero -pragmaticamente- che non valeva più la pena di proiettare la venuta del messia in un futuro lontano (cosa che per tutti gli altri ebrei era motivo di speranza e di forza per continuare a mantenere la “fede”) e intuirono anche che non poteva trionfare presso le popolazioni umane una religione che fosse trasmissibile solo per via ereditaria diretta (geneticamente). Decisero perciò due cose che cambiarono radicalmente la loro struttura, allargandola sempre più, e rendendo inoltre la loro “religione” più alla portata di tutti. In primis stabilirono che il messia non doveva venire in futuro ma era già venuto in passato e “descrissero” (come fatto storico) un personaggio (che dal punto di vista delle cronache ufficiali romane non è mai esistito) mettendogli in bocca quegli insegnamenti che facevano parte della loro tradizione (quella dei famosi rotoli del Mar Morto di cui sopra) e soprattutto stabilirono che si potesse aderire alla loro “religione” non solo per censo ma anche per conversione…. Quella fu la causa della frattura definitiva tra la setta essena e l’ebraismo tradizionale e da quella frattura nacque il cristianesimo (che assunse una sua identità specifica a partire dal III secolo d.c o meglio dall’anno 1.000 di Roma).
Questo percorso esemplificativo, che qui vi ho narrato, è il risultato di una “lettura” psicostorica. Ed ora andiamo avanti, anzi scendiamo ancora più indietro nel tempo e nella storia.
Ricordate Matusalemme? Ma senza soffermarci su di lui ricorderete tutte le storie di tutte le tradizioni in cui si narra come nell’antichità mitologica gli uomini vivessero per centinaia di anni. Beh, nella remotissima antichità il computo del tempo non veniva fatto in “anni”, essendo quello il risultato di una valutazione e comprensione successiva, il tempo scorreva e veniva calcolato sulla base di fatti visibilmente più efficaci. Si calcolava in lune. Tutti i calendari dell’antichità erano calendari lunari. L’età delle persone si stabiliva sul numero delle lune, Persino in tempi relativamente recenti, quando gli inglesi invasero il nord America, gli aborigeni calcolavano la loro età in lune. E quante sono le lune in una vita? Possono ovviamente essere centinaia -se non migliaia- considerando che le lune nuove in un anno sono 13 ecco che una vita media (nel lontano passato) di circa 30 o 40 anni diventava una vita di 400 lune ed oltre. Se ad un uomo capitava di vivere per 80 anni, ecco che la sua esistenza enumerava un migliaio di lune… il che da un senso diverso alla durata della vita di patriarchi vari e compagnia… (infatti dal punto di vista genetico sappiamo che la durata della vita nell’uomo non è mai giunta a coprire le centinaia o migliaia di anni come affermato nelle storie mitologiche.
Ma proseguiamo con le 13 lune.. che tra l’altro erano collegate ai periodi fecondi delle donne e quindi il calcolo in lune era un ottimo sistema per descrivere gli eventi della vita, ed infatti per migliaia d’anni il valore dell’esistenza era basato sulla capacità femminile di procreare, sulla importanza della donna in quanto matrice ed espressione della Madre Terra. E la luna, si sa, è un simbolo femminile per antonomasia, legata all’istinto, all’intuito, alla magia, etc. Poi successivamente subentrò un rovesciamento di valori, senza voler qui esaminarne le cause, diciamo che prese il sopravvento una cultura patriarcale, o solare. Da quel momento in poi il tempo doveva essere calcolato in quadratura razionale, attraverso la comprensione del movimento dell’astro solare. Nacquero così i dodici mesi, come frammenti di un anno, e da quel momento in poi gli anni “solari” furono il metro di misura di tutto ciò che avviene sulla terra. Per cui la vita (misurata in anni) sembrò accorciarsi. Altro risvolto è che per stare nelle 4 stagioni i mesi dovevano essere pari e non dispari.
Gli archetipi primordiali, che originariamente erano 13 come le lune, in un percorso concluso fra una primavera e la successiva (nel calcolo lunare antico l’anno iniziava a marzo), ecco che ci si dovette adattare al nuovo computo, e la civiltà umana rinunciò ad un modello, ad una divinità simbolica. I segni zodiacali nell’astrologia solare infatti sono 12, e tutti collegati al modo di agire nel mondo, mentre è venuto a mancare l’elemento di congiunzione spirituale.
Eliminato il tredicesimo archetipo la stessa cosa avvenne con la scomparsa del quinto elemento (originariamente gli elementi sono cinque: etere, aria, fuoco, acqua e terra), quello più sottile, l’etere, che rappresenta anch’esso lo spirito. Insomma l’aggiustamento al metro solare e patriarcale escluse sia un archetipo che un elemento dall’esistente. L’elemento mancante sappiamo che è l’etere (però nell’antichissima tradizione indiana esso ancora sussiste) ma qual’è l’archetipo mancante, il 13°…?
Qui introduco un discorso psicostorico che mi è stato ispirato dallo studio accurato fatto da un altro ebreo di origine russa, Alejandro Jodorowsky, sugli archetipi incarnati dagli Arcani dei Tarocchi. Alcune parole sui Tarocchi non guasteranno.
Dice Covelluzzo da Viterbo: “Anno 1379; fu recato in Viterbo il gioco delle carte che viene da Seracenia e chiamasi naibi…” Questa è la prima certificazione storica dell’avvento dei Tarocchi in Italia, “nabi o navi” nelle lingue semitiche significa “profeta o indovino” ma sicuramente anche questo sistema divinatorio remotissimo proviene dalla Valle dell’Indo. I Tarocchi completi sono composti da 21 Arcani maggiori + lo 0 (matto) e da 52 carte (arcani minori) suddivise in quattro semi.
Ma in questo momento quello che mi interessa evidenziare è l’aspetto dell’Arcano XIII. Questo Arcano non ha nome, la tradizione compie l’errore di attribuirgli in modo arbitrario quello di “Morte”, forse semplicemente perché l’immagine ritratta è quella di uno scheletro che avanzando impugna una falce. Solitamente la morte viene descritta in queste sembianze.. ma se andiamo ad analizzare più attentamente scopriamo che -in primis- l’Arcano XIII non ha scritto -come tutti gli altri Arcani – il nome sulla carta, si tratta di un Arcano senza nome. Poi se osserviamo la figura ritratta scopriamo che sulla spina dorsale vi sono evidenziati i punti corrispondenti ad alcuni importanti Chakra, soprattutto quello alla base del coccige, sede tradizionale del Muladhara (Supporto Radice in sanscrito, ed infatti gli viene attribuita la valenza Terra). Il Muladhara, sede della Madre Universale Kundalini, rappresenta la forza creatrice (in chiave femminile) immaginata come l’infinita capacità generante in forma di un serpente arrotolato su se stesso. Quando si risveglia questa energia ecco che il percorso spirituale ha inizio. La verità e l’esperienza diretta dell’unitarietà della materia e dello spirito si fanno strada nella coscienza dell’iniziato. Ancora osservando altri particolari di questa carta scopriamo che vi sono due teste mozzate sul terreno, una femminile e l’altra maschile, contornate da vari organi di locomozione ed azione (mani e piedi) anch’essi recisi. Lo spettro, come dicevamo sopra, avanza lungo un percorso e sembra si faccia strada eliminando i concetti di maschile e femminile e gli organi con cui l’uomo compie le azioni nel mondo, ovvero il senso dell’agire e del considerarsi l’autore degli eventi vissuti. Questa identificazione nella dualità è chiaramente l’ego (io individuale) e lo spettro, o Spirito, eliminando l’illusione separativa conduce l’anima verso la liberazione.
Ed ora vediamo come questo Arcano XIII sia in buona sostanza, l’immagine segretamente trasmutata e conservata del 13° archetipo lunare scomparso… Si tratta dell’archetipo che riporta il tutto al Tutto, a ciò che è sempre stato. Riconduce lo spirito, illuso dalle forme e dalla separazione temporale e spaziale, allo Spirito onnicomprensivo ed eterno…
Insomma l’archetipo “mancante” è quello cancellato dalle religioni monoteiste patriarcali che hanno trasformato la conoscenza dell’Assoluto non duale, in conoscenza del bene e del male, in forma di un serpente tentatore che allontana l’uomo da Dio… Mentre è esattamente il contrario.. ovvero è l’esclusione della coscienza spirituale spontanea e naturale dell’uomo (e l’immissione nella cultura e nella psiche umana di concetti religiosi basati sulla “descrizione” storica di una creazione lineare compiuta da un Dio separato dalla sua stessa creazione e dalle sue creature) che contribuisce alla alienazione dell’io individuale dal Tutto.
Paolo D’Arpini - Comitato per la Spirituaità Laica


venerdì 27 giugno 2025

Il peso del clero nelle religioni...

 


L'istituzione del clero nasce  come forma di controllo dell'istituzione religiosa, ciò è soprattutto evidente in ambito cattolico.  Il clero  è  composto da quella parte di sacerdoti che, nell'ambito della religione, ha un ruolo distinto e spesso direttivo ed anche ben retribuito. Che sia ben retribuito è ovvio in quanto rappresenta un "organo di controllo della fede", un po' come  avviene per le istituzioni civili, funzionari e burocrati o  le forze di  polizia e dell'esercito,  in uno stato.  Nel Nuovo Testamento la parola  "clero" compare già col significato di "parte eletta" dei fedeli. 

Nella Chiesa cattolica  l'appartenenza al  "clero" è consentita esclusivamente agli uomini che hanno ricevuto il sacramento dell'ordine nei suoi tre gradi: diaconato, presbiterato, episcopato, non ne sono quindi incluse le suore e le monache. Questa tra l'altro è una grande sperequazione ed una forma di specismo interno alla chiesa cattolica,  in cui la donna viene considerata elemento umano inferiore, non degna di assurgere al sacerdozio ed al sistema  di "gestione" della fede e delle strutture religiose e mondane  del potere ecclesiastico.

Sappiamo tutti che la posizione della donna nella chiesa cattolica è di serie “b”, infatti solo i maschi possono recitar messa, impartire i sacramenti, svolgere funzioni sacerdotali ed essere nominati vescovi, cardinali e papi.

Le donne possono solo occuparsi di penitenze e lavori sporchi (con vari esempi dalla Perpetua alla madre Teresa di Calcutta). Recentemente nella chiesa anglicana è stato inserito un concetto di parità fra i sessi concedendo alle donne di accedere alla carica vescovile ma difficilmente l’esempio potrà essere seguito dal vaticano per la sua nota posizione dispregiatrice delle donne.


Ma torniamo al significato e funzione del clero.

Il termine "clero"   viene dal greco κληρος (che viene a sua volta da κλάω = spezzare, distruggere, rompere). Dal primo significato di "sorte", passò ad indicare la trasmissione  di "eredità" (come avveniva in India per la casta dei bramini). Ma nella  Grecia antica l'esercizio religioso e sacerdotale  non era così codificato e non aveva la funzione di gestione della fede come nelle fedi monolatriche successive.

La religione greca potrebbe essere senz'altro definita come una religione senza sacerdoti confermati.  Afferma lo studioso Walter Burkert nel suo  "La religione greca", che   non esisteva un ceto sacerdotale come gruppo chiuso, con una tradizione, educazione, consacrazione e gerarchie fisse; persino nei culti più consolidati non esisteva una "dottrina", disciplina, ma solo un "costume", nómos.

Ancora più preciso è Jules Labarbe in  "Religioni della Grecia", in cui dice che la Grecia ignorava caste sacerdotali e clero; i suoi sacerdoti non svolgevano le loro funzioni a vita, salvo eccezione, ma durante un periodo determinato, spesso di un anno. Senza aver ricevuto una formazione particolare, erano, secondi i casi, designati  per estrazione a sorte, o per elezione, o su raccomandazione di un oracolo.

In realtà le società antiche, prima che prendesse il sopravvento la fede cristiana,  vivevano nel simbolico e recepivano il messaggio dall’esterno, dalla Vita, dagli astri, attraverso l’interpretazione emblematica ed il sillogismo. D’altronde, tale simbolismo è rimasto come elemento portante anche nel cristianesimo degli inizi, stante il fatto che questa religione ha sovrapposto le sue feste a quelle pagane. Ciò è avvenuto per ragione di potere. In tal modo i sacerdoti cristiani si sovrapponevano con facilità a quelli pagani, spesso assassinati, per celebrare feste che comunque il popolo avrebbe festeggiato.

Vediamo ora come viene organizzato il clero nelle altre due religioni monolatriche. Nell'ebraismo classico  la casta sacerdotale era composta dai Kohanim e dai Leviti. A loro era assegnato il compito di gestire le offerte sacre all'interno del Tempio di Gerusalemme. La dinastia sacerdotale composta dai Kohanim e dai Leviti  era assegnato il compito di gestire le offerte sacre nel Tempio di Gerusalemme. Nell'antichità esisteva un Sinedrio di 70 anziani che aveva potere decisionale sulle norme comportamentali, ma  tale pratica è diventata troppo complessa per essere oggi applicata. Nelle sinagoghe moderne e nelle scuole di ogni ordine e grado sono presenti dei rabbini e dei cantori  ma non esiste una gerarchia rabbinica se non quella necessaria al coordinamento delle azioni dei diversi maestri.

Nella religione dell'Islam  sunnita non esiste un clero vero e proprio: il ruolo direttivo in ambito religioso è svolto dagli esperti di diritto (fuqahā' e ulamā'), mentre la presidenza della preghiera comune e la predicazione sono affidate agli Imam. Fra gli Sciiti, invece, esiste un clero i cui membri vengono chiamati Ayatollah ("segno di Dio").

Un'ultima annotazione sul clero cristiano protestante.  
La Chiesa anglicana ha un'impostazione simile a quella cattolica. Nella Chiesa anglicana, a differenza sia di quella cattolica che di quella ortodossa, i vescovi possono essere sposati. Nel luteranesimo  vi è una certa varietà di prassi,  il  clero è strutturato come quello cattolico, con i vescovi a capo delle diocesi, anche se non è previsto il celibato per pastori e vescovi.

Paolo D'Arpini - Comitato per la Spiritualità Laica




martedì 24 giugno 2025

The difference between Zionism and Judaism… - La diversità tra sionismo ed ebraismo…

 


“It is important to clarify what anti-Semitism and anti-Zionism are… and it is important to know how Israeli children, future soldiers raised on bread and hate, grow up. True Jews are the first to denounce Zionism and Israel’s crimes in Palestine…” (Laura Caselli)

Have you ever wondered what anti-Semitism is? I know… It might seem like a trivial question, even stupid for many; yet today many people ask themselves this question, Jews included. Some examples?

Norman G. Finkelstein, son of Jewish survivors, university professor and author of several books including «Beyond Chutzpah: On the Misuse of Anti-Semitism and the Abuse of History». In this book Finkelstein denounces the accusations of anti-Semitism made by some Jewish organizations against opponents of the policies of the State of Israel.

Shea Hecht, a rabbi and Jewish community leader, said that the ADL (Anti-Defamation League) creates cases of anti-Semitism where there are none, in order to justify the existence of the league itself.

Yoav Shamir, an Israeli filmmaker, following accusations of anti-Semitism directed at his first film, decided to address the sensitive issue in his second documentary “Defamation”. Here are some parts of the review of the film: "Shamir interviews several exponents of the Israeli world, starting from his own grandmother to eminent rabbis, from the anti-defamation league, to real academics considered loose cannons (intellectually speaking), excluded from the Israeli intelligentsia, and even accused of denying the Holocaust. Shamir travels from Jerusalem to New York, from Rome to Moscow, from Kiev to Auschwitz and also takes a look at the education received by the new generations, who are inculcated with an exasperated sense of persecution and terror that at times almost borders on the ridiculous.

From a content point of view, he is courageous in investigating from the inside the sense of persecution of some Jews, in underlining the contradictions of a racism that crosses through minorities (such as African-Americans and Jews) and within the Israeli state itself, and in questioning the true meaning of anti-Semitism today, asking whether the Holocaust is not used, at times, as a convenient tool to distort perspectives in clashes with Muslims, for example, and to mask other international political and economic interests linked to the state of Israel – as some claim.

The defamation of the title, therefore, is not only the set of reprehensible racist acts that create a spiral of hatred, but the exploitation of the memory of the Shoah. "At this point you are wondering where I am going with this, right?

Nowhere. I just want to emphasize that there are no "trivial questions".

Paolo D'Arpini - Committee for Lay Spirituality



Addition by Giuseppe Zambon: "Is it a manifestation of anti-Semitism to denounce the undeniable power exercised by Israel and the AIPAC lobby over US governments? It seems to me to be only a manifestation of Anti-Zionism (without quotation marks please!). In conclusion, I can only venture the thesis that "anti-Semitic" are instead all those who, wanting to defend to the bitter end the crimes of a racist, oppressive and human rights-denying state, try to criminalize those (Jews and non-Jews) who feel the need to raise a necessary and liberating protest against injustice...."



Testo Italiano:

“E’ importante fare chiarezza su cosa sia l’antisemitismo e l’antisionismo… ed è importante sapere come crescono i ragazzi Israeliani, futuri soldati cresciuti a pane ed odio.  I veri ebrei sono i primi a denunciare il sionismo e i crimini di Israele in Palestina…” (Laura Caselli)

Vi siete mai chiesti cosa sia l’antisemitismo? Lo so… Sembrerebbe una domanda banale, per molti addirittura stupida; eppure oggigiorno sono in tanti a chiederselo, ebrei compresi. Qualche esempio?

Norman G. Finkelstein, figlio di sopravvissuti ebrei, professore universitario ed autore di diversi libri tra cui «Beyond Chutzpah: On the Misuse of Anti-Semitism and the Abuse of History». In questo libro Finkelstein denuncia le accuse di antisemitismo proferite da alcune organizzazioni ebraiche nei confronti degli oppositori alla politica dello Stato d’Israele.

Shea Hecht, rabbino e leader della comunità ebraica, ha affermato che l’ADL (Lega Anti-diffamazione) crea casi di antisemitismo laddove non ci sono, al fine di giustificare l’esistenza della lega stessa.

Yoav Shamir, regista Israeliano, in seguito ad accuse di antisemitismo rivolte al suo primo film, ha deciso di affrontare il tema delicato nel suo secondo documentario “Defamation”. Qui di seguito vi riporto alcune parti della recensione del film: “Shamir intervista diversi esponenti del mondo israeliano, a partire dalla propria nonna fino a eminenti rabbini, dalla lega anti-diffamazione, a veri e propri accademici considerati cani sciolti (intellettualmente parlando), esclusi dall’intellighenzia israelita, e accusati perfino di negare l’olocausto. Shamir viaggia da Gerusalemme a New York, da Roma a Mosca, da Kiev ad Auschwitz e getta anche uno sguardo sull’educazione ricevuta dalle nuove generazioni, a cui viene inculcato un esasperato sentimento di persecuzione e terrore che a volte sconfina quasi nel ridicolo.

Da un punto di vista dei contenuti, è coraggioso nell’indagare dall’interno il senso di persecuzione di alcuni ebrei, nel sottolineare le contraddizioni di un razzismo incrociato attraverso le minoranze (come afro-americani ed ebrei) e dentro lo stesso stato israeliano, e nel mettere in discussione il vero significato dell’antisemitismo oggi, chiedendosi se l’olocausto non venga adoperato, a volte, come uno strumento di comodo per distorcere le prospettive negli scontri con i musulmani, ad esempio, e per mascherare altri interessi politici ed economici internazionali legati allo stato di Israele – come alcuni sostengono.

La diffamazione del titolo, quindi, non è solo l’insieme di riprovevoli atti razzisti che creano una spirale di odio, ma la strumentalizzazione della memoria della Shoah.”

A questo punto vi starete domandando dove voglia andare a parare, vero?

Da nessuna parte. Voglio solamente sottolineare che non esistono “domande banali”.

Paolo D’Arpini  -  Comitato per la Spiritualità Laica 


Integrazione di Giuseppe Zambon: "È una manifestazione di antisemitismo quella di denunciare l'innegabile potere esercitato da Israele e dalla lobby AIPAC sui governi USA? A me pare sia soltanto una manifestazione di Antisionismo (senza virgolette per favore!). A conclusione posso solo azzardare la tesi che a essere "antisemiti" siano invece tutti coloro che, volendo difendere ad oltranza i crimini di uno stato razzista, prevaricatore e che nega i diritti umani tentano di criminalizzare coloro (ebrei e non ebrei) che si sentono in dovere di elevare una necessaria e liberatoria protesta contro l'ingiustizia..." 

lunedì 23 giugno 2025

Relationship between man, nature and animals... - Rapporto uomo, natura ed animali...

 


We bioregionalist and ecological vegetarians cannot ignore our animal origins, our belonging to a natural context and our human physiology. We must consider human anatomy and its genetic component and observe how man is halfway between a carnivorous animal and a herbivore. Man was defined by the anatomist Armando D'Elia as "a frugivorous animal" comparable to the group that includes most primates, pigs and bears. 

These animals can adapt, for reasons of survival or food integration, to a diet that, although maximally vegetarian, also includes the use of products of animal origin. Of course, this diet also varies according to the environment and latitude and is susceptible to adjustments in one direction or another. 

I personally became interested in vegetarianism after an initial stay in India and there I learned through my direct experience that this “diet” is conducive to lighter mental states, it is in fact defined as “satvic”, or “spiritual” or “balanced”. This diet is based on cereals, fruit, vegetables and also includes the moderate use of milk derivatives, in the form of yogurt. Honey is considered almost a medicine and eggs appear very rarely in dishes only in the case of necessary protein supplements. 

Obviously a healthy relationship between man and animals cannot be based on the exploitation of the latter. In fact, in India cows are sacred and are treated very well, calves are left with their mothers until they are completely weaned and man limits himself to “appropriating” the surplus of milk produced. Considering that domesticated cows have been producing more milk than their calves need since time immemorial, if we want to remain living beings in a context of other living beings we cannot exclude a mutualistic complementarity in our relationships with animals. Of course, nowadays we see that the consumption of meat and animal products has increased enormously as a result of industrial farming. And to satisfy the consumerist system, millions of hens are kept in battery cages for our eggs and millions of cows suffer tied to their pens… 

However, I do not want to deny man a symbiotic relationship with animals. Years ago, when I still lived in Calcata, I used to keep them free in a large field, letting them vent as they wanted for their survival and reproduction, limiting myself to taking a part of the “abandoned” eggs, that is, not used for hatching, or a little goat’s milk. Then the foxes and dogs arrived and massacred them, and I had to lock the surviving goats, sheep, chickens, ducks and geese in small enclosures that were still open to attack by various types of predators. In short, without my protection, none of them would have survived... 

In any case, nature is always fair, if we are able to comply with its rules and not interfere with our "ethical and moral rules". We must find a meeting point that is not exploitative (in one sense or another), unfortunately the unhealthy life in the city leads us to have a very distorted relationship with "free" animals, perhaps bringing them into our homes... Or leaving them in their habitat (natural reserves) from which we ourselves are excluded (because we are no longer accustomed to living in forests and in nature). 

However, if some species of animals accustomed to captivity since time immemorial were released, they would be destined to disappear, due to the elimination of a suitable habitat from the planet (man increasingly occupies every living space). In short, we would be moving towards a further impoverishment of biodiversity. 

Furthermore, there is the fact that - from an evolutionary point of view - some species of animals in symbiosis with man have found advantages in captivity (both for diffusion and for the advancement of consciousness). We are all in a great chaos called life and it is not good to separate one from the other. So let's say no to unconditional exploitation but yes to empathic contact. 

Man from an instinctive animal and collector of scattered food, has transformed into a worker who obtains food and ways of growth through his ingenuity. We are on an evolutionary ladder that we humans have partly traveled, we still have a long way to go to reach the top of ecological and spiritual understanding, but we can help those who are on the first steps without having to be ashamed. Knowing that their good is also ours. This also applies to plants, to the air, to water, to the resources accumulated on earth over millions of years.

In my opinion, we do not need to decide how to relate to other living beings and the elements of nature based on an ideology (be it vegan or religious), we should instead develop an ecological conscience knowing that where there is sincerity, honesty and discrimination, truth and right behavior automatically prevail.

Paolo D'Arpini - Italian Bioregional Network









Testo Italiano: 

Noi vegetariani bioregionalisti ed ecologisti, non possiamo trascurare la nostra matrice animale, la nostra appartenenza ad un contesto naturale e la nostra fisiologia umana. Occorre considerare l’anatomia umana e la sua componente genetica ed osservare come l’uomo si ponga a mezza strada tra un animale carnivoro ed un erbivoro.
L’uomo era stato definito dall’anatomista Armando D’Elia “un animale frugivoro” assimilabile al gruppo che comprende la maggior parte dei primati, dei suini e degli orsi. Questi animali possono adattarsi, per motivi di sopravvivenza o di integrazione alimentare, ad una dieta che pur essendo massimamente vegetariana prevede anche l’uso di prodotti di origine animale. Certamente questa dieta varia anche in base all’ambiente ed alla latitudine ed è suscettibile di aggiustamenti in un senso o nell’altro.
Io personalmente mi sono avvicinato al vegetarismo dopo una prima permanenza in India è lì appresi attraverso la mia esperienza diretta che questa “dieta” è conduttiva a stati mentali più leggeri, essa si definisce infatti “satvica”, ovvero “spirituale” od “equilibrata”. Questa dieta è basata su cereali, frutta, vegetali e prevede anche l’uso moderato di derivati del latte, in forma di yougurt. Il miele è considerato quasi un medicinale e le uova compaiono molto raramente nelle pietanze solo in caso di necessarie integrazioni proteiche.
Ovviamente un sano rapporto uomo-animali non può essere basato sullo sfruttamento di questi ultimi. Infatti in India le vacche sono sacre e vengono trattate benissimo, i vitelli vengono lasciati alle madri sino al completo svezzamento e l’uomo si limita ad “appropriarsi” del sovrappiù del latte prodotto. Considerando che le mucche addomesticate da tempo immemorabile producono più latte di quanto necessario ai loro vitelli.
Se vogliamo restare esseri viventi in un contesto di altri esseri viventi non possiamo  escludere una complementarietà mutualistica nei nostri rapporti con gli animali. 
Certo oggigiorno vediamo che il consumo di carne e di prodotti di origine animale è  aumentato enormemente in seguito all’allevamento industriale. E per soddisfare il sistema consumista milioni di galline vengono tenute in batteria per le nostre uova e milioni mucche soffrono legate ai loro stabulari…
Però non voglio negare all’uomo un rapporto simbiotico con gli animali. Anni fa, quando ancora abitavo a Calcata,  ero solito tenerli liberi in un grande terreno lasciando che si sfogassero come volevano per la loro sopravvivenza e riproduzione, limitandomi io a prelevare una parte di uova “abbandonate” ovvero non utilizzate per la cova o qualche po’ di latte di capra. Poi sopraggiunsero le volpi ed i cani e fecero strage, e dovetti richiudere capre, pecore, galline e papere ed oche superstiti in piccoli recinti sempre però attaccabili da predatori di vario genere.  Insomma senza la mia protezione nessuno di essi sarebbe sopravvissuto…
Comunque la natura è sempre giusta, se siamo in grado di accondiscendere alle sue regole ed a non intrometterci con le nostre “regole etiche e morali”. Dobbiamo trovare un punto d'incontro che non sia sfruttativo (in un senso o nell’altro), purtroppo la vita malsana in città ci porta a dover avere un rapporto con gli animali “liberi” molto falsato, magari portandoceli in casa… Oppure lasciandoli nel loro habitat (riserve naturali) dal quale noi stessi siamo esclusi (perché non più avvezzi a vivere nelle foreste ed in natura).
Però se alcune specie di animali avvezzi alla cattività da tempo immemorabile venissero rilasciati sarebbero destinati alla scomparsa, per via dell'eliminazione dal pianeta di un habitat idoneo (l’uomo occupa sempre di più ogni spazio vitale). Insomma andremmo verso un ulteriore impoverimento della biodiversità. Inoltre c’è il fatto che -dal punto di vista evolutivo- alcune specie di animali in simbiosi con l’uomo hanno trovato vantaggi nella cattività (sia per la diffusione, sia per l’avanzamento coscienziale).
Siamo tutti in una grande bolgia chiamata vita e non fa bene scindere gli uni dagli altri. Quindi diciamo no allo sfruttamento incondizionato ma sì al contatto empatico. L’uomo da animale istintuale e raccoglitore di cibo sparso, si è trasformato in un lavoratore che ricava attraverso il suo ingegno cibo e modi di crescita. Siamo in una scala evolutiva che in parte noi umani abbiamo percorso, ci manca ancora molto per arrivare alla cima della comprensione ecologica e spirituale, possiamo però aiutare coloro che sono ai primi gradini senza doverci vergognare.  Sapendo che il loro bene è anche il nostro. Questo vale anche per le piante, per l’aria, per l'acqua, per le risorse accumulate sulla terra nei milioni di anni.
Secondo me non occorre decidere come rapportarci con gli altri esseri viventi e con gli elementi della natura sulla base di una ideologia (che sia essa vegana o religiosa), dovremmo invece sviluppare una coscienza ecologica sapendo che dove c’è sincerità, onestà e discriminazione automaticamente la verità ed il giusto comportamento prevalgono.
Paolo D'Arpini - Rete Bioregionale Italiana

sabato 21 giugno 2025

Communication... is it possible? - Comunicare... è possibile?



Well, I actually have to say that I am internet-disabled, I barely know how to send and receive emails, for me it is more than enough. My friend Roberto Caivano told me one day "you don't want to use the internet because it is part of your character..."

No, I don't have any character to condescend to, I do what I can do if I feel like it.... In truth I perceive the danger of computer addiction, using this medium to write and communicate one tends to close oneself in a sort of cocoon, a mental knot that only what is virtual enters (what you find in front of you on the screen).

Of course, every now and then something comes along that calls you back to physical reality, an itch, an errand to run, the fireplace to stoke in the winter and mosquitoes to chase away in the summer, "distractions" are not lacking and I wonder, making a comparison with the past, if even when writing with a pen I felt so absorbed that I sometimes neglected physical reality. Yes, it was like that, even writing with a pen, perhaps the absorption was even stronger, because you couldn’t run the risk of losing the sentence, “that” sentence (which is always the same over and over again) which is “the quintessence of communication, the slobbering of expression, the tinsel of allocution”….. When a sentence like that comes out of you, how can you stop to communicate it to just one user, even if it’s a close friend. You can’t waste such a masterpiece!

The desire to radiate “that thought” is not my invention, many have already tried before me: poets, comedians, novelists and storytellers. It goes without saying that I felt like, even when I was very young and a student (and I barely got it right - as I do now - in grammar) to write several copies of the same thought to send to various people as a friendly letter. It was enough to change a word here and there, a name, and the game was done. I could be satisfied that the message would reach and “touch” more people (especially women, since it is not good to waste poetic art for just one). And now what do I see?

This same method that I adopted in my youth, which at least allowed me to practice calligraphy, is exactly the communication method of the internet. Emails are usually nothing more than a continuous recycling of words reassembled and sent back to many people (in circulation). Some are official recipients (A), others are unofficial sharers (CC) and the majority, the great mass, innocent users of expressive arrogance, are the unnamed to whom the message is sent askew, the “exibition… veiled” (CCN).

“I am ashamed (but I accept it) I usually do it every day and perhaps several times a day, father forgive me this sin..?”. “Calm down son (we have all done it anyway) repeat three Our Fathers, 3 Hail Marys and 3 Glory Bes and you will be forgiven!”.

But then even in penance, aimed at liberation, is there repetitiveness?

In fact, another thing I have learned in these telematic years is that people read on the internet but do not read, that is, they have a feeling of something but do not know where or how or when... it takes place.

So, first of all, you need to develop attention and concentration if you want to be able to retransmit.

Paolo D'Arpini - The incommunicable...









Testo Italiano: 

Ecco, in effetti devo anticipare che sono un internet-handicappato, a malapena so inviare e ricevere email, per me è più che sufficiente.  Il mio amico Roberto Caivano mi disse un giorno  “tu non vuoi usare internet perché fa parte del tuo personaggio…” 

No, non ho alcun personaggio  al quale condiscendere, faccio quello che posso fare se mi viene…. In verità percepisco il pericolo della dipendenza da computer, usando questo mezzo per scrivere e comunicare si tende a chiudersi in una specie di bozzolo, un nodo mentale in cui entra solo ciò che è virtuale (quello che ti ritrovi davanti sullo schermo). 

Certo di tanto in tanto subentra qualcosa che ti richiama alla realtà fisica, un prurito, una commissione da svolgere, il caminetto  da rinfocolare d’inverno e le zanzare da scacciare in estate,  “le distrazioni” non mancano e mi chiedo, facendo un paragone con il passato, se anche scrivendo a penna mi sentissi così assorto da tralasciare -a volte- la realtà fisica. Sì, era così, anche scrivendo a penna, forse ancora più forte era l’assorbimento, perché non si poteva correre il rischio di perdere la frase,  “quella”  frase  (che gira e rigira è sempre la stessa) che è  “la quintessenza della comunicazione, lo sbrodolamento dell’esprimersi, l’orpello dell’allocuzione”….. Quando ti esce una frase così come puoi fermarti a comunicarla  ad un solo utente, sia pur esso un amico del cuore. Non si può mandar sprecato un simile capolavoro!

Il desiderio d’irradiare  “quel pensiero” non è una mia invenzione, ci hanno provato già  molti prima di me: poeti, guitti, romanzieri e affabulatori.  Va da sé che mi venisse voglia, anche quand’ero giovanissimo e studente (e a malapena ci azzeccavo -come ora- in grammatica)  di scrivere più copie dello stesso pensiero  da spedire a varie persone a mo’ di lettera amichevole. Bastava cambiare qua e là una parola, un  nome,  ed il gioco era fatto. Potevo stare soddisfatto che quel messaggio avrebbe raggiunto e “toccato” più persone (soprattutto donne, giacché non va bene sprecare l’arte poetica per una sola). Ed ora cosa vedo? 

Questo stesso metodo da me adottato in gioventù, che perlomeno mi permetteva di esercitarmi in calligrafia,  è esattamente il modo comunicativo di internet. Le email solitamente non son altro che un continuo riciclaggio di parole riassemblate e rispedite a tanta gente (in circolo). Alcuni sono destinatari ufficiali (A), tal altri condivisori ufficiosi (CC) ed i più, la gran massa,  fruitori innocenti della protervia espressiva,  sono gli innominati a cui si rimanda il messaggio di traverso, la  ”exibition… velata” (CCN).

“Mi vergogno (ma lo accetto) lo faccio di solito tutti giorni e forse più volte al giorno, padre mi perdoni questo peccato..?”. “Tranquillo figliolo (tanto lo abbiamo fatto tutti) ripeti tre Pater Noster, 3 Ave Maria e 3 Gloria Patri e sarai perdonato!”.

Ma allora anche nella penitenza, tesa all’affrancamento, c’è ripetitività?

Infatti un’altra cosa che ho appreso  in questi anni telematici è che la gente legge su internet ma non legge,  ovvero ha sentore di un qualcosa  ma non sa né dove né come né quando… si svolge.

Quindi,  prima di tutto, occorre sviluppare l’attenzione e la concentrazione se si vuole poi essere in grado di poter ritrasmettere.

Paolo D'Arpini - L'incomunicabile...